Perché Obama non può ancora cantar vittoria sulla riforma sanitaria

Christian Rocca

La missione non è ancora compiuta. Il voto sulla sanità di sabato notte, alla Camera di Washington, è stato un grande successo per Barack Obama, ma era la parte più facile del processo di approvazione della riforma del sistema sanitario americano. La legge approvata alla Camera copre circa 36 milioni di residenti in America che oggi non hanno un'assicurazione sanitaria, al costo di oltre mille miliardi di dollari.

    La missione non è ancora compiuta. Il voto sulla sanità di sabato notte, alla Camera di Washington, è stato un grande successo per Barack Obama, ma era la parte più facile del processo di approvazione della riforma del sistema sanitario americano. La legge approvata alla Camera copre circa 36 milioni di residenti in America che oggi non hanno un'assicurazione sanitaria, al costo di oltre mille miliardi di dollari. Il sistema però non viene rivoluzionato e resta lontanissimo dal modello europeo fondato sulla sanità pubblica. Gli ospedali restano privati, così come il sistema delle assicurazioni. Il testo della Camera obbliga la gran parte degli americani e delle imprese ad avere o fornire un'assicurazione sanitaria, oppure a pagare una penale. Vieta alle compagnie assicurative di rifiutare la copertura o di aumentare i premi a causa delle condizioni di salute dell'assicurato. Offre un piano assicurativo statale (la “public option”). Espande la copertura del Medicaid, il programma che fornisce l'assistenza ai più poveri. Aumenta le tasse agli americani che guadagnano più di 500 mila dollari e taglia i servizi del Medicare, il programma di assistenza gratuita agli anziani.

    Ora tocca al Senato, dove il percorso sarà più accidentato rispetto a quello della Camera e sarà rimesso tutto in discussione. Anche se il Senato dovesse riuscire nell'impresa di approvare una legge sarà comunque diversa da quella della Camera e si dovrà procedere a una negoziazione tra le due ali del Congresso per unificare i testi. A quel punto torna tutto di nuovo in discussione e la risicata maggioranza raggiunta l'altra sera alla Camera potrebbe di nuovo saltare.

    Per capire le difficoltà che la riforma obamiana incontrerà al Senato bisogna partire da che cosa è successo alla Camera sabato notte. Il Partito democratico guida la camera bassa del Congresso con un'ampia maggioranza di 258 deputati a 177, eppure è riuscita ad approvare un testo di riforma con soli due voti in più della maggioranza necessaria, uno dei quali di un deputato repubblicano eletto in un collegio liberal. Il partito di Obama, dunque, ha perso per strada 39 deputati convinti, come i repubblicani, che il costo della riforma è troppo alto per i conti dello stato. I democratici sono riusciti a ottenere la maggioranza soltanto dopo l'insistenza del presidente su un paio di dissidenti e, soprattutto, grazie un emendamento antiabortista che ha fatto infuriare buona parte del mondo liberal. Nancy Pelosi, speaker della Camera, è favorevole al diritto all'aborto, ma di fronte all'opposizione di una quarantina di deputati antiabortisti del suo partito che minacciavano di far saltare la riforma sanitaria se il testo non fosse stato emendato dei finanziamenti pubblici alle donne che decidono di abortire, ha dovuto accettare un emendamento, poi votato anche dai repubblicani, che vieta l'uso di fondi federali per le polizze assicurative che coprono l'interruzione volontaria della gravidanza.

    Ci sono stati momenti di alta tensione, pianti e urla, tra l'ala liberal e la speaker della Camera
    per questa mediazione, definita dal New York Times, la più grande vittoria del fronte antiabortista degli ultimi anni. Alla fine il compromesso è stato accettato, ma lo scontro è rimandato ai prossimi passaggi legislativi al punto che l'ala di sinistra del gruppo democratico ha annunciato che sono già in quaranta i deputati che non saranno disposti a dare il loro sì finale se la norma antiaborto resterà in piedi.

    Il Senato potrebbe cominciare il dibattito entro l'anno, ma non è detto che riuscirà ad approvare un testo entro il 2009. In realtà non è nemmeno certo che il testo arriverà mai in aula, perché i democratici hanno bisogno di ciascuno dei 60 voti del proprio gruppo per trasferire la proposta di legge dalle commissioni all'aula e, al momento, non si sa se tutti i senatori democratici sono favorevoli. Il testo, che ancora non c'è, arriverà in aula ma, di nuovo, i democratici avranno bisogno di tutti e 60 i voti per superare le manovre ostruzionistiche dei repubblicani. Oggi questi voti non ci sono. Un senatore, Joe Lieberman, ha già annunciato che se il testo del Senato conterrà la “public option”, cioè l'ipotesi di una copertura sanitaria statale alternativa alle polizze private, aiuterà i repubblicani a fare ostruzionismo. Altri tre senatori democratici eletti in stati conservatori sono pronti a fermare una riforma simile a quella approvata dalla Camera.

    La maggioranza obamiana al Senato è meno ampia rispetto a quella della Camera e il gruppo democratico è più moderato di quello della Camera, ma a complicare le prospettive riformatrici della Casa Bianca ci sono soprattutto regole diverse da quelle della Camera, tali da poter far durare il dibattito all'infinito. Il leader democratico al Senato, Harry Reid, non ha ancora presentato un testo unico di maggioranza, anche se si conoscono le linee guida, e non si sa ancora quanto costerà alle casse dello stato. Quel che si sa è che la proposta del Senato è già una versione più annacquata di quella approvata dalla Camera. Consente, in teoria, ai singoli stati di non accettare l'ingresso sul mercato dell'assicurazione pubblica, aumenta ulteriormente le tasse e taglia i servizi coperti da Medicare e Medicaid. Ma i voti non ci sono, a meno che non sarà cancellata la “public option”, ovvero il punto centrale e irrinunciabile della riforma approvata sabato notte alla Camera.