Perché miss Vogue America fa la settimana corta a Milano

Federico Sarica

Sta a vedere che a questa favoletta di Wintour, la potente direttrice di Vogue America, nelle vesti di responsabile principale del momento negativo della moda italiana - grazie alla decisione di ridurre a tre i giorni della sua permanenza a Milano in occasione della Settimana della Moda - iniziano a crederci un po' tutti.

    Sta a vedere che a questa favoletta di Wintour, la potente direttrice di Vogue America, nelle vesti di responsabile principale del momento negativo della moda italiana - grazie alla decisione di ridurre a tre i giorni della sua permanenza a Milano in occasione della Settimana della Moda appena cominciata - iniziano a crederci un po' tutti.
    Tanto quelli che pragmaticamente si sono affrettati a ribaltare il calendario ufficiale in base alle esigenze di Mrs Wintour, quanto quelli che, in nome di una rivendicata autonomia del Made in Italy, si sono pubblicamente ribellati ai presunti capricci della direttrice. “Facciamo come la Francia, loro sì che hanno la schiena dritta”, è stato il ritornello di questi giorni.

    Ma davvero è tutta solo una questione di essere capaci di fare autarchicamente spallucce davanti alle bizze del nemico americano? E siamo sicuri che l'esigenza di presenziare alla Notte degli Oscar - motivo ufficiale addotto da Wintour per giustificare il cambio di programma - possa essere ridotto allo status di effimero capriccio?
    C'è chi offre un'altra visione: “Certo, non è una fatto positivo per la moda italiana, ma il vittimismo credo serva a poco. Piuttosto sarebbe interessante capire perché, oggi, la direttrice di una delle più importanti riviste di moda del mondo preferisce andare agli Oscar invece che alle sfilate - racconta al Foglio Rebecca Voight, nota giornalista di moda, oggi firma di punta del prestigioso mensile Interview - la kermesse hollywoodiana è un happening mediatico di dimensioni globali; non a caso è diventato negli anni un'ottima occasione, per le maison di moda, di vestire le star del cinema e utilizzarle come testimonial per influenzare larghe fette di mercato. Gli eventi legati alla moda, d'altra parte, sono invece perlopiù seguiti da pochi addetti ai lavori che alla fine al massimo, se va bene, si comprano una borsetta. Ed ecco che gli Oscar diventano un pericoloso e valido competitor delle sfilate”.

    Eppure, Wintour o non Wintour, qualcosa andrà fatto per risollevare l'evento che rappresenta un'industria, quella del fashion, che nella sola Milano costituisce il ventuno percento del Pil.
    “Io credo che Milano debba tornare a fare quello che così tanto bene ha fatto in passato con astri allora nascenti come Armani: supportare, anche economicamente, i propri nuovi talenti. Io ho scelto di vivere e lavorare a Parigi - prosegue Rebecca Voight - proprio perché la capitale francese mi offre questa doppia possibilità: da una parte avere il polso del mercato e dei grandi nomi che lo dominano, dall'altro capire dove la moda sta andando esteticamente e culturalmente. Ma questo lo puoi fare solo aprendo seriamente le porte al talento e all'internazionalità; a Parigi sfilano giovani stilisti provenienti da tutto il mondo e, grazie all'impegno della Federation Francaise de la Couture, è stato istituito l'ANDAM, un premio di 220.000 euro offerto ogni anno a un talento emergente”.
    E per talenti emergenti si intendono nuove piccole realtà imprenditoriali di cui si sono monitorate e intuite le potenzialità, non un concorso per studenti alle prime armi fatto per aggiungere una spruzzatina di giovanilismo.

    “E' una visione che mi trova d'accordo. Non è più tempo di stare seduti sugli allori dei fasti degli anni '80; è per questo che urge un mea culpa delle istituzioni”, esordisce l'Assessore del Comune di Milano alle Attività Produttive con delega alla Moda, Giovanni Terzi, chiacchierando col Foglio. “Dobbiamo prendere atto che le dinamiche sono cambiate e che la moda e la creatività in genere sono settori in cui bisogna tornare ad investire al più presto. La logica non dev'essere quella dell'incubatore che forma talenti e poi li lascia scappare all'estero - continua Terzi - dobbiamo, al contrario, fare in modo che Milano diventi una tappa fondamentale per il successo di chiunque, al di là della nazionalità; tornare ad essere centrali è la sfida. E con questa idea in testa  che stiamo lavorando ad un nuovo format per settembre. Un format che certamente avrà ancora mille difetti, ma che vorrà iniziare a dare l'idea che alcuni segnali importanti sono stati colti”. Segnali incoraggianti che, seppur sporadici, effettivamente non mancano.
    Basta pensare a uno stilista come Albino D'Amato - uno dei migliori talenti italiani delle ultime generazioni - che, incurante dei problemi legati al ribaltamento del calendario ufficiale, sfilerà regolarmente nella data prestabilita; o a una iniziativa come Introduce, che vedrà l'edizione italiana di Vogue e la fiera femminile White unirsi per dare spazio a otto nuovi stilisti emergenti provenienti da cinque diverse nazioni. Stati Uniti compresi.