Seconda parte

La Francia secondo le Crapouillot, foglio realista e di battaglia

Sandro Fusina

Per la sua imponenza fisica e per i suoi modi (“Dico sempre quello che penso e penso sempre quello che dico”) Galtier aveva amici fedeli e fedelissimi nemici. Gli intellettuali dei salotti e delle case editrici non apprezzavano i suoi comportamenti rabelaisiani, le cene ricorrenti, soprattutto in un famoso ristorante sul canale della Villette, a base di generose porzioni di carne fornite dai vicini mattatoi, dei migliori bordeaux e di storielle, battute e canzoni satiriche in coro.

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    Per la sua imponenza fisica e per i suoi modi (“Dico sempre quello che penso e penso sempre quello che dico”) Galtier aveva amici fedeli e fedelissimi nemici. Gli intellettuali dei salotti e delle case editrici non apprezzavano i suoi comportamenti rabelaisiani, le cene ricorrenti, soprattutto in un famoso ristorante sul canale della Villette, a base di generose porzioni di carne fornite dai vicini mattatoi, dei migliori bordeaux e di storielle, battute e canzoni satiriche in coro. Dopo cena, tutti in balera a Belleville. Era la buona vita e il buon pensiero in quanto contrapposti alla vita e al pensiero cosiddetti perbene. Tra i numeri speciali non potevano mancare titoli dedicati, “La bonne vie” nel settembre del 1925, “Le bien-manger” a dicembre. Non potevano mancare numeri speciali sulle manie del bel mondo, come quello intitolato “Deauville” dedicato alla spiaggia in Normandia, in quegli anni di gran moda. Ma gli speciali erano dedicati più spesso ai grandi avvenimenti artistici parigini che, nella prospettiva del Crapouillot, non erano le piccole mostre elitarie delle avanguardie, ma i grandi salon. Nessun giornale dedicò tanta attenzione critica (quattro speciali) alla Esposizione internazionale delle arti decorative del 1925, la manifestazione che diede il nome allo stile déco.

    Come ogni Natale Galtier-Boissière offriva alla sua grande passione per i bei libri un “paradiso del bibliofilo”, un numero speciale, pubblicato anche in edizione di lusso, originale e limitata. Puntuale, un “Paradis des bibliophiles”, particolarmente lussuoso, uscì anche il Natale del 1930, ma il clima politico e sociale era cambiato. I testimoni hanno raccontato spesso dello sconvolgimento che la grande crisi portò nei modi della vita artistica e culturale parigina. Quasi da un giorno all'altro finirono le feste favolose offerte dagli artisti di Montparnasse e la città si velò d'ansia. Il numero di gennaio del 1931 andò in edicola con una copertina forte: una grande profilo di soldato tedesco era circondato come una carta da gioco da due svastiche alternate a due falce e martello. Il titolo in caratteri cubitali diceva semplicemente e minacciosamente: “Les Allemands”. Lo strillo annunciava un grande reportage. Galtier-Boissière e Bernard Zimmer vi raccontavano la vita agitata di Berlino. Se ne vendettero più di cinquantamila copie. In novembre, sulla falsariga, uscì “Les Anglais”. L'ambasciatore britannico si adombrò, il numero fu sequestrato di fatto, senza che nessuna autorità si accollasse la responsabilità dell'iniziativa. A difendere Galtier-Boissière si mossero la Lega dei diritti dell'uomo e il Partito comunista.

    A giugno intanto, con una fotografia tremenda in copertina,
    uno scheletro nel fango con ai piedi ancora gli stivali, era uscito “Les mystères de la guerre”, il primo di quattro numeri con copertina funerea e contenuti allarmanti e crudi sulle vicende tragiche e le responsabilità oscure della Grande guerra. Sul tema, uscì nel 1933 un numero dedicato ai mercanti di cannoni che riallacciava la guerra ai finanzieri (“Les financiers et la démocratie”), e alle grandi famiglie (“Les 200 familles”) per colmare una lacuna (“Degli attori, degli sportivi, dei politici si possono leggere fin troppe biografie e autobiografie, per i grandi capitalisti non esiste niente di simile”). Intanto, con il classico gesto di rovesciare le tasche per mostrare che erano vuote, ricompariva in copertina (marzo 1935) Monsieur Gogo, il borghese medio inventato dal caricaturista Cham ai tempi di Luigi Filippo, e investito da Honoré Daumier nel secondo impero (Le Charivari) del ruolo di vittima elettiva dei giochi della Borsa.
    A proposito di guerra e di Germania, nel luglio del 1933 era apparso il numero del Crapouillot destinato a diventare il più famoso. Era intitolato semplicemente “Hitler”. Il sottotitolo diceva profeticamente “Est-ce la guerre?”.

    Disegnato da Jean Oberlé, Hitler, in camicia bruna e bandoliera,
    con il pollice della sinistra infilato nella cintura e la destra tesa in una versione mal riuscita del saluto romano, si ergeva sullo sfondo di tamburi battenti, di una selva di mani levate e di un brulichio di svastiche. E' il tema della guerra nella declinazione più temuta dai francesi, un ulteriore futuro episodio della infinita contesa per il controllo delle due sponde del Reno. Quattro anni dopo l'onore del Crapouillot tocca a Stalin. “Da Lenin a Stalin”, si intitola il numero. Ne è autore Victor Serge. Il suo nome vero è Victor L. Kibalcic, è figlio di esuli russi, a vent'anni è stato direttore dell'Anarchie, ha scontato cinque anni in galera per complicità con la banda Bonnot, anarchici, rivoluzionari e rapinatori. E' stato fra i primi ad accorrere in Russia per la Rivoluzione d'ottobre. Dissidente, è stato imprigionato da Stalin e liberato grazie a una campagna internazionale in suo favore. E' trotzkista militante. Il Partito comunista francese non apprezza la scelta di Galtier. Né l'apprezza il Comintern, che fa attaccare Victor Serge e il Crapouillot sull'Humanité.

    Per non privarsi di alcun nemico, Galtier-Boissière nel 1938 dedica un numero al Vaticano. Ancora a Victor Serge, ex anarchico diventato bolscevico, anche se di denominazione trotskista, affida un numero con in copertina la bandiera nera dell'anarchia. Poi, mentre si addensano le nubi di guerra, riprende il tema del pacifismo, istituzionale per il Crapouillot, con un numero intitolato “Le sang des autres”, il sangue degli altri. Con Galtier le autorità non fanno una questione di patriottismo, quanto di buon gusto. Quando scoppia la guerra lo accusano di insensibilità e di frivolezza per intestardirsi a pubblicare un “Dictionnaire d'Argot” arrivato alla terza puntata in un frangente tanto drammatico per il paese. Lo redige con lui Pierre Devaux, traduttore in argot di qualche fiaba di Charles Perrault e dell'“Amleto”. Galtier potrebbe facilmente resistere, ma capisce l'antifona, capisce che in circostanze del genere, in una guerra complicata da immani questioni ideologiche per il suo anticonformismo non c'è posto, preferisce lasciare, ritirarsi in campagna a scrivere. Ritornerà, forte ancora del diritto, lui che ha saputo risparmiarsi le lacerazioni ideologiche e personali dell'occupazione, della collaborazione o della resistenza, di mantenere un'equidistanza non geometrica ma morale tra sinistra e destra.

    “Avendo osservato che molti polemisti di talento si situavano a destra
    , un bel giorno ho tentato di realizzare questa follia di pubblicare, fianco a fianco, gli scritti di scrittori di opinioni esattamente opposte. Uno dei numeri caratteristici del genere – forse unico nella stampa francese – fu ‘Abbasso le prigioni' (giugno 1953), dove pubblicai le confessioni di:
    Lustauneau-Lacau, vecchio ufficiale d'ordinanza del maresciallo Pétain, diventato sotto il regime di Vichy uno dei capi della resistenza e consegnato alle carceri francesi e poi tedesche dal suo antico principale.
    Lucien Rebatet, già redattore, con Robert Brasillach, del collaborazionista Je suis partout che, incarcerato a Fresnes-les-Rungis e poi, dopo la condanna a morte (commutata), a Clairvaux, non fu liberato che dopo sei anni di detenzione.
    Il resistente Serge Groussard, prigioniero dei tedeschi a Fresne.
    Henri Jeanson, dopo la dichiarazione di guerra imprigionato per pacifismo alla Santé su ordine di Edouard Daladier, poi a due riprese dai tedeschi, alla Santé e a Cherche-Midi, dove ha rischiato di essere fucilato come ostaggio.

    Pierre Dominique, infine, ex direttore a Vichy dell'ufficio informazioni
    , tenuto al fresco per diciotto mesi, prima di essere finalmente rilasciato.
    Dall'elenco di questi collaboratori si vede che il Crapouillot non ha commesso ‘il tradimento degli intellettuali' di cui qualcuno lo accusa, ma ha realizzato una forma inedita di non conformismo, pubblicando su un determinato soggetto il confronto di opinioni contraddittorie. Credo che a questo proposito tutti gli uomini di buona fede mi renderanno giustizia”.
    Galtier-Boissière pubblica questa apologia in poche righe sul numero di maggio del 1966 del Crapouillot. Il titolo è “Hommage a Crapouillot”. Sottotitolo: “Storia di un giornale libero e del suo direttore, omaggi, commenti e ricordi”. Chi conosce il carattere di Galtier, così sicuro delle proprie idee e del proprio valore da non sentire il bisogno di autoincensamenti, avverte che si tratta di un congedo. Infatti sotto la testata il suo nome appare con la qualifica di fondatore. Il direttore dopo mezzo secolo è un altro: Jean-Jacques Pauvert. Qualcosa è successo. “Una volta tanto in vita mia ho cercato di essere ragionevole. Dopo il ritorno da sette anni di servizio militare, avevo passato una quarantina di anni a Parigi, senza malattie, conducendo una vita estremamente affaticante, uscendo tutte le sere e passando fuori la notte.

    A settanta anni, molto fresco, decisi di darmi una regolata
    e di vivere ormai sette o otto mesi all'anno in campagna, giocando una o due ore a tennis – ero in gran forma – e facendo passeggiate a piedi di una dozzina di chilometri attraverso la foresta di Fontainebleau. Il risultato della mia condotta ragionevole non si fece attendere. Rientrando per la prima volta a Parigi fui colto da dolori tremendi alla gamba destra”. Gli fu diagnosticata un'artrite fulminante. Fu trattato invano al cobalto, la cancrena progredì. Con la gamba amputata e la sua mole di gigante, non sarebbe riuscito a salire facilmente le scale della vecchia redazione in place de la Sorbonne. Tanto valeva lasciare e ritirarsi tutto l'anno a Barbizon, senza tennis, senza passeggiate nella foresta, senza scorpacciate alla Villette, senza Crapouillot. Era il congedo definitivo del Venerato Direttore.

    Dopo la pace era tornato in place de la Sorbonne. Il Crapouillot aveva ripreso a uscire nel 1947, con l'immancabile serie sulla guerra appena finita. Guerra, sconfitta, occupazione, collaborazionismo, guerra civile, liberazione, c'era molto da raccontare. Soprattutto per chi, come lui, voleva continuare a esercitare il non conformismo. Nell'aprile del 1949 uscì un numero intitolato semplicemente “Bobards 39-45”, balle di guerra, tutte le stupidate scritte in quegli anni. Per il numero “La farce des services segrets”, Galtier finì ancora una volta in tribunale. Non sentendosela di dargli apertamente ragione, il giudice lo condannò a un franco di risarcimento dei danni morali. Il che non impedì al Venerato Direttore di dedicare almeno due numeri alla giustizia: “Les procès célèbres”, ovvero i processi a tre famosi collaborazionisti di estrema destra, il suo amico Béraud, lo scrittore Robert Brasillach e il politico Pierre Laval (“Mi auguro la vittoria della Germania, perché altrimenti il bolscevismo trionferebbe dappertutto”, aveva dichiarato alla radio); e “Erreurs judiciaires” in cui si impegnò in un articolo carico di pathos sui soldati fucilati ingiustamente durante la Prima guerra mondiale.

    Il gusto per l'arte e per i bei libri è perso per sempre. Forse per mancanza di autori le fotografie sostituiscono i disegni straordinari dell'Anteguerra, anche se Siné (Maurice Sinet) firma le vignette per il numero dei “Falsi geni, sbruffoni e incompresi veri”. La satira si accentua. Il Crapouillot non fa sconti a nessuno. Il primo numero del “Dictionnaire des contemporaines” è sequestrato. Il secondo non risparmia Charles de Gaulle, ma non succede nulla poiché è il 1957 e le Général non è ancora sortito dal ritiro di Colombey-les-Deux-Églises. Scandali finanziari, scuola, radio-televisione, miti e misteri della grande stampa, Galtier non dimentica un soggetto. Ma dedica numeri anche a nuovi temi, gli omosessuali, l'erotismo, la sessualità.
    Quando lascia, risponde alle geremiadi degli amici: “Nessuno è insostituibile”. Ne è convinto. Ha trovato il successore perfetto. Si chiama Jean-Jacques Pauvert, è l'editore più anticonformista del mondo. Ha pubblicato l'opera del marchese De Sade, compresi gli illeggibili quattro volumi delle “Centoventi giornate di Sodoma”, ha spostato il criterio di decenza comune con l'“Histoire d'O”, ha pubblicato una serie di autori sepolti dal conformismo, inventerà la celebre collana di pamphlet intitolata Libertés, non firmerà che cinque numeri del Crapouillot. Fino a settembre del 1965. Galtier-Boissière morì il 21 gennaio 1966. Il Crapouillot durerà ancora trent'anni, sempre meno anticonformista, sempre più su posizioni di estrema destra.

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