Unità di crisi

Perché il Cav. ha bisogno di dialogare con l'opposizione

Lodovico Festa

E adesso si balla. L'alta Corte non ha trovato basi di saggezza e soprattutto di forza morale sufficienti per realizzare una mediazione sul Lodo Alfano. Ormai anche tante persone di buon senso e non particolarmente barricadere sono prigioniere di quel travolgente odio antiberlusconiano (con annessi interessi materiali) che ha riferimenti variegati e complessi: innanzi tutto nella Repubblica, nelle folte schiere dei giornalisti-aggiunti delle procure sparsi per tante redazioni.

    E adesso si balla. L'alta Corte non ha trovato basi di saggezza e soprattutto di forza morale sufficienti per realizzare una mediazione sul Lodo Alfano. Ormai anche tante persone di buon senso e non particolarmente barricadere sono prigioniere di quel travolgente odio antiberlusconiano (con annessi interessi materiali) che ha riferimenti variegati e complessi: innanzi tutto nella Repubblica, nelle folte schiere dei giornalisti-aggiunti delle procure sparsi per tante redazioni, in Michele Santoro, nel partito di Antonio Di Pietro, nello storico “covo” di Micromega, nell'Unità, nei circhi di Beppe Grillo e così via. Ma ha trovato il suo nucleo direttivo nel Fatto. Si sa che la formazione di “Fasci di combattimento” imprime un'accelerazione alla storia.

    Un'avanguardia decisa in tempi di confusione è in grado di condizionare forze assai più consistenti della propria. Questo è quello che sta succedendo. Anche pacifici giuristi non se la sentono – nonostante la moral suasion di Giorgio Napolitano e di fronte al vuoto di copertura che quello sfacelo del Partito democratico offre a chi assume posizioni responsabili – di incontrare la disapprovazione di amici e colleghi e quindi approvano – senza vergogna – una sentenza che tradisce quello che loro o loro omologhi decisero solo qualche anno fa. La benedetta ansia di pacificazione comprensibilmente in circolazione anche nel centrodestra non deve oscurare le dinamiche in atto: che non è detto provochino catastrofi ma è assolutamente possibile lo facciano.

    La prima dote da mantenere in simili situazioni è la lucidità di analisi, compresa  quella di esaminare con freddezza gli errori commessi nelle fasi più recenti: iniziando – al di là degli ormai noti eccessi vitalistici che sarebbe stato bene controllare – con la scarsa propensione berlusconiana a dare un ruolo all'opposizione. Capisco la difficoltà di trattare con uno come Walter Veltroni, che si fece spaventare e “ingolosire” da un'inchiesta di Giuseppe D'Avanzo sulle sexy telefonate. Però nella scarsa iniziativa della maggioranza contano anche le fesserie sullo spianare l'opposizione. Se non c'è un'opposizione democratica, in una libera società come la nostra, questo ruolo verrà svolto da altri: dalle D'Addario ai giudici Mesiano, con esiti assai distruttivi. Corrispondente a questa carenza, vi è quella di non avere iniziative strategiche sui temi cruciali della stabilizzazione democratica (che sono innanzi tutto la questione della separazione delle carriere della magistratura e una definizione decente – a mio avviso possibile solo con la privatizzazione della Rai – della guerra televisiva dei trenta anni), ma solo produzione di pecette per rimediare alle urgenze. Cosicché un governo che sta facendo assai bene in tanti campi e con il consenso di larghe basi sociali si trova di fatto sbilanciato nell'indicare una prospettiva complessiva alla nazione.

    Questi sono alcuni dei limiti di Silvio Berlusconi. Altri ve ne sono in chi ha cercato di rimediare a difetti strategici del centrodestra. Se non si può non condividere il lavoro di Gianfranco Fini per dare più solidità al centrodestra, per fondarne la consistenza su un vero dibattito culturale, per evitare quel conformismo che spegne ogni capacità di iniziativa. Non si può, d'altro canto, non avere qualche perplessità sulla scarsa attenzione all'iniziativa intrinsecamente eversiva di chi cerca di rovesciare il governo per vie non parlamentari. Più che i casi di Umberto Bossi nel 1994 che nascevano da errori di Berlusconi verso la Lega, vengono alla mente gli atteggiamenti di Claudio Martelli alla fine degli anni Ottanta, quando uno dei più brillanti dirigenti del Partito socialista si convinse che la questione prioritaria era dare spessore liberale e culturale al partito, che preparare la successione a Bettino Craxi era la base per far sopravvivere la grande esperienza riformista degli anni Ottanta. Ottimi argomenti finirono per portare a trascurare la portata dell'iniziativa antidemocratica che liquidò la Prima Repubblica. Naturalmente la situazione è assai differente innanzi tutto dal punto di vista delle basi di massa del consenso a Berlusconi che sono ancora solide. Però bisogna avere coscienza che, in una fase di acuti movimenti sostanzialmente eversivi, il problema è senza dubbio di aprirsi ma di difendersi anche dalle insidie. Di interloquire con chi vuole dialogare con te ma di non consentirgli manovre destabilizzatrici. Questa è l'unica base per disporsi ad articolare una vera iniziativa.

    Se dovessi indicare un punto per gestire i prossimi mesi (con i tentativi dei pm milanesi di colpire giudiziarmente Berlusconi, con possibili annessi scenari di voto anticipato, con il dibattito sulle indispensabili riforme costituzionali, dallo “scudo” per il premier alla riforma della magistratura, con elezioni regionali come occasione  per rilanciare il centrodestra e il programma riformista del governo) indicherei l'esigenza di una nuova capacità unitaria di comando. Se, prima che scattassero le nuove trappole giustizialiste, era un esperimento interessante avere un politico di razza come Fini presidente della Camera per articolare la qualità del centrodestra, oggi c'è l'urgenza di un comando unificato che gestisca bene governo e Pdl, sapendo anche costruire rapporti con l'opposizione e con gli altri ma in una logica di stabilizzazione, non di fibrillazione del governo. L'esigenza forte è che Fini entri nell'esecutivo, magari assumendo l'incarico oggi più delicato, il Guardasigilli, rovesciando così nei fatti, e proprio tornando negli stessi luoghi del delitto, il teorema Martelli.