Sette luglio 2005

Antonio Gurrado

Londra ricorda gli attentati del 7 luglio del 2005 cercando di capire che cos'è oggi l'islam in Europa, provando a non inciampare nelle mezzelune e nei veli integrali. Il Times lancia l'allarme, rivela la presenza di cellule pericolose in territorio britannico, la London School of Economics ospita un forum mondiale su “interazione, adattamento e integrazione” delle minoranze islamiche.

    Londra ricorda gli attentati del 7 luglio del 2005 cercando di capire che cos'è oggi l'islam in Europa, provando a non inciampare nelle mezzelune e nei veli integrali. Il Times lancia l'allarme, rivela la presenza di cellule pericolose in territorio britannico, la London School of Economics ospita un forum mondiale su “interazione, adattamento e integrazione” delle minoranze islamiche, e ieri alla Camera dei Lord è stata presentata una raccolta di scritti che testimoniano come i musulmani inglesi hanno vissuto questi cinque anni. Il curatore, Murtaza Shibli, membro del Muslim Council of Britain, difende il modello britannico, aggiunge anzi che “l'islam inglese influenzerà l'islam mediorientale nell'invocazione di principi democratici e rispetto dei diritti umani”.

    Sara Silvestri, professoressa di relazioni internazionali alla City University London e direttrice del Global Justice Program del St. Edmund's College a Cambridge spiega: “Il dibattito europeo sul management statale delle comunità musulmane va avanti da tempo, ma sono scettica sulla sua utilità, sui suoi meccanismi e sulle sue conseguenze. Chiedere ai musulmani di prendere posizione in quanto musulmani, o la ricerca forzata di ‘risposte musulmane' anche su temi estranei alla fede, può portare a una specie di riconfessionalizzazione dell'Europa”. Nel corso del suo intervento alla London School of Economics, Silvestri ha illustrato che “il processo di securtizzazione dell'islam (l'identificazione di una minaccia interna che richieda un intervento eccezionale dello stato) non è iniziato l'11 settembre: era già presente in Inghilterra nell'allarme per la fatwa contro Salman Rushdie o, in Francia, nell'affaire du foulard che risale al 1989”.

    La novità è l'“adopt & adapt”,
    l'idea che l'islam debba comportarsi “come una fede organizzata, con rappresentanti presso le istituzioni, adottando schemi preesistenti di interrelazione fra lo stato e altre comunità religiose in maniera tale da adattarsi al contesto politico contingente”. Una delle principali cause dell'attrito fra comunità islamiche e stati europei è questo reciproco fraintendimento: “Non bisogna presumere che ogni musulmano possa rispecchiarsi nella comunità che sostiene di rappresentarlo”.

    La Gran Bretagna, che ha privilegiato l'approccio multiculturalista,
    “ora paventa la rivalità fra minoranze etnico-religiose che può sfociare in tensioni sociali”. La maniera migliore di correlarsi agli islamici europei è mettere in secondo piano l'identità religiosa e concentrarsi su “tre punti: il contesto della nazione in cui vivono; la classe sociale a cui appartengono; la storia personale dell'individuo”. Con una punta d'orgoglio annuncia che per il prossimo libro – “Europe's Muslim Women: beyond the burqa controversy” (Hurst) – ha scartato tutte le copertine che contenessero mezzelune e veli.