Perché, secondo Savona, forse conviene uscire dall'Unione o dall'euro

Paolo Savona

Nel 1992 l'Italia ha firmato il Trattato di Maastricht ed è entrata nell'euro fin dalla sua nascita, accettando il vincolo esterno nella promessa di un futuro migliore che non si è realizzato; anzi stringe la corda attorno al collo che si è volontariamente posta

    Nella storia delle nazioni, Italia compresa, giunge sempre il momento di fare scelte importanti, come anche di cambiarle. Per stare alla storia moderna, ricordiamo che gli Stati Uniti hanno voluto nel 1944 l'Accordo di Bretton Woods e lo hanno abbandonato nel 1971. La Francia postbellica è entrata nella Nato, ma si è data la sua force de frappe. L'Italia fascista scelse di allearsi con Germania e Giappone, per poi schierarsi con i paesi alleati, aderendo dopo la guerra a tutti i Trattati che hanno caratterizzato l'assetto istituzionale dell'area occidentale; nel 1992 ha firmato il Trattato di Maastricht ed è entrata nell'euro fin dalla sua nascita, accettando il vincolo esterno nella promessa di un futuro migliore che non si è realizzato; anzi stringe la corda attorno al collo che si è volontariamente posta.

    Nell'indisponibilità a completare il disegno di un'Europa “politica”, la Germania, ben sostenuta da Regno Unito e Francia, persegue la strada di un rafforzamento dei vincoli fiscali, dopo aver delegato interamente la sovranità monetaria. Un acuto osservatore delle vicende europee, Nicola Verola, in un articolo pubblicato su Aspenia, ha giustamente sottolineato che la governance europea, nell'impossibilità di assumere natura politico-democratica propriamente definita, ha ripiegato su una governance “delle regole”, che l'autore considera utopica come forma di governo dell'Unione. Il disegno di Europa unita, se vuole sopravvivere, non può se non poggiare su un futuro di sviluppo. Conviene ammetterlo brutalmente, le regole attuali e quelle proposte sono utili solo a una Germania capace di accumulare squilibri di bilancia superiori a quelli della Cina. A detta di Stati Uniti e Germania, nel mondo ci sarebbero squilibri buoni e squilibri cattivi, ma non sappiamo quale sia il criterio di scelta; o, meglio, sospettiamo che sia quello solito di chi conta di più sul piano militare ed economico. 

    Di recente il presidente francese Nicolas Sarkozy si è affiancato alle richieste di Angela Merkel proponendo regole fiscali più stringenti in contropartita della creazione di un Fondo monetario europeo che istituzionalizzi quello di stabilità finanziaria, deciso nel maggio scorso; questo Fondo è sotto forma di banca localizzata in Lussemburgo, opera fuori dall'assetto ufficiale europeo per aggirarne le regole e scade nel 2013.
    I favorevoli alla riforma di un Patto di stabilità rinforzato ben sanno che se si passa dalle procedure consuete, che comportano la ratifica dell'accordo, vi sarà sempre un paese (o anche più d'uno) che lo respingerà, rendendola inattuabile; vanno perciò cercando lo stratagemma di farla approvare direttamente dai capi di stato. Dal governo delle regole si passa al governo del loro aggiramento. L'Italia si troverà di fronte a uno di quei momenti storici che richiedono una scelta importante; se la soluzione sarà quella di sostenere, com'è stato detto, che la riforma proposta non ci danneggia, non è proprio una bella risposta.

    Anche se si fa finta che il problema non esista, il cappio europeo si va stringendo attorno al collo dell'Italia
    . E' giunto il momento di comprendere che cosa stia effettivamente succedendo nella revisione del Trattato di cui si parla e nella realtà delle cose europee, prendendo le necessarie decisioni; compresa quella di esaminare l'opportunità di restare o meno nell'Unione o nella sola euro area, come ha fatto e fa il Regno Unito gestendo autonomamente tassi di interesse, creazione monetaria e rapporti di cambio. Se l'Italia decidesse di seguire il Regno Unito – ma questa scelta va seriamente studiata – essa attraverserebbe certamente una grave crisi di adattamento, con danni immediati ma effetti salutari, quelli che ci sono finora mancati: sostituirebbe infatti il poco dignitoso vincolo esterno con una diretta responsabilità di governo dei gruppi dirigenti. Si aprirebbe così la possibilità di sostituire a un sicuro declino un futuro migliore attraverso il reimpossessamento della sovranità di esercitare scelte economiche autonome, comprese quelle riguardanti le alleanze globali. Lo ripeto, non nuove nella storia.
    Questo non significa uscire dalle regole del Wto, ma dall'overdose di quelle europee, che hanno esaurito la loro spinta propulsiva per la nostra economia e, anzi, si vanno rivoltando contro. Per far ciò occorre costruire una solida base razionale e un impegno politico forte, ossia aprire un nuovo orizzonte nell'asfittico dibattito interno.