Il reato che non c'è

Un mostro si aggira per le procure. Il concorso esterno

Lanfranco Pace

Il concorso esterno snatura la sostanza dei fatti, deforma i profili delle persone, ha dovuto farne le spese Giulio Andreotti, ora il sottosegretario Nicola Cosentino, forse anche Silvio Berlusconi. Uomini a vario titolo così potenti possono aiutare dall'esterno un'organizzazione criminale, senza guidarle? Se non vogliamo essere ipocriti o diciamo che sono loro i veri capi dell'organizzazione oppure non sono niente di niente.

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    Beccato al volo tra una riunione a Milano e una lezione all'Università di Bologna, dove è ordinario di Diritto penale ed avvocato penalista, il professor Luigi Stortoni risponde a raffica, con la libertà di tono di chi non si sente prigioniero di schieramenti politici e con l'irruenza del libertario profondamente convinto che lo stato di diritto non sia gomma da masticare ma una cosa seria, maledettamente seria. Professore, si può sapere che reato è mai il concorso esterno in associazione per delinquere, di stampo mafioso o meno? “E' un reato che non esiste. Non c'è in dottrina, non c'è nel codice penale. E' il parto di una fantasia accusatoria senza limiti, introdotto per via cosiddetta giurisprudenziale, ovvero nella pratica corrente dei magistrati inquirenti, non di tutti, e in alcune sentenze che sono state confermate nei successivi gradi di giudizio”.

    Sembra che sia il portato ineliminabile dell'emergenza. Chi lo difende fa risalire la sua “giuridica consacrazione” agli anni 70, quando il concorso esterno in banda armata fu usato contro il terrorismo di matrice politica. Ma il suo contributo alla vittoria dello stato fu oltre modo modesto, in nulla paragonabile a quello della legge sui pentiti e all'armamentario del codice Rocco, i reati associativi mai rinnegati dalla Repubblica democratica e oggetto di una lunga battaglia da parte dei radicali che ne reclamarono invano la soppressione. “Non solo quei reati fanno ancora parte del codice penale ma sono stati ulteriormente infoltiti: c'è l'associazione per delinquere di stampo mafioso, quella finalizzata al traffico di droga, ora anche al reato di immigrazione clandestina e se non ricordo male ce n'è anche una finalizzata alla duplicazione abusiva di videocassette. Vengono usate in modo massiccio perché consentono di usare anche per reati minori strumenti processuali che normalmente non potrebbero essere usati, per esempio le intercettazioni telefoniche, una pratica in cui siamo numero uno al mondo”.

    Non c'è stata solo proliferazione del numero, è rimasta intatta anche la vaghezza di questi tipi di reato. “Infatti  ne abbiamo aggiunti di nuovi mantenendoli tutti nel vago. Se io uccido qualcuno e lei che so mi presta la pistola o io la pago per uccidere qualcuno, siamo complici e concorriamo nel commettere il reato. Ma che vuol dire partecipare a un'associazione per delinquere, esservi associato senza commettere  reati specifici? Ho fatto parte di due commissioni di riforma del codice penale, la Nordio e la Pisapia, in quest'ultima in particolare si è cercato di dare una definizione più precisa, stringente di questa tipologia di reato, ma tutto è rimasto lettera morta.  Nella loro forma attuale peccano tutti di scarsa tassatività, sono fumo che permette agli inquirenti di allargare la rete delle indagini con assoluta discrezionalità. La tassatività non è un'ubbia, un optional. La chiarezza e la precisione della norma penale sono previste dal secondo comma dell'articolo 25 della Carta costituzionale, quindi un obbligo perché ogni cittadino ha il diritto inalienabile di sapere prima e con certezza quale comportamento può essere definito criminale e punito”.

    Il concorso esterno snatura la sostanza dei fatti, deforma i profili delle persone, ha dovuto farne le spese Giulio Andreotti, ora il sottosegretario Nicola Cosentino, forse anche Silvio Berlusconi. Uomini a vario titolo così potenti possono aiutare dall'esterno un'organizzazione criminale, senza guidarle? Se non vogliamo essere ipocriti o diciamo che sono loro i veri capi dell'organizzazione oppure non sono niente di niente. “Per accusare nomi come questi citati da lei di essere membri organici con tanto di tessera in tasca, ce ne vuole e molto: il concorso esterno è invece il mostro giuridico, terribile e viscido, che si presta all'utilizzazione extra penale per colpire condotte politiche che il magistrato inquirente di turno considera scorrette o sconvenienti”.

    Non sembra che avvocati e giuristi si siano opposti a una simile deriva. “E' una contrapposizione tra dottrina e giurisprudenza attraversata dalla politica. La dottrina penale maggioritaria è sempre stata fortemente critica verso il debordare dei limiti del codice penale. Ovviamente maggioranza e minoranza cambiano segno in seno alla magistratura dove la figura del procuratore è molto influente. Non solo perché tutti, o in ogni caso molti, sono stati almeno una volta procuratori, ma anche perché il processo penale è troppo sbilanciato all'indietro. La prima fase gestita  dal procuratore in cui vengono definite le accuse e raccolte le prove prevale sulla seconda, in cui entra in campo il giudice. Nello stato di diritto il reato è un'eccezione al principio di libertà e va definito con estrema cura. E' il discrimine di civiltà. La giustizia moderna, democratica punisce i fatti, solo i fatti. Una giustizia vecchia e autoritaria punisce invece il tipo di autore. Un criminale è considerato tale perché commette reati precisi. Vedere se uno è bacato dentro è molto difficile e comunque non è compito della giustizia”.

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    • Lanfranco Pace
    • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.