Il commento di Carlo Stagnaro

Posto fisso? No, grazie

Carlo Stagnaro

Posto fisso? No grazie. Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha dipinto ieri un'oleografia dell'Italia povera e felice di una volta. Al centro dell'istantanea, il posto fisso. Raccontare l'età dell'oro di ieri, per far balenare il contrasto con la dura realtà di oggi, è un artificio retorico legittimo, per un uomo politico.

Leggi "Io non voglio il posto fisso", intervista di Piercamillo Falasca

    Posto fisso? No grazie. Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha dipinto ieri un'oleografia dell'Italia povera e felice di una volta. Al centro dell'istantanea, il posto fisso. Raccontare l'età dell'oro di ieri, per far balenare il contrasto con la dura realtà di oggi, è un artificio retorico legittimo, per un uomo politico. 

    Tuttavia, un uomo che ha vissuto da protagonista
    la storia politica italiana del dopo-Tangentopoli ha delle responsabilità verso ciò che è vero e giusto. Una persona, per giunta, che in tutti gli esecutivi del centrodestra, e in particolare nella legislatura 2001-6, ha occupato ruoli chiave nel governo dell'economia, dovrebbe prestare una cautela speciale rispetto ai messaggi che manda, perchè le parole hanno conseguenze. Politicamente, mettere in questione la flessibilità, cioè di fatto la legge Biagi, equivale a rileggere criticamente tutti i passi avanti che, in vario modo, sono stati compiuti sul fronte lavoristico negli ultimi quindici anni.

    Che ha detto, Tremonti? "In strutture sociali come le nostre, il posto fisso credo sia la base su cui si possa organizzare il tuo progetto di vita, la tua famiglia". E ancora: "io non credo che la mobilità sia di per sè un valore". Invece, storicamente, lo è. La grande epopea dell'umanità, dalla rivoluzione industriale in poi, è proprio un lungo tentativo di divenire più mobile. Gli individui si sono vieppiù affrancati dalle loro condizioni di nascita: hanno voluto e conquistato, a fatica, l'opportunità di spostarsi. Da un posto all'altro. Da un'occupazione a un'altra. Da un ceto sociale a un altro.

    L'idea che tutto questo possa o debba essere contestato è tre volte paradossale. Primo: perchè la flessibilità, dati alla mano, ha favorito una riduzione senza precedenti dei tassi di disoccupazione, parte della quale tradisce l'emersione del nero. Secondo: perchè la flessibilità non è solo rischio, ma anche e necessariamente opportunità. Terzo: perchè il paese ha faticato per adeguare il suo quadro normativo a un mondo che cambia, ha dovuto sconfiggere resistenze lobbistiche di ogni tipo, ed è irresponsabile oggi suggerire la marcia indietro, da parte di chi è a ragione considerato l'uomo forte del governo.

    Soprattutto, rilanciare l'idea del posto fisso
    rischia di apparire uno schiaffo a tutti quei giovani privi di garanzie che ancora oggi soffrono a causa delle assurde tutele garantite ad altri. Cosa è in ballo è semplice: da un lato, la libertà contrattuale di individui e imprese. Dall'altro, la legittima ambizione di quanti, come dice il nome di un gettonatissimo gruppo su Facebook, non vogliono il posto fisso: vogliono guadagnare. E alla loro volontà d'intraprendere sono disposti a sacrificare le false certezze di un mercato del lavoro ingessato.

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