Il Real africano vince la Champions ma non ha uno stadio

Francesco Caremani

E'  un cuore che vola quello del TP Mazembe ed è il cuore dell'Africa, dove TP sta per tout puissant: l'Onnipotente. Sarà perché gioca a 1.000 metri d'altezza, sarà perché ha vinto l'ultima Champions League africana o perché nel 1939 è stata fondata dai monaci benedettini che dirigevano l'Holy Institute Boniface di Elisabethville, il nome coloniale dell'attuale Lubumbashi: dove il calcio era riservato agli studenti che non prendevano i voti.

    E' un cuore che vola quello del TP Mazembe ed è il cuore dell'Africa, dove TP sta per tout puissant: l'Onnipotente. Sarà perché gioca a 1.000 metri d'altezza, sarà perché ha vinto l'ultima Champions League africana o perché nel 1939 è stata fondata dai monaci benedettini che dirigevano l'Holy Institute Boniface di Elisabethville, il nome coloniale dell'attuale Lubumbashi: dove il calcio era riservato agli studenti che non prendevano i voti. Nel '44 lo sponsor le dà il nome, F. C. Englebert, ma è nei secondi Sessanta che diventa una delle squadre più importanti del continente, vincendo due coppe dei Campioni giocando quattro finali consecutive. Dopo la sanguinosa guerra civile congolese, 1960-63, quando Moise Tshombe proclamò l'indipendenza del Katanga con Lubumbashi capitale. E' qui che il ricchissimo governatore della provincia e presidente del sodalizio bianconero, Moïse Katumbi Chapwe, sta cercando di costruire il Real d'Africa.

    A Karavia, nella periferia di Lubumbashi, è stato costruito il quartier generale del TP Mazembe: cucina, camere singole, piscina, refettorio e sala con la televisione. Ma ciò che più attira i giocatori dell'Africa nera è lo stipendio che si aggira tra i 4.000 e i 16.000 euro mensili, sarà anche per questo che il TP Mazembe ha vinto la Champions League africana 2009, manifestazione nella quale è ancora in corsa sperando di ripetersi come nei mitici Sessanta, e preso parte al Mondiale per club. Tutta questa grandeur, però, scema quando si parla del campo d'allenamento che ancora non c'è, costringendo i ragazzi di Diego Garzitto, l'allenatore francese, a fare la spola tra lo stadio cittadino (de la Kenya) e il golf club. Situazione che ha fatto del TP Mazembe una squadra nomade e in queste condizioni, nonostante tutto, è difficile lavorare e programmare, anche perché nella zona dove sorge l'attuale quartier generale chiedono cifre assurde per l'acquisto di un terreno, anche per il ricchissimo MKC, acronimo del presidente bianconero. Nemmeno le condizioni climatiche aiutano, tanto che sono stati investiti 560.000 euro per dotare lo stadio di Lubumbashi di un manto d'erba sintetica.

    Il sogno di Moïse Katumbi Chapwe è molteplice,
    da una parta far diventare il TP Mazembe il club più forte e importante d'Africa, dall'altra creare un centro di formazione da fare invidia a quelli europei. Obiettivi per i quali, quest'anno, ha già messo sul piatto della bilancia 8 milioni di euro, grazie anche ai buoni rapporti col governo della Repubblica democratica del Congo, con la Federazione e senza dimenticare il ruolo nella commissione marketing della CAF.

    Quasi 4.000 chilometri dividono Lubumbashi da Abidjan, dove c'è un'altra storia africana da raccontare, quella dell'Académie: dove si studiava, si mangiava, si dormiva, si giocava a calcio e da dove sono usciti quasi tutti i giocatori più famosi della Costa d'Avorio, come Kolo e Yaya Touré, Eboué, Salomon Kalou, Zokora, Boka e Bakary Koné, molti dei quali colonne della Nazionale. Roger Ouegnin, presidente dell'ASEC Mimosas, negli anni Novanta ha chiamato Jean-Marc Guillou, numero 10 della Francia nel '78 in Argentina, capace d'immaginare un calcio ove comandassero la tecnica e il talento, per fondare l'Académie. Per i giovani ivoriani l'alternativa si chiamava Collège St. Jean Bosco di Treichville, una scuola d'élite capace di aprire la strada a chance ben più importanti che diventare un calciatore, ma non tutti la pensano così, soprattutto in un paese bello, ricco di materie prime e fragile, come molte altre nazioni africane. Sessanta gruppi etnici diversi, riconducibili a cinque grandi ceppi, sono difficili da tenere insieme e nel 2002 è scoppiata una guerra civile tra i rivoltosi del nord guidati da Guillaume Soro e l'esercito del presidente Gbagbo, accusato di essere un dittatore. Guerra civile che ha avuto un epilogo sconcertante: nel novembre del 2004, infatti, 2 dei 3 milioni di abitanti di Abidjan hanno organizzato la caccia all'uomo bianco, che da allora non v'è più tornato. Il 4 marzo 2007 è stata firmata la pace, ma la situazione è ancora difficile, il sogno di Ouegnin e Guillou di creare un ponte tra l'Africa e l'Europa ha rischiato di naufragare nella crisi economica e sociale. Ma lì sul mare, di fronte ad Abidjan, il sole tramonta ancora sui muri dell'Académie, a Sol Beni, e anche se il paese di una volta è stato spazzato via dalla guerra civile i ragazzi anelano diventare i nuovi académicien, per giocare a pallone, per un contratto in Europa, per continuare a sognare calcio.