Debutta il Sudafrica, ma è solo quello dei neri. I bianchi non tifano

Francesco Viola

Si fa fatica a trovare una faccia bianca che sventola una bandierina sudafricana (ce ne sono tantissime, tutte minuscole e di plastica, le portano in mano andando in ufficio o le appendono ai finestrini dalle macchine). E non c'è un bianco che allo stadio si sia messo in bocca le odiose “vuvuzela”, le trombette che rompono i timpani e saranno, purtroppo, la colonna sonora dei Mondiali.

    Si fa fatica a trovare una faccia bianca che sventola una bandierina sudafricana (ce ne sono tantissime, tutte minuscole e di plastica, le portano in mano andando in ufficio o le appendono ai finestrini dalle macchine). E non c'è un bianco che allo stadio si sia messo in bocca le odiose “vuvuzela”, le trombette che rompono i timpani e saranno, purtroppo, la colonna sonora dei Mondiali. La festa sudafricana è iniziata, ma non è tempo di “Invictus”. Se nel 1995 Mandela sfruttò il Mondiale di rugby per portare dalla sua parte i dirigenti dell'apartheid, trasformando quell'evento in un momento di catarsi collettiva in cui la maggioranza di colore fece il tifo per la squadra-simbolo degli oppressori, oggi la magia è svanita. “La Coppa del mondo di calcio non provocherà cambiamenti radicali, i genitori bianchi non si convinceranno a portare i loro figli piccoli ad allenarsi sui campi di football”, spiega Joe Latakgomo, che ha pubblicato pochi mesi fa una bellissima storia politica del calcio sudafricano. Latakgomo è stato uno dei fondatori del giornale Sowetan e ha raccontato le partite di pallone durante i lunghi anni della segregazione.

    Oggi è sconsolato e guarda al Mondiale
    con un pizzico di amarezza: “Purtroppo il calcio in Sudafrica è rimasto un'enclave nera”. Nei Bafana Bafana, i “ragazzi” in lingua zulu, gioca un solo “afrikaner”, la riserva Matthew Booth, sposato a una modella che è stata finalista di Miss Sudafrica ed è nata a Soweto. Il difensore ha ereditato la passione dal padre, anche se a scuola tutti i suoi compagni si battevano sui campi di rugby o iniziavano a giocare a cricket. “So benissimo – ci racconta – che non scaldiamo i cuori delle persone che hanno il colore della mia pelle, e questo è stato un fallimento della riconciliazione”.

    La questione è antica. Si è aperta negli anni 70, quando la Federazione calcistica dei bianchi fu espulsa dalla Fifa e da tutte le competizioni internazionali dopo quattordici anni di sospensione. Fino a quel momento, in realtà, il calcio era abbastanza popolare tra i dominatori e anche nella popolazione di origine indiana. E si potevano trovare anche delle squadre miste. Alla fine però l'apartheid decise di confinare il calcio e isolarlo nelle zone urbane nere: diventò il gioco del riscatto per i prigionieri di Robben Island. Anche l'attuale presidente Zuma approfittava delle partite per incontrare gli altri leader del partito, mentre è storia che i campionati della Makana football association organizzati tra i detenuti fu una delle prime cose che ottennero Mandela e soci quand'erano rinchiusi in prigione. Però il football scomparve dalle scuole bianche e dall'orizzonte di una certa élite del paese. Oggi le cose sono rimaste com'erano prima di Mandela. Su cinquanta milioni di sudafricani poco più di quattro sono bianchi, ma tra i rugbisti degli Springboks che vinsero la Coppa nel 1995 i “whites” erano 14 su 15, e 13 su 15 quelli che tornarono a vincerla nel 2007. Stesse proporzioni nel calcio, anzi peggio. Se nel 1996 c'erano appena tre bianchi, adesso c'è solo il valoroso Booth, ieri confinato in panchina.

    Così non serve andare a Vestendorp, nella terra che fu di Eugène Terre'Blanche,  per trovare un'ostilità aperta nei confronti del “gioco dei neri” e del Mondiale “black”. Nei quartieri residenziali a nord di Jo'burg quando incontri un bianco e gli chiedi per chi tiferà puoi ricevere diverse risposte. Su dieci persone incrociate a Sandton, in quattro hanno detto Olanda, tre erano indifferenti, due Germania e una signora, quasi stupita, ha sgranato gli occhi e  ha pronunciato alla fine la parola Sudafrica.
    Francesco Viola