Carte alla mano, ecco quello che non torna sulle accuse al dr Cosentino

Lanfranco Pace

Il tam-tam è stato incessante, le indiscrezioni categoriche: chi aveva avuto modo di sbirciare le 300 e passa pagine dell'ordinanza con cui il gip di Napoli, Raffaele Piccirillo, chiede la custodia cautelare nei confronti di “Cosentino Nicola, nato a Casal di Principe il 2 gennaio 1959”, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, “per aver contribuito con continuità e stabilità fin dagli anni Novanta a rafforzare vertici e attività del gruppo criminale meglio noto come clan dei casalesi, dal quale sodalizio riceveva puntuale sostegno elettorale”, insomma tutti quelli che avevano visto si erano ritratti.

    Il tam-tam è stato incessante, le indiscrezioni categoriche: chi aveva avuto modo di sbirciare le 300 e passa pagine dell'ordinanza con cui il gip di Napoli, Raffaele Piccirillo, chiede la custodia cautelare nei confronti di “Cosentino Nicola, nato a Casal di Principe il 2 gennaio 1959”, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, “per aver contribuito con continuità e stabilità fin dagli anni Novanta a rafforzare vertici e attività del gruppo criminale meglio noto come clan dei casalesi, dal quale sodalizio riceveva puntuale sostegno elettorale”, insomma tutti quelli che avevano visto si erano ritratti.

    Agghiacciante, dicevano. Di fronte a indagini della procura che sembrano accurate e meticolose, a una ricostruzione dei fatti di immediata comprensione. E a disquisizioni in punto di dottrina del gip, costretto a usare tutto il talento dell'arte sua per dare nuova legittimità a un reato non previsto dal codice penale, introdotto come si dice per via girisprudenziale, cucito in particolare a misura a Giulio Andreotti e come ricordiamo finito in questa occasione nel nulla. Risale il gip, alla madre di tutte le emergenze, gli anni della lotta contro il terrorismo, quando furono introdotti il concorso esterno in banda armata e il reato di cospirazione politica mediante associazione, non previsti nemmeno nel codice di quell'illustre giurista che fu Alfredo Rocco e che non avevano mai avuto corso in nessuna democrazia.

    Ricorda il gip come le sezioni riunite della Corte di cassazione avessero stabilito la linea di demarcazione fra il partecipe e il concorrente esterno con una teoria pare molto nota, la “teoria della fibrillazione” secondo la quale il concorrente materiale è “qualcuno che non vuole far parte dell'associazione criminale e che l'associazione non chiama a far parte ma al quale si rivolge per colmare vuoti temporanei in un determinato ruolo oppure nel momento in cui la fisiologia dell'associazione entra – per l'appunto – in fibrillazione attraverso una fase patologica che per esser superata chiede il contributo temporaneo, limitato anche a un unico intervento, di un esterno”. Detto altrimenti: “Non è il concorso degli esterni rispetto al reato – fine che gli associati si propongono di commettere – sibbene il concorso rispetto al reato di associazione che, per la sua distinzione, per il parallelo che la relazione fa tra quest'ultimo concorso e il concorso esterno nel reato – fine non può non essere anch'esso il concorso esterno, degli esterni nel reato di associazione”.

    Passando dalle questioni di forma a quelli di sostanza, i rilievi mossi a Cosentino sono: aver favorito alcune imprese rispetto ad altre, aver fatto fare assunzioni di favore, essere intervenuto su sindaci e pubblici funzionari per favorire i suoi piani, aver arbitrato potenziali conflitti, essere stato trasversale, un consorzio a me, uno a te, essersi adoperato per far trasferire o comunque migliorare le condizioni di detenzione di alcuni criminali, aver intascato soldi in nero per finanziare illegalmente le sue campagne elettorali, di aver costruito un sistema di potere che se non lo ha materialmente arricchito – di questo non c'è traccia nelle carte – l'ha quanto meno portato dopo una più che ventennale carriera dal consiglio comunale di Casal di Principe al sottosegretariato all'Economia, alla presidenza del Cipe, infine alla soglia della candidatura a governatore della Campania: semper fidelis, pare, all'impegno “se tu dai un voto a me io faccio un favore a te”, diciamo un po' nella scia delle scarpe del comandante Lauro e di Clemente Mastella e signora.

    Un politico a Milano, Torino o Bologna non fa cose molto diverse. La colpa di Cosentino dunque non è quello che ha fatto ma il contesto in cui l'ha fatto. E' per così dire un reato di habitat, di essere cioè nato e cresciuto, di aver coltivato le sue ambizioni in una città di poco più di 20 mila abitanti, dove tutti si conoscono, al cuore di una terra che lo stato fatica a controllare e in verità non controlla affatto, dove si fa commercio in contanti, si produce pil in nero e a governare le imprese ci sono il signor Capagrossa e il signor Gigino 'o drink. E' evidente che qui e in buona parte della Campania, della Calabria e della Sicilia, non è nemmeno più questione di criminalità organizzata, di complici, di contigui, ma di consenso popolare, vasto e radicato, attorno alle organizzazioni criminali, nemmeno lontanamente scalfito dalle processioni “ora uccideteci tuttti”: bastava guardare l'altra sera il fastidio, l'astio, e diciamolo l'odio evidente con cui Casal di Principe ha accolto gli inviati di Annozero, i savianei calati dal nord.

    Non c'entra la paura né l'annosa questione del maledetto sud antropologicamente sedotto da uomini di panza. Semplicemente le cosche sono fonte di reddito per centinaia di migliaia di persone: per scambiare i voti, bisogna controllarli e per controllarli che c'è di meglio che farsi antistato e welfare? Le anime belle dicono che è proprio in posti così che bisognerebbe essere irreprensibili, ma possono permettersi di dirlo perché vivono altrove. Da quelle parti con la specchiata virtù si finisce male, in ogni caso trombati. Sarebbe bene sapere una volta per tutte se è meglio continuare a cercare di civilizzare il far west e lasciar fare chi lo rappresenta con un'ambiguita ineliminabile. Oppure mettere in mora i diritti civili, in tre regioni, forse in quattro, sradicare e deportare fette di popolazione. Tertium non datur.

    • Lanfranco Pace
    • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.