ItaliaFutura

Lodovico Festa

Con la sua abituale intelligenza Andrea Romano indica sul Sole 24 ore il rischio di nuove polemiche “anti élite” da parte del centrodestra. Ed è subito accontentato dal levarsi di strilli corrispondenti. Però non siamo nel 1994. Sull'università, cuore della questione delle élite in Italia, il riformismo del governo trova il consenso di un numero crescente di intellettuali.

    Con la sua abituale intelligenza Andrea Romano indica sul Sole 24 ore il rischio di nuove polemiche “anti élite” da parte del centrodestra. Ed è subito accontentato dal levarsi di strilli corrispondenti. Però non siamo nel 1994. Sull'università, cuore della questione delle élite in Italia, il riformismo del governo trova il consenso di un numero crescente di intellettuali. Giulio Tremonti ha il vezzo di prendersela con certi economisti ma sono sempre più gli studiosi di questa scienza che interloquiscono con il ministro dell'economia, abbandonando atteggiamenti da pensiero unico che a tratti caratterizzavano la discussione pubblica. La critica, peraltro, a generiche posizioni antielitarie è giusta ma non va confusa con la richiesta che non si costituiscano più vasi chiusi delle “idee”, in cui alcuni hanno la licenza per intervenire e altri sono dannati per l'eternità all'emarginazione. Secondo gli usi dell'egemonismo di stampo cominternista, man mano adottati anche da ambienti del nostro estenuato establishment. Comunque, chiunque oggi “produca” idee è benedetto.

    Esemplarmente utile, in tal senso, il decollo di una fondazione come ItaliaFutura che sarà diretta dallo stesso Romano. Certo, le idee per crescere hanno bisogno di dibattito, non di cattedre esclusiviste magari garantite da potentati economici. Ed è bene dunque che i processi culturali o economico-finanziari o politici siano almeno un po' distinti e avvengano nel massimo della trasparenza. Seguendo questa ispirazione, senza cedere ad alcuna teoria complottarda, è utile riflettere su come il decollo di ItaliaFutura avvenga parallelamente a importanti processi di assestamento del potere economico che in parte si intrecciano anche alla politica. Due protagonisti della nuova fondazione, Luca Cordero di Montezemolo e Corrado Passera, sono anche al centro di vicende assai in movimento nei gruppi economici di cui il primo è presidente (Fiat) e l'altro amministratore delegato (Intesa Sanpaolo), Nella società torinese l'iniziativa è in mano a Sergio Marchionne che punta a una dimensione multinazionale, incentrata sul core business (l'auto), sempre meno invischiata in vicende politiche inevitabilmente connesse per esempio con l'attività editoriale (Fiat è proprietaria della Stampa e socio di maggioranza relativa del Corriere della Sera). Le scelte marchionniche sono in parte inevitabili, ma non mancano resistenze nella parte della proprietà che ha sempre vissuto la Fiat non solo come industria ma come anche componente del potere politico fondamentale dell'Italia, un potere con qualche tratto feudale.

    La Fiat conterà molto anche nel futuro ma il lato feudale del suo potere sarà inevitabilmente superato se procederà la trasformazione multinazionale avviata. La dialettica procede dentro la “famiglia” con episodi laceranti (dalla Juventus all'eredità di Margherita Agnelli), sottotraccia segnata anche dall'ormai storica divisione tra eredi di Gianni e di Umberto che si riverbera in due ipotesi di futuro una più feudale, l'altra più repubblicana. E, intanto, i casi Fiat si collegano a quelli di Intesa Sanpaolo, dove presidente della Compagnia Sanpaolo (il più importante socio di Intesa San Paolo) è Angelo Benessia, in particolare sintonia con Marchionne, anche lui teso a costruire una banca sempre più sul mercato (e partner Fiat) e sempre meno politica. In questa prospettiva Benessia si confronta con Passera che invece ha costruito il suo ruolo sull'idea della banca di sistema, dapprima in sintonia con Giovanni Bazoli, poi, dopo l'esplosione del caso Zaleski (l'avvocato bresciano si è chiesto chi passò alla Repubblica le dritte sulla vicenda) e dopo quello Zunino (anche Passera si è domandato chi ha gonfiato il caso), sempre più isolato. C'è chi si interroga su chi abbia spinto la famiglia Agnelli tramite le finanziarie controllate a manifestare l'intenzione di acquisire Banca Fideuram. Operazione che – come è stato osservato da Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera – appare azzardata (la Fiat chiede capitali a tutti – e qualcuno sottolinea con malizia come certe richieste di Marchionne avvengano proprio parallelamente all'iniziativa su Fideuram – e la “famiglia” socio di riferimento si impegna in uno sforzo, secondo tanti sproporzionato, su un'attività parabancaria?) ma che consentirebbe a Intesa Sanpaolo di resistere alla necessità di usare i Tremonti bond per capitalizzarsi adeguatamente.

    E qui si viene al terzo corno della questione: la linea molto repubblicana del ministro dell'Economia che chiede alle banche e alle imprese di fare il proprio mestiere lasciando alla politica (che naturalmente sarà sempre influenzata dalle lobby: ma una cosa è un rapporto dialettico, un'altra uno subalterno) di delineare i suoi indirizzi fondamentali nei luoghi deputati, definiti dal suffragio popolare. Nelle scorse settimane un osservatore attento a ciò che matura a Torino, Marcello Sorgi, aveva dato per fatto un accordo organico tra Pdl e Udc – è rilevante come nessuno si interessi all'opposizione e il gioco avvenga tutto nell'area a destra del centro – che avrebbe limitato consistentemente il peso della Lega, supporto fondamentale di Tremonti. Poi la situazione si è modificata e la Stampa ha cambiato interpretazioni dando  molto spazio all'iniziativa di Pier Ferdinando Casini e molto meno all'ipotesi dell'accordo “chiuso”.
    Bene, dunque, che si confrontino le idee. Bene che si difendano le élite che pensano. Particolarmente bene, anche, che tutto avvenga senza ripristinare antichi, opachi circuiti oligarchici.