Quando diventerete grandi?/ 2

Che palle con 'sta storia del calcio metafora della vita

Andrea Marcenaro

Prima di tutto, ho detto “quel fighetta”, di Platini, non quel fighetto. Secondariamente, questa palla mortale che il calcio sia una metafora della vita, possono rimbalzarsela quelli che usano il pallone come Rodotà la privacy. Quelli che amano il calcio, e da piccoli, parlo di me, tutto sapevano di Skoglund, niente di Hegel.

    Prima di tutto, ho detto “quel fighetta”, di Platini, non quel fighetto. Secondariamente, questa palla mortale che il calcio sia una metafora della vita, possono rimbalzarsela quelli che usano il pallone come Rodotà la privacy. Quelli che amano il calcio, e da piccoli, parlo di me, tutto sapevano di Skoglund, niente di Hegel, e quando pioveva nel Pineto si domandavano all'incirca se il campo avrebbe retto, sono corsi sorridenti incontro a parecchie inculate strategiche della vita stessa, ma guardano ancora come si stoppa una palla e la si gira, stop. Chiedendosi se mai, una volta sola, e anche quella soprattutto per rompere i coglioni ai metaforanti, se non fosse la vita, ad essere piuttosto una metafora del calcio. Dato che questa vale quella. Ammetto, perché va ammesso, di aver proposto il metaforismo a mia volta al direttore amatissimo. Quando il ricordo è più forte di te. Il Maradona di quel periodo era stato indimenticabile.

    E un intero paese, non credo di geometrica e barbarica potenza, ma certo con qualche desiderio di conciliarsi con le tempeste di una civilizzazione come veniva veniva, lo fischiò. E fischiò il calcio. Non le Falkland, nemmeno las Malvinas, il calcio. Era Italia '90, ve la ricordate? Gloriosissimo emblema di una generazione di imprenditori al cartoccio i quali ancora la menano con l'etica, che lasciamo perdere. Ma che contrapponeva un Platini, da cui l'infame accosto. Colpevole, intendiamoci, e chiedo scusa. Tant'è. Dieci, cento, o mille Evir Kusturica, non riusciranno a rovinare il pallone. E Maradona, è, il pallone. Punto. Il Brasile è un altro pallone. Punto. La Germania, un invidiabilissimo stabilimento di ottici podisti che, quando scende dal cielo un Beckenbauer, assomiglia a un pallone. Che un giornale come il Foglio non capisca il Te Diegum, straccione che sia, sorprende. Che tratti il calcio tirando alla viva il parroco come manco il vecchio Suslov, confonde.

    La controprova l'ho trovata ieri:
    “Giovani e bastardi, i campioni col passaporto di Germania seppelliscono il mito tedesco della razza e infliggono una lezione di calcio pure a Maradona, evitandoci così la piaga dell'ennesima icona populista. Presto anche le curve più becere dei nostri stadi dovranno smetterla di gridare ‘non ci sono negri italiani', e la bellezza del calcio le porterà ad abbracciare la generazione Balotelli. E' un delizioso sberleffo della storia, quello che si sta consumando nell'ultima patria dell'apartheid”. Non ve lo dico. Indovinate da soli quale degnissimo figlio degli anni Sessanta possa aver scritto sul calcio, specifico, sul calcio, una cazzata del genere.

    • Andrea Marcenaro
    • E' nato a Genova il 18 luglio 1947. E’ giornalista di Panorama, collabora con Il Foglio. Suo papà era di sinistra, sua mamma di sinistra, suo fratello è di sinistra, sua moglie è di sinistra, suo figlio è di sinistra, sua nuora è di sinistra, i suoi consuoceri sono di sinistra, i cognati tutti di sinistra, di sinistra anche la ex cognata. Qualcosa doveva pur fare. Punta sulla nipotina, per ora in casa gli ripetono di continuo che ha torto. Aggiungono, ogni tanto, che è pure prepotente. Il prepotente desiderava tanto un cane. Ha avuto due gatti.