In rete e in sezione, gli amici del segretario in rivolta

Bersani torna a parlare di riforme, ma intanto il Pd si chiede che cosa sta facendo

Alessandra Sardoni

"Noi siamo pronti da domattina a discutere di riforme, non importa se ci sono le elezioni regionali in primavera, siamo pronti a una discussione anche in presenza della campagna elettorale" ma questa disponibilità ha una condizione, ha detto il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. "Se la destra turba queste condizioni invadendo il Parlamento con uno tsunami di provvedimenti che mettono al riparo il premier dai suoi problemi, la destra si assume una responsabilità".

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    "Noi siamo pronti da domattina a discutere di riforme, non importa se ci sono le elezioni regionali in primavera, siamo pronti a una discussione anche in presenza della campagna elettorale" ma questa disponibilità ha una condizione. "Se la destra turba queste condizioni invadendo il Parlamento con uno tsunami di provvedimenti che mettono al riparo il premier dai suoi problemi, la destra si assume una responsabilità. Berlusconi deve dimostrare se mette davanti sé stesso o i problemi del Paese". In una lunga conferenza stampa dopo la pausa natalizia, il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, fa il punto della situazione e risponde alle richieste di discutere di riforme giunte dal centrodestra. Innanzitutto un messaggio al Pdl: "Invito Berlusconi, Bonaiuti e gli altri a risparmiarsi il balletto di domande retoriche: Bersani ce la farà? Sarà una delusione? Questi giochini non impressionano. Lo dico forse senza troppo amore, ma certamente senza odio, perche' io non voglio che il Pd odi nessuno". Poi il segretario del Partito Democratico ribadisce la disponibilità a discutere di riforme istituzionali sui poteri del Parlamento e del Governo, sul bicameralismo, sul numero dei parlamentari e su una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i parlamentari. "Su questo siamo disponibili e intenzionati a discutere anche di una lettura dei rapporti reciproci tra Parlamento, Governo e Magistratura, ma solo dentro una riforma complessiva. Per quel che riguarda la riforma della giustizia, Bersani è aperto a una riforma ordinaria della giustizia "a partire dai servizi ai cittadini". Ma "se ci sono profili di natura costituzionale da rivedere per sancire meglio l'autonomia delle funzioni dei poteri di Parlamento, Governo e Magistratura, parliamone. Ma non accettiamo norme scardinatrici del sistema".

    Uno dei suoi cinquemila amici di Facebook, Ivan Andreucci, gli ricorda che alla Festa nazionale del Pd a Genova disse di non aver paura di pronunciare la parola sinistra. Un'altra, Pina Loreti, gli invia foto di Pier Ferdinando Casini con domanda retorica: “Nel Lazio sta con il Pdl, in Puglia con il Pd. Che bestia politica è? Bersani, ma che accidenti stai combinando?”. Un altro amico lo ha ritratto in posa sorridente durante la vacanza natalizia a New York, ma allega didascalia che perdona poco o nulla: “Allora sei peggio di Veltroni!”. Altri lo invitano a farsi sentire per niente convinti dalla strategia della distanza o del silenzio. La bacheca Fb del segretario del Pd ribolle di critiche con riferimenti precisi alle pene per le candidature in Puglia e Lazio.

    L'iperloquacità del social network è un po' come la vox populi in Tv, guai a prenderla per un campione, ma è un argomento a favore di quanti accusano Bersani di non voler esercitare pienamente la leadership. Da Europa all'Unità, da Repubblica al più affezionato Riformista, sul segretario del Pd piovono da giorni giudizi negativi, allarmi, consigli, inviti a volte anche di segno opposto: troppo peso alle alleanze e poco ai candidati o viceversa. “Se anche l'Unità spara sul Pd, reo di litigare nella scelta dei candidati alle regionali vuol dire che le cose per la segreteria di Bersani cominciano proprio male”, scriveva Antonio Polito alla vigilia dell'Epifania criticando l'afasia sulla politica economica, specialità storica del segretario. Osservazione condivisa dal direttore di Europa Stefano Menichini. Come dire se la scelta è quella di parlare poco, quando parla, Bersani detti l'agenda.

    E' quello che il segretario ha deciso di fare oggi: conferenza stampa sui temi economici e politici, ore undici e trenta nella sede del partito. Non è un appuntamento facile per uno che ha vinto il congresso teorizzando gli splendori del gruppo dirigente che ha rispolverato l'arcaismo non agreste per una volta, ma politicien degli “esploratori” Francesco Boccia e Nicola Zingaretti. Parola che non è piaciuta a Michele Serra, feroce e non satirico su Rep. nel notare la paradossale impotenza del Pd a esprimere candidati a fronte del suo peso politico, “un elefante cieco tirato per la proboscide o per il codino da alleati veri o presunti”. Dice il fedelissimo di Veltroni, Walter Verini, che “ha prevalso la logica del risiko delle alleanze rispetto a un partito che deve parlare alla società , ebbene sì: a vocazione maggioritaria visto che in alcune regioni abbiamo il 30-35 per cento”.

    Area democratica, la corrente di minoranza franceschinian-veltroniana, non dà numeri a caso: accredita i successi delle passate regionali laddove il dalemiano, pugliese, Nicola Latorre si è affrettato a spiegare sul Corriere che “con i numeri delle europee vinceremmo oggi solo in tre regioni”. Come dire colpa di Veltroni o di D'Alema. E' l'altro problema di Bersani. La satira (per esempio sull'Unità) se la prende con D'Alema, gli attribuisce il pasticcio pugliese all'insegna del primato della politica e per il troppo peso dato a Casini accreditando lo stereotipo della sudditanza di Bersani. Per di più non vincente: “Disponibili a perdere con Boccia in Puglia”, tuonava in Tv il leader dell'Udc che nel Lazio appoggia, lo ha detto, la Polverini con il Pdl. Europa fissa l'asticella di Bersani in un risultato di otto regioni a favore del centrosinistra (nel 2005 erano undici su tredici) e in un 30 per cento come dato complessivo del Pd. “I sondaggi confortano”, dicono nel Pd, ma senza sorridere.

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