Il traditore riluttante

Redazione

Sono quelli che più ci odiano cui tocca in sorte, a volte, di tessere l'elogio migliore della nostra condotta. E infallibilmente, quelli che più ci odiano sono proprio coloro che più ci hanno amato un tempo, e che noi, nella molteplice peripezia della nostra vita, abbiamo lasciato per strada. Sono i delusi, i traditi, gli antichi compagni di lotta.

di Adolfo Scotto di Luzio

    Sono quelli che più ci odiano cui tocca in sorte, a volte, di tessere l'elogio migliore della nostra condotta. E infallibilmente, quelli che più ci odiano sono proprio coloro che più ci hanno amato un tempo, e che noi, nella molteplice peripezia della nostra vita, abbiamo lasciato per strada. Sono i delusi, i traditi, gli antichi compagni di lotta. E' il nostro passato, nello specchio del quale pretendiamo di misurare quello che siamo stati e che non siamo più. E in maniera più sottile ci dice se questa pretesa è vera o se invece, nel continuo accapigliarci con gli amori e gli odi di un tempo, non tradiamo la nostra stessa irresolutezza a separarci da loro, a riposare in una visione pacata e veritiera delle cose per come sono andate realmente. E quindi a liberarci del passato.
    E' accaduto al presidente della Camera Gianfranco Fini, uomo di molte discontinuità e di abiure tanto perentorie quanto frettolose. L'ultimo campione di un'Italia della transizione perenne e del cattivo passato che non passa mai.

    Nei giorni in cui si consumava la lunga separazione dal partito, la cui fondazione egli aveva sorprendentemente e di malavoglia accettato solo un anno prima, per le strade di Napoli un gruppo di ex missini distribuiva un volantino che, nelle forme dello sdegno, suonava come un involontario elogio all'intelligenza e all'inquietudine dell'uomo che, come è di tutti coloro che hanno percorso un lungo cammino, ha scandito le tappe del proprio viaggio con una teoria altrettanto lunga di strappi e di infedeltà al passato e ai padri.

    Gianfranco Fini, scrivevano i reduci missini, ha tradito Giorgio Almirante e il Movimento sociale italiano, ha svenduto e liquidato Alleanza nazionale e ora sta combattendo e ostacolando il Popolo della libertà, attaccando direttamente, o tramite i suoi uomini, Silvio Berlusconi, “che lo ha fatto uomo e presidente della Camera”. Inutile dire che tutto questo sarebbe accaduto per gli interessi personali di Fini, oltre a comportare una buona dose di ingratitudine. Ma quali che ne siano le ragioni conta, agli occhi dei seguaci di un tempo, la sequenza dei tradimenti. Così lunga che a percorrerli tutti alla fine uno si volta indietro e quelli che un tempo stavano con te quasi non li trovi più. Scusate se è poco, mi viene da dire; e con buona pace di chi è rimasto dove è stato lasciato.
    Ora, il punto è capire la natura e i limiti di questo tradimento. Se cioè hanno ragione i reduci di cinquant'anni di post fascismo, e dunque Fini è un traditore; o se invece, nonostante tutto, la lunga catena dei suoi tradimenti non ha conseguito gli esiti che pure si proponeva, una nuova identità politica.

    Il paradosso di Fini si può riassumere in questi termini:
    chi lo considera un traditore non sa riconoscere il mondo nuovo che sarebbe nato dal suo tradimento. Fini, da parte sua, pretende di aver dato vita ad una nuova cultura politica ma non si vuole considerare un traditore. Eppure, senza tradire non ci si traduce da un'altra parte, e chi ritiene di aver toccato nuove sponde senza aver tradito in fondo dice una bugia. Tradimento è stata ed è una parola chiave dello scontro tra Fini e Berlusconi. E' stata usata contro il presidente della Camera, ma lo stesso Fini se ne è servito per spiegare il suo atteggiamento, e naturalmente per allontanare da sé un'accusa che egli considera infamante.
    Ora di Berlusconi si può dire tutto, a cominciare dal fatto che questa storia del “trattamento Boffo” teorizzata nel suo entourage è degna di una banda di aguzzini. Non si può dire però che consideri Fini un traditore. Si sarà sicuramente sentito tradito e lo ha pure detto che quello è un traditore. Anzi, a un gruppo di senatori riunito a Palazzo Grazioli, ha confidato: “Non mi aspettavo questo tradimento. E' stato come una coltellata”. Ma questo non è un linguaggio politico; è più lo sfogo di un uomo amareggiato.

    I tradimenti appartengono alla sfera delle relazioni tra gli individui e al linguaggio affettivo della vita quotidiana. L'idea del tradimento come categoria politica è un'altra cosa. Tanto più a destra, dove essa evoca immagini di fedeltà militare (vi ricordate l'“alto tradimento” di cui parlò Fini alla direzione di aprile?), di lealtà gerarchica e di gregarismo. Soprattutto, a destra il tradimento è il fantasma del maresciallo Pietro Badoglio, che come vedremo gioca un ruolo importantissimo in tutta questa faccenda. Ora, è evidente che Berlusconi con tutta questa roba non ha niente a che fare, e tuttavia questo non vuol dire che la decisione berlusconiana di espellere Fini non abbia obbedito proprio alla logica del tradimento inteso alla maniera di cui dicevo poco fa.

    Il fatto è che nel modo con il quale si è giunti alla separazione del cofondatore, la scelta di buttarlo fuori, agiscono alcuni elementi di una vecchia cultura fascista di cui partecipano tanto il presidente della Camera che i suoi antichi sodali, oggi a lui particolarmente ostili, nel Msi e poi in Alleanza nazionale, e che sono stati in prima fila nel sostenere le decisioni del presidente del Consiglio, nonché capo del Pdl, nelle scorse settimane: La Russa, Matteoli, Gasparri. Come ha scritto Marcello Sorgi giorni fa sulla Stampa, l'espulsione di Fini produce una nuova identità politica in questa vecchia guardia finiana oggi berlusconizzata. La cacciata del cofondatore è insomma l'ultimo atto della dissoluzione di An dentro il corpo politico del nuovo partito berlusconiano. E tuttavia si può osservare che l'identità che muore non scompare mai del tutto. I traditori sono tali non perché, banalmente, disertano nel campo nemico, ma perché trasmettono al nuovo padrone la parte maggiore della loro eredità.

    Fascismo, dunque. Mi riferisco alla cultura di formazione dell'attuale presidente della Camera e a un fatto politico anagrafico veramente singolare: la notevole continuità di quel gruppo dirigente prima ricordato, che pure tra mille polemiche, screzi e veri e propri odi intestini, ha diviso con l'attuale presidente della Camera un percorso politico ultra ventennale, con radici ancora più remote nella comune militanza giovanile missina, prevalentemente romana, durante gli anni Settanta. Si tratta di un gruppo di amici (ormai largamente ex) uscito allo scoperto quando Fini fu eletto segretario del Msi a Sorrento nel 1987; ha partecipato alla fondazione di Alleanza nazionale, occupandone con determinazione i posti di comando; si è ritrovato, infine, nel Pdl.

    A differenza di Forza Italia
    e del gruppo berlusconiano della prima ora, che nel corso degli anni si è di fatto sciolto a vantaggio di nuove aggregazioni, la generazione missina venuta alla ribalta negli anni Ottanta è rimasta tutto sommato compatta ed è la vera protagonista di questo scontro all'interno del Popolo della libertà.
    E' importante questa faccenda dell'amicizia politica e delle conseguenze della sua rottura. Perché i legami personali, si tratti di amore o dell'amicizia appunto, danno concretezza a quella questione altrimenti astratta che ponevo all'inizio: l'elaborazione del passato. I mille modi attraverso i quali ciò che è stato continua a pesare su quello che è. Nell'intervista al Foglio del 29 luglio, Fini disse che lui e Berlusconi non dovevano essere amici e che non avevano nemmeno l'obbligo di sembrarlo. Era un modo per dire: gli affetti mettiamoli da parte e facciamo politica, cioè ragione, analisi, fatti.

    Questa idea che gli uomini possano avere interesse a imbrigliare le proprie passioni in vista di un fine superiore è molto ragionevole. Salvo il fatto che nessun interesse può essere perseguito senza un minimo di condivisione. Quello che infatti si dimentica troppo spesso in questa faccenda della ragione e dei sentimenti, o per dirla in maniera più colta, delle passioni e degli interessi è che il presupposto di questo bel ragionamento è l'assillo per l'uomo quale realmente è. Senza questa determinazione intellettuale a non fraintendere l'uomo, il ragionamento di cui sopra perde di efficacia. Possiamo condividere qualcosa con qualcuno se prima non ci domandiamo chi è l'altro con il quale voglio condividere? Nel caso specifico di Fini, chi è Berlusconi? Fini evita di porsi questa domanda, intuendosi invece tutte le sue riserve sulla persona. Ora sono proprio i patti siglati unilateralmente che covano tradimenti e delusioni. Quelli basati sulla pretesa che l'essenza esistenziale dell'altro sia una “quantità trascurabile”.

    L'indifferenza di Fini per le cose come sono realmente andate e per come sono si tradisce nella parola d'ordine lanciata alla fine di luglio: resettiamo tutto. Cioè ritorniamo indietro e cominciamo daccapo. E' l'idea appunto che il passato non esista o meglio, secondo una vulgata post moderna molto diffusa, che ognuno si possa forgiare il passato che preferisce. Solo che poi il passato, quello vero, quello che non si lascia resettare tanto facilmente, si riprende i suoi diritti. Ed è qui che ricompaiono gli amici di un tempo. Uno pensa di averli lasciati indietro, di essersi incamminato per le nuove vie della destra europea e conservatrice, e poi a una svolta, eccoteli di nuovo lì ad intralciarti il passo. Fai per evitarli ma non puoi e ricomincia la zuffa e nella zuffa il passato si riaccende e si riscopre la passione dei vecchi legami. E' tutto il linguaggio delle vecchie cose che ora riprende il sopravvento.

    Il 4 agosto, sul Secolo d'Italia un signore scrive per esprimere il suo dispiacere per la partecipazione della vedova di Almirante alla cena per il compleanno di Rotondi in compagnia di Berlusconi. Così, scrive il lettore, Donna Assunta si è “gettata tra le braccia della demoplutocrazia”. In un'altra lettera, lo stesso giorno, un vecchio militante del Msi e poi di An scrive per esprimere la sua solidarietà al presidente Fini e lo sdegno verso gli “attuali badogliani”. Lo spettro di Badoglio aleggia su tutte le crisi interne al mondo dei post fascisti. E' la maschera di tutti i voltagabbana, e al tempo stesso dei maldestri e dei pasticcioni, dei furbi, di quelli che abbandonano il campo e lasciano i propri uomini senza guida e senza protezione. In una parola, dei traditori. Un riflesso antibadogliano c'è sicuramente nel gruppo dei finiani. Quando nell'aprile scorso, alla vigilia della riunione della direzione, 54 deputati del Pdl firmarono un documento a favore del presidente della Camera, Gianni Alemanno insieme a La Russa, Gasparri, Altero Matteoli e Giorgia Meloni concepì un contro documento degli ex di An che prendevano le distanze dal loro antico leader. Fini dettò un comunicato ufficiale. In privato però parlò di una resa a Berlusconi. Nella scelta politica del presidente della Camera e soprattutto nel consenso che si è creato attorno alla sua persona c'è anche l'idea di reagire alla capitolazione della destra italiana nelle mani di un miliardario che tutto è tranne che un ex fascista. Gran parte dell'attuale gruppo dirigente finiano è fatto di uomini che vengono dalla militanza rautiana, a cominciare da Fabio Granata, e devono provare più di un brivido in questa loro canuta stagione antiberlusconiana che gli fa rivivere un po' del fervore della giovinezza anticapitalista.

    Per uomini con questo tipo di formazione
    il tradimento è una chiave non solo polemica ma intellettuale. Spiega e serve a spiegarsi molte cose. Gli ex fascisti ne fanno un uso generoso. A cominciare da Fini. Nel 2005 quando prese posizione contro la legge sulla fecondazione medicalmente assistita, il presidente della Camera battezzò questa svolta laica e modernizzatrice con l'olio santo della vecchia retorica. Ai suoi disse: “Se pensate che la mia posizione sia un tradimento dei valori, allora non abbiamo più nulla da dirci”. Ora, un linguaggio è sempre un uso collettivo della lingua e descrive una comunità di parlanti. Il tradimento a cui fa riferimento Gianfranco Fini è lo stesso che lo accomuna ai moltissimi detrattori post fascisti. Dopo il viaggio in Israele, nel novembre del 2003, gli ultrà della Lazio urlarono per 94 minuti di fila, tanti quanto durò la partita contro il Besiktas in Champions League, “Fini traditore”. Più argomentativi, quelli della Roma misero su uno striscione che diceva “Fini = Badoglio”. Un anno prima, l'allora governo Berlusconi aveva deciso di restituire l'obelisco di Axum all'Etiopia. Dopo il viaggio in Israele, Francesco Storace organizzò un raduno anti finiano all'Hilton di Roma. In quell'occasione Giano Accame prese la parola e trovò il modo di prendersela con l'ex segretario del Msi, all'epoca vicepresidente del Consiglio, anche per quell'oltraggio alla gloriosa memoria dell'Impero di Mussolini: “ci voleva un governo di destra – tuonò stentoreo – per restituire all'Etiopia l'obelisco di Axum! E se agli Esteri c'era Fini, smontava pure il Colosseo e lo trasferiva a Las Vegas per ripagare i danni di guerra agli americani!”.

    Che Alessandra Mussolini abbia dato del badogliano a Fini (in compagnia di La Russa, per la verità) non è una gran notizia, anche se ad Antonello Caporale che la intervistava per Repubblica nel gennaio del 2005, ebbe modo di ribadire che lei e i suoi (all'epoca si trattava di Alternativa sociale) avevano un “cuore vero, non quello di plastica dei badogliani”. Sorprende di più che a ripeterlo ai nostri giorni, così decisamente post ideologici, sia il vicecapogruppo alla Camera del Pdl, Maurizio Bianconi. Il 6 agosto, intervistato dal Giornale della Toscana dice di Fini: “E' come Badoglio, ha tradito il mandato elettorale” e spiega: Futuro e libertà “è nato da un proclama di Fini, un po' come quello di Badoglio che dopo il 25 luglio disse la famosa frase: continueremo la guerra al fianco dell'alleato tedesco. Salvo poi tradirlo”. E non contento insiste: “Se si guarda bene anche le date coincidono”.
    Ora se Fini è come Badoglio, Berlusconi è come Mussolini ed è destinato alla stessa fine. E' questo che vuol dire l'onorevole Bianconi? I paragoni storici è meglio lasciarli agli storici. Il fatto è un altro. Sapete da dove viene Bianconi? Dal Movimento sociale italiano, anche lui. A conferma che tutta questa vicenda di tradimenti e badoglismi si è consumata dentro un recinto che, nonostante le molte discontinuità, continua a reagire alle nuove sollecitazioni con le vecchie parole e con tutto il repertorio del passato che non passa.

    Le parole orientano i gesti. Sono esse stesse gesti che costringono le condotte delle persone dentro copioni già scritti. Al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non avrebbe fatto male tenersi alla larga da vecchi regolamenti di conti consumati dentro una vicenda politico-ideologica con la quale non ha niente a che spartire. Al presidente della Camera, Gianfranco Fini, converrebbe tuttavia riflettere sul passato da cui siamo parlati a dispetto di tutte le nostre pretese di sbarazzarcene. La ricerca di una nuova cultura di destra di certo se ne gioverebbe. Ma per farlo, il presidente Fini dovrebbe affrontare di petto una questione che palesemente lo terrorizza: il tradimento. C'è un buon uso del tradimento, presidente, che non consiste in atti di abiura e dallo spettro del quale tuttavia non ci si difende con quella sorta di rigurgito identitario che sono le dichiarazioni a effetto sulla legalità o sui giudici che ne sono il presidio. Più impervio ma più generoso di doni è il confronto con la storia, quella politica che con altri ha attraversato e quella più generale del paese che aspira a governare. E' l'unico modo per separarsi sul serio dagli amici di un tempo e dalle loro parole morte.

    di Adolfo Scotto di Luzio