“Peggio di Zambia-Italia 4-0”. Parola di chi quel giorno ce ne fece tre

Francesco Viola

Ricordate Kalusha Bwalya? Se il nome non vi dice niente fate un salto indietro di ventidue anni e immaginate un'altra giornata come quella di giovedì all'Ellis Park, con uno sconosciuto zambiano che rifilò tre gol alla nostra Nazionale olimpica. Era Seul 1988 (anche se si giocava a Kwangju), finì con un quattro a zero per loro, e Bwalya, che oggi ha 47 anni, ricorda che italiani e africani erano nello stesso albergo nella capitale coreana.

    Ricordate Kalusha Bwalya? Se il nome non vi dice niente fate un salto indietro di ventidue anni e immaginate un'altra giornata come quella di giovedì all'Ellis Park, con uno sconosciuto zambiano che rifilò tre gol alla nostra Nazionale olimpica. Era Seul 1988 (anche se si giocava a Kwangju), finì con un quattro a zero per loro, e Bwalya, che oggi ha 47 anni, ricorda che italiani e africani erano nello stesso albergo nella capitale coreana. “I vostri nemmeno ci guardavano – ricorda – non sapevano nemmeno che eravamo noi gli avversari. Ridevano, scherzavano. Dopo il primo giorno qualcuno cominciava a indicarci col dito, come se venissimo da un mondo lontano e sconosciuto. Oggetti rari”. Massimo Mauro, che faceva parte di quella Nazionale allenata da Francesco Rocca, ricorda un pomeriggio d'inferno, caldo e umido, “con quegli sconosciuti che correvano come dannati e noi con le gambe bloccate”. E questo Bwalya “francamente non sapevamo da dove spuntava fuori”.

    L'altro giorno l'incubo di Seul era allo stadio, mentre gli Azzurri si facevano buttare fuori dalla Slovacchia. Dice che faceva un tifo, moderato, per noi, a causa di una moglie italiana conosciuta pochi mesi dopo quel fantastico pomeriggio alle Olimpiadi. “E francamente – dice – penso che questa sconfitta sia ancora peggiore di quella con lo Zambia. Oggi il calcio è globale e sappiamo tutto di ogni nazionale. Dal punto di vista tecnico il vostro girone era uno dei più deboli. E non credo, come ho sentito, che il livello del calcio in Italia sia quello che ho visto”. Nell'88 dunque Bwalya era un carneade come quel Vittek slovacco che gioca in Turchia, nell'Ankaragücü. Lui fu uno dei primi africani a sbarcare in Europa, in Belgio nella seconda squadra di Bruxelles. Poi ha vinto il Pallone d'oro africano e quando allenava la sua Nazionale fu protagonista a 41 anni di un episodio incredibile. Nel 2004 mentre si giocava una partita di qualificazione per i Mondiali tedeschi e lo Zambia se la vedeva male in Liberia a un certo punto decise di prendere la situazione in mano, si cambiò e scese in campo.

    Era il ventiquattresimo della ripresa
    ed entrò al posto di un attaccante, un tale Fichite, che stava deludendo. Segnò di testa a un minuto dalla fine. Oggi Kalusha guida la federazione del suo paese e fa parte della commissione tecnica della Fifa. Ma sull'Italia di Lippi ha le idee molto chiare. Almeno su un giocatore. Quello con la sua pelle che gioca nell'Inter. “Non voglio insegnare nulla, per carità. Ma da voi gioca quel Balotelli, che è l'unico italiano nella squadra che ha vinto la Champions. Ecco, in un Mondiale in Africa io l'avrei convocato. Portava un po' di follia, che non guastava”. Da noi ormai la Slovacchia è diventata come la Corea, e anche Kalusha Bwalya è stato paragonato al dentista coreano, che poi dentista non era. La galleria degli orrori del calcio italico. I giustizieri sconosciuti come Vittek. “Il mio Zambia – infierisce – fu qualcosa di irripetibile. Era la prima volta che una superpotenza europea veniva battuta con un punteggio così largo da una squadra africana. Ma almeno quell'Italia poi passò il turno. Ed arrivò in semifinale. Questa volta la botta è molto, molto più grossa”.