Marketing creativo

L'eleganza democratica

Michele Boroni

Un sabato di novembre, ore 7.00 del mattino nelle vie del centro di una grande città italiana, anzi – per essere più precisi – di sei città italiane. Poco importa se il cielo era plumbeo o sereno, lo scenario che si presentava era più o meno lo stesso: una lunga e ordinata fila di persone di fronte a una saracinesca chiusa.

    Un sabato di novembre, ore 7.00 del mattino nelle vie del centro di una grande città italiana, anzi – per essere più precisi – di sei città italiane. Poco importa se il cielo era plumbeo o sereno, lo scenario che si presentava era più o meno lo stesso: una lunga e ordinata fila di persone di fronte a una saracinesca chiusa. Non extracomunitari in coda per il permesso di soggiorno, neppure studenti per il rinnovo della tessera tranviaria. Bensì giovani donne (con qualche maschietto) genere fashionista, di nero vestite, con accessori colorati e telefonino di ordinanza in mano. Un'immagine che spesso si vede nei servizi dei tg da New York, Londra o Tokyo a testimonianza del “fenomeno consumistico” di turno. Invece era qui. In Italia. Fine 2009. L'evento era la vendita dell'edizione limitata della collezione Jimmy Choo (scarpe, ma non solo. Linea donna, ma non solo) disegnate in esclusiva e vendute in selezionati 200 punti vendita H&M in tutto il mondo (su 1900 negozi in 24 paesi) a un prezzo quattro/cinque volte più basso rispetto ai prodotti Jimmy Choo (il pezzo più caro a 199?). Le parole (quelle virgolettate, specialmente) sono importanti, e quelli di H&M lo sanno benissimo. Il lusso non sta tanto nei prodotti, bensì nel modo in cui vengono “confezionati” e, quindi, percepiti. Ma facciamo un passo indietro.

    H&M è la sigla di Hennes & Mauritz, la catena di grandi magazzini
    finanziati dalla “Chiesa di Svezia” e che oggi rappresenta il marchio di riferimento di quel fenomeno globale chiamato “fast fashion” sintetizzabile nel business concept “moda e qualità al miglior prezzo”. Ancora una volta la Svezia sconfigge l'Italia su due terreni in cui noi storicamente interpretavamo il ruolo da protagonisti: Ikea per l'arredamento e l'interior design e ora H&M sull'abbigliamento. In meno di dieci anni la catena svedese ha inaugurato ben 64 punti vendita nel nostro paese. Solo questa settimana H&M aprirà quattro punti vendita all'interno di grossi centri commerciali del nord Italia. Sarebbe riduttivo imputare il successo di H&M (come quello di Ikea) solo ai prezzi contenuti. Le carte vincenti sono il modello di business e l'approccio con il cliente. Pochissimi intermediari, una supply chain ridotta all'osso e monitorata costantemente, zero sprechi, acquisti in grande quantità e pieno sfruttamento delle economie di scala. E poi una reinterpretazione del fashion system e dei suoi miti che vengono resi accessibili a tutti, non solo nei prezzi, ma nella loro “narrazione”: offerta diversificata, per occasione e tipologia di target, e distribuita nei negozi in modo semplice e leggero, aiutata anche da un personale gentile e mai invadente.

    Una filosofia cheap & chic che ha attirato anche il fiacco carrozzone fashion: Karl Lagerfeld, Stella McCartney, Roberto Cavalli, ma anche stelle pop come Kylie Minogue e Sua Maestà Madonna Ciccone hanno voluto associare in questi anni il proprio nome a quello della catena. Come nel caso di Jimmy Choo, H&M reinterpreta i riti della moda in modo ironico, da una parte smascherando il grande bluff economico di certe griffe, dall'altra facendo godere ai propri clienti dei “paradisi parziali” come efficacemente li ha denominati il sociologo Francesco Morace. Insomma, lusso democratico e accessibile.