Bernanke interviene per reagire al fallimento del G20

Angelo De Mattia

Il Foglio ha avviato un dibattito in vista delle decisioni che il governatore della Fed, Ben Bernanke, annuncerà domani. L'intervento di Angelo De Mattia.

 

 

    Il Foglio ha avviato un dibattito in vista delle decisioni che il governatore della Fed, Ben Bernanke, annuncerà domani. Con interventi di Francesco Forte, Angelo De Mattia, Alberto Bisin e Antonio Martino.

    Con la seconda operazione di quantitative easing che la Fed si appresterebbe a deliberare il prossimo 3 novembre con l'acquisto di titoli del Tesoro, si divarica ancora, rispetto all'Europa, la strategia post crisi: negli Stati Uniti si immette ulteriore liquidità, nel Vecchio continente si progetta il rientro delle misure non standard.

    E' una decisione, quella americana, che, probabilmente, sarà agevolata dal fatto che il recente G20 finanziario non ha accolto il piano presentato dal segretario al Tesoro, Timothy Geithner, per una rigida regolamentazione, nei paesi partecipanti, degli avanzi e dei disavanzi nei rapporti commerciali con l'estero; e, dunque, dal permanere della vexata quaestio della desiderata rivalutazione dello yuan. Se non si è riusciti a ottenere un efficace coordinamento non solo delle politiche economiche, ma anche di quelle monetarie allora l'America ha tutto l'interesse a ridurre unilateralmente il valore del dollaro.

    Essendosi in prossimità della keynesiana “trappola della liquidità”, molti policy maker ritengono che potrebbe essere auspicabile un'inflazione al 3 per cento, in modo da tentare, con tassi reali negativi, un ulteriore impulso in presenza di un “cavallo che non beve”, osservandosi un rallentamento dell'economia (il pil nel terzo trimestre è in espansione ma non oltre le moderate previsioni).

    Un'operazione rischiosa, però, per i diversi impatti che può provocare – in primis sulla tutela del risparmio – a cominciare dai riflessi che esercita un'inflazione in risalita, non secondariamente, sulle disponibilità in dollari detenute dai cinesi. E, tuttavia, nonostante queste diffuse controindicazioni, sembra che, se non si attivano le altre leve della politica economica quale quella fiscale, il problema dell'impulso alla crescita, venuta meno l'ipotesi del raccordo internazionale, non possa essere affrontato che da un'azione di supplenza della politica monetaria, ai limiti del fattibile e dei probabili boomerang.

    Anche gli Stati Uniti avrebbero, come è ben noto, necessità di riforme strutturali; anche per loro è pesante il problema della gestione della finanza pubblica. Si è visto, però, quali impatti hanno avuto – nell'opinione pubblica – le due riforme, quella sanitaria e quella finanziaria, promosse da Obama in campi che certamente abbisognavano di interventi; ciononostante esse hanno diviso il paese. Dunque, gestione del consenso contro i manuali di economia? Ora occorrono interventi urgenti. Noi ne sappiamo molto della supplenza della politica monetaria anche in tempi normali. Si pensi all'acquisto dei Bot “a rubinetto” da parte della Banca d'Italia, prima del divorzio consensuale tra l'Istituto di via Nazionale e il Tesoro, ma anche al vincolo di portafoglio, cioè alle disposizioni emanate dalla Banca d'Italia, diversi decenni orsono, per imporre alle banche l'investimento in determinati titoli.
     I contesti sono, certo, enormemente diversi.

    E l'azione di surroga non è il meglio al quale si possa ricorrere. Sono la politica economica e il coordinamento internazionale che dovrebbero operare. Intanto, si deve fare di necessità virtù e sperare in un esito non negativo della manovra non convenzionale. Ma sperare anche che, di questo passo, non si riaccendano spinte a un conflitto dei cambi e che il vertice di Seul dei capi di stato e di governo possa fare ciò che non è riuscito a fare il G20 finanziario. Diversamente, sarebbe a rischio la ripresa mondiale.