La triste sorte di quei marchi che sponsorizzavano gli Azzurri

Michele Boroni

La plateale eliminazione della Nazionale italiana dal girone con il più basso rating Uefa ci porta a fare una serie di riflessioni di breve e lungo periodo: considerazioni che mettono insieme reputazione e mancati guadagni, disaffezione dei tifosi e investimenti degli sponsor. La sorprendente vittoria del 2006 aveva creato un effetto moltiplicatore degli sponsor, ufficiali e non, che erano arrivati addirittura a 27 per un totale di 56 milioni di euro di contratti contro i 42 del quadriennio precedente.

    La plateale eliminazione della Nazionale italiana dal girone con il più basso rating Uefa ci porta a fare una serie di riflessioni di breve e lungo periodo: considerazioni che mettono insieme reputazione e mancati guadagni, disaffezione dei tifosi e investimenti degli sponsor. La sorprendente vittoria del 2006 aveva creato un effetto moltiplicatore degli sponsor, ufficiali e non, che erano arrivati addirittura a 27 per un totale di 56 milioni di euro di contratti contro i 42 del quadriennio precedente.
    Sono molte le cifre che sono circolate sui giornali in questi giorni riguardo ai danni economici causati dalla sconfitta con la Slovacchia. Di sicuro ci sono venti milioni di euro di mancato guadagno: dieci milioni da parte della Fifa, tre milioni dai premi degli sponsor ufficiali e sei milioni da contratti con altri sponsor. Se a questi poi si aggiunge tutto il mercato dell'“indotto” legato al merchandising ufficiale (stimato intorno ai 5 milioni di euro), a quello parallelo (in nero e spesso gestito dalla criminalità organizzata), i contratti pubblicitari, le varie licenze d'esclusiva, i mancati guadagni di locali pubblici, vendite di giornali eccetera, si stima che il “rosso” arriverà fino a 140 milioni di euro, e forse qualche migliaia di posti di lavoro.

    Il futuro “commerciale” della nazionale si deciderà nei prossimi mesi: tutti i contratti della Figc – ad esclusione di quello con Puma che è valido fino al 2014 per 60 milioni di euro – scadranno a dicembre, e dopo la batosta sudafricana sia per i diritti tv che per gli altri sponsor si prevede un calo delle entrate del 9-10 per cento, ritornando agli investimenti precedenti alla vittoria di Berlino, come se questa non fosse mai avvenuta.
    Ma scendiamo più in basso e proviamo a capire quali saranno, nel brevissimo periodo, gli effetti di marketing dell'eliminazione dell'Italia dalla World Cup e, sopratutto, come si comporteranno nei prossimi giorni quei marchi che hanno legato la propria immagine alla Nazionale e ad alcuni suoi giocatori.
    Venerdì 25 giugno, il giorno dopo la sconfitta con la Slovacchia, Il Corriere dello Sport – Stadio titolava “Vergogna!”, accusando Lippi, Federcalcio e i calciatori tutti. Nella stessa pagina del quotidiano, in basso a destra, svettava un tronfio Fabio Cannavaro (4 in pagella) testimonial del gel da barba Gillette. Un errore poco perdonabile, ma giustificabile dai tempi stretti di impaginazione e dalle pianificazioni dei centri media. Sicuramente da non ripetere. Il rischio è quello di inficiare la reputazione del marchio che può essere ribaltata da un'associazione con un evento negativo. Le multinazionali che investono sulle nazionali o sui giocatori sanno bene che quando parte la macchina delle pianificazioni pubblicitarie non si può più fermare. Oggi Gillette non ha eliminato gli spazi già acquistati dal proprio centro media, ma ha avuto il tempo di sostituire l'immagine del capitano della nazionale con quella di un anonimo fotomodello della precedente campagna. Il problema è quando l'effige del giocatore o della squadra è stampata direttamente sul prodotto o sul materiale pubblicitario all'interno del punto vendita.

    Nei supermercati ancora oggi sono presenti materiali pubblicitari delle patatine Pringles con l'immagine di Torres e Di Natale: quindi se stasera la Spagna esce dal Mondiale, allora la scelta del colosso delle patatine non sarà stata particolarmente felice. Questo ci fa capire che per i brand è preferibile legarsi all'immagine di un grande evento neutro (in questo caso il Mondiale o eventuali spin-off locali) piuttosto che al singolo giocatore o alla singola Nazionale. “L'associazione al team o al singolo atleta presenta degli aspetti aleatori devastanti” racconta al Foglio Marcel Vulpis, direttore di SportEconomy.it, portale specializzato nel business legato al mondo dello sport. “Oggi alcune multinazionali che decidono di investire su una squadra o su un atleta preferiscono firmare dei contratti blindati con corrispettivi legati al raggiungimento di certi obiettivi (non è questo il caso della Nazionale italiana), oppure, come succede per molti tennisti da alcuni anni, le aziende di abbigliamento tecnico si riassicurano su possibili problematiche dell'atleta. Ad esempio Diadora con Kuerten si assicurò con la Lloyd di Londra e quindi, a seguito dell'incidente dell'atleta, l'azienda recuperò tutti i soldi della sponsorizzazione”.

    Sulla sponsorizzazione di squadre e atleti vince quasi sempre chi gioca d'anticipo, anche perché i grandi successi non sempre si ripetono. “Quattro anni fa gli Azzurri in Germania giravano su macchine Volkswagen e volavano Eurofly (Meridiana). Dopo la vittoria del Mondiale salirono sul carro dei vincitori, in ritardo e con contratti milionari, anche Alitalia e Fiat – spiega ancora Vulpis – Quest'anno però l'uscita dal portellone del boeing Alitalia dei giocatori italiani insultati dai tifosi e ripresa dalle telecamere non è stata una bella immagine”.