Ecco come il G20 di Pittsburgh cambia il governo del mondo

David Carretta

Il G20 del nuovo ordine economico obamiano (che non affronta i veri problemi) segna la spaccatura ideologica transatlantica. A Pittsburgh – spiazzando gli europei che parlano solo di bonus, si arrabattano sulla ricapitalizzazione delle banche e si contraddicono sulla riforma del Fmi – gli Usa proporranno un nuovo ordine economico mondiale per porre fine agli squilibri strutturali globali.

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    Il G20 del nuovo ordine economico obamiano (che non affronta i veri problemi) segna la spaccatura ideologica transatlantica. A Pittsburgh – spiazzando gli europei che parlano solo di bonus, si arrabattano sulla ricapitalizzazione delle banche e si contraddicono sulla riforma del Fmi – gli Usa proporranno un nuovo ordine economico mondiale per porre fine agli squilibri strutturali globali. "Il mondo avrà di fronte una crescita anemica se agli aggiustamenti da una parte dell'economia globale non corrisponderanno aggiustamenti da altre parti", dice il documento americano. I grandi esportatori – come Cina, Germania e Giappone – devono spendere di più per i consumi e ridurre il peso delle loro esportazioni. Gli Usa, per contro, devono aumentare i risparmi e tagliare il deficit.

    Ma è subito ribellione in Europa: la Germania non accetta di farsi dettare la politica economica. Nemmeno la Cina vuole regole vincolanti per aggiustare gli squilibri provocati dalle sue esportazioni. Il Brasile dice che è un documento "oscuro" e di non essere d'accordo. Simon Tilford, capo economista al Centre for European Reform, spiega che i politici europei sono "parrocchiali" e che c'è una spaccatura ideologica transatlantica che impedisce al G20 di adottare misure concrete. Alla fine un compromesso ci sarà: nessuna regola vincolante. Ma così il G20 rischia di essere GVano: ci sarà una peer review annuale al Fondo monetario internazionale.

    In fondo, si torna all'idea all'origine dei Vertici dei G: consultarsi e tentare di coordinare un minimo la risposta alla crisi petrolifera degli anni Settanta. Il problema è che i problemi veri per la ripresa economica non vengono affrontati. Aldilà del populismo su paradisi fiscali e bonus, non c'è accordo né sulla capitalizzazione delle banche (gli europei dicono che le loro banche sarebbero svantaggiate) né sulla riforma del Fondo Monetario Internazionale (gli europei non vogliono cedere i loro diritti di voto). Soprattutto, il protezionismo avanza: negli Usa con le tariffe sugli pneumatici cinesi, il buy american degli stimoli e le guerre commerciali con Corea, Canada e Sud America; in Cina con il buy china degli stimoli, la burocrazia e i progetti per la green economy; in Europa con il salvataggio di Opel e affini.

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