La notte dei lunghi sportelli

Paola Peduzzi

"Ci vediamo alle sei da me. Dobbiamo decidere che fare di Lehman Brothers”. E' il 12 settembre 2008, venerdì. Tim Geithner, capo della Fed di New York e ora ministro del Tesoro di Barack Obama, convoca nella sua sala riunioni i banchieri più influenti di Wall Street. Al meeting partecipano anche Ben Bernanke, governatore della Fed, il ministro del Tesoro, Hank Paulson, e il capo della Sec, Christopher Cox.

    "Ci vediamo alle sei da me. Dobbiamo decidere che fare di Lehman Brothers”. E' il 12 settembre 2008, venerdì. Tim Geithner, capo della Fed di New York e ora ministro del Tesoro di Barack Obama, convoca nella sua sala riunioni i banchieri più influenti di Wall Street. Al meeting partecipano anche Ben Bernanke, governatore della Fed, il ministro del Tesoro, Hank Paulson, e il capo della Sec, Christopher Cox. E' il team classico dei salvataggi, si riunì (i personaggi non erano naturalmente tutti gli stessi) anche alla fine degli anni Novanta, quando bisognava dare una mano a Long-Term Capital Management, l'hedge fund resuscitato grazie all'intervento – incentivato dal governo e dall'allora governatore Alan Greenspan – delle altre banche. Allora, in questa sala con i pannelli di legno alle pareti, c'era anche Dick Fuld, capo di Lehman Brothers, più noto con il nome di battaglia “Gorilla”.

    Al meeting convocato da Geithner il Gorilla non c'è. E' nella sala del consiglio di amministrazione di Lehman a Times Square, in attesa che qualcuno arrivi a salvare lui e la sua banca, che ha appena registrato 3,9 miliardi di dollari di perdite. La lista degli angeli salvatori stilata da Fuld comprende: Barclays in Inghilterra: il capo di Lehman nella City la corteggia già da un po'; Bank of America: il colosso di Ken Lewis è in perenne caccia di potere e influenza; un prestito della Fed: già a marzo questa soluzione aveva permesso la (s)vendita di Bear Stearns a JP Morgan. Fuld è certo che non sarà abbandonato.

    Poco dopo le sei, quando tutti si sono seduti al tavolo della sala riunioni di Geithner, Paulson mette in chiaro le cose: ci vuole una soluzione di settore, Lehman si salverà soltanto se saranno le altre banche ad aiutarla. E' finita la stagione dell'irresponsabilità, chi rompe paga. Se i colleghi-concorrenti non vogliono accollarsi l'onere, Lehman fallirà. Paulson propone un piano: una bad bank, il cui peso finanziario viene distribuito tra le banche che partecipano al salvataggio, e una good bank per la quale c'è già una trattativa in stadio avanzato con Barclays (e qualcosa anche con Bank of America). Il capo di Morgan Stanley, John Mack, si alza in piedi: è una follia – dice – perché noi dovremmo prenderci la spazzatura e Barclays (o peggio ancora Bank of America) i gioielli? L'obiezione toglie dall'imbarazzo gli altri banchieri che, come ha raccontato il New York Magazine, “si uniscono in un coro di ‘no'”. L'opzione salvataggio di sistema viene scartata: per i banchieri di Wall Street Lehman può fallire.

    Ci sono ancora gli angeli, però. I consulenti di Bank of America compulsano i documenti di Lehman, Lewis torna da New York a Charlotte, in North Carolina, al quartier generale, ma ora di sabato mattina sta già ritornando a Manhattan: ha un altro affare da sbrigare, ben più urgente, Lehman per lui non esiste più. Resta in piedi la trattativa con Barclays, ma la richiesta della banca inglese è precisa: ci vuole una garanzia del governo, come era stato per Bear Stearns. Geithner dice di no. Barclays insiste: o così o non si fa niente. Questa volta è Paulson a dire di no. Barclays prova a ipotizzare di poter fare da sé, ma deve riunire il consiglio di amministrazione e ci vuole tempo, almeno una settimana. Paulson dice no, non abbiamo tempo, non faremo da rete di salvataggio a Lehman nemmeno per un giorno.

    Il destino della banca è deciso. La Fed e il governo non hanno intenzione di mettere in campo negoziati né tanto meno soldi. E' la selezione naturale, chi rompe paga, anche se è “too big to fail”, com'è Lehman, che con 25 mila dipendenti e asset per 600 miliardi è il quarto istituto finanziario più grande di Wall Street (oltre che il più vecchio, 158 anni di storia). E' una decisione difficile, l'apertura dei mercati il lunedì sarà drammatica, è necessario studiare un piano antipanico, ma gli investitori devono sapere che chi è solido resisterà e chi è vacillante cadrà. Il miglior antidoto alla paura è la trasparenza, il mercato funziona – e si assesta – quando ha tutte le informazioni a sua disposizione.
    Fuld capisce che le cose si sono messe male sabato, 13 settembre, quando nessuno gli risponde più al telefono. Né Paulson né Geithner né (ma questo è già più comprensibile) Bernanke. Fuld capisce di essere spacciato quando non riesce più a parlare nemmeno con Ken (Lewis): la moglie, Donna Lewis, spazientita gli dice di smetterla di telefonare, se e quando suo marito avesse deciso di parlargli, lo avrebbe richiamato.
    Lewis ovviamente non lo avrebbe più richiamato. Non soltanto perché ormai non gliene fregava più nulla di Lehman, ma perché si era infilato in un altro, esplosivo affare.

    Sabato mattina, Lewis riceve la telefonata di John Thain, capo di Merrill Lynch. Thain è un grande amico di Paulson, un “protegé”, hanno lavorato insieme per anni a Goldman Sachs – dove hanno orchestrato il coup contro Jon Corzine che avrebbe portato Paulson a capo della banca. Thain è il contrario di Paulson: ha la faccia da bravo ragazzo, rassicurante (ben diversa da quell'aria stralunata e perfida del ministro) ed è un oratore elegante (Paulson è un disastro a parlare, riesce a rendere confusa e preoccupante anche la dichiarazione più semplice). Si è fatto tanti amici quando era a capo della Stock Exchange di New York ed è stato accolto come il salvatore quando, alla fine del 2007, è diventato il capo di Merrill Lynch. E' uno dei nomi che a Wall Street circolano accompagnati da grandi riverenze.

    Quando Thain telefona a Lewis è mattina presto, ma sa già – con tutta probabilità lo ha saputo da Paulson – che Lehman fallirà e che, come avrebbe dichiarato in seguito, “le conseguenze per Merrill sarebbero state devastanti”. Thain sa anche un'altra cosa: non vuole fare la fine di Fuld. Deve trovare un acquirente, a qualsiasi costo. E' per questo che chiama Lewis. Domenica notte, il 14, l'accordo è firmato: Bank of America acquisisce – salvandola da fallimento certo – Merrill, l'unione sarà operativa dal gennaio del 2009. E' una delle coppie più strane che Wall Street potesse immaginare: che c'azzecca una banca commerciale con la Wal-Mart dell'investment banking? Charlie Gasparino, commentatore di Cnbc, è il primo a parlare di “matrimonio forzato”. Soltanto a partire da novembre (e poi ancora di più a febbraio, quando il procuratore di New York, Andrew Cuomo, decide di aprire un'indagine) si inizia a capire che cosa è successo: Paulson ha deciso che Thain non farà la fine di Fuld, costi quel che costi. Paulson sta cioè dando inizio a quella che l'Economist definisce “una selezione innaturale”, che finirà per drogare il mercato. Quando Lewis, a dicembre, capisce di essersi imbarcato in un'operazione che gli costerà la carriera, è troppo tardi. Paulson e Bernanke non hanno alcuna intenzione di assecondare i suoi ripensamenti. Le perdite di Merrill hanno raggiunto i nove miliardi di dollari (in seguito avrebbero superato i 15 miliardi) e tutti consigliano l'amministratore delegato di Bank of America di annullare l'accordo invocando una clausola del contratto che ne prevede la risoluzione in caso le condizioni siano variate sensibilmente e inaspettatamente rispetto a quando è stato firmato (è la cosiddetta MAC).

    Lewis al voto del 5 dicembre tiene botta e tutti gli azionisti danno il via libera all'acquisizione. Ma la situazione di Merrill continua a peggiorare, e il 17 dicembre Lewis chiama Paulson al telefono per dirgli che vuole risolvere il contratto e invocare la MAC. Secondo le deposizioni raccolte da Cuomo, il ministro del Tesoro (ormai uscente) risponde: “Dobbiamo parlare, puoi essere qui alle sei?”. Lewis parte da Charlotte alla volta di Washington. Appuntamento alla Federal Reserve, c'è anche Bernanke. Lewis dice che Bank of America subirà la prima perdita in 17 anni nell'ultimo trimestre del 2008 e che l'acquisto di Merrill non potrà che aggravare la situazione. Vuole risolvere il contratto. Ma Paulson e Bernanke non ci sentono: l'accordo è fatto, punto. L'incontro finisce. Quattro giorni dopo Lewis cerca di nuovo Paulson al telefono. Il ministro risponde da un'ovovia in Colorado. Nella deposizione a Cuomo, Lewis ha ricordato: “Paulson mi disse: ‘Sarò molto schietto: siamo molto solidali con Bank of America ma né il governo né la Fed pensano che sia nel tuo interesse invocare la Mac e risolvere l'accordo con Merrill. Pensiamo che sia così giusto che questo accordo vada in porto che rimuoveremo il consiglio di amministrazione e il management se non accadrà”. Secondo le e-mail pubblicate dal Wall Street Journal, anche Bernanke avrebbe usato le stesse identiche minacce: se la fusione non si fa, Lewis va a casa.

    Lewis non è certo un cuor di leone e sull'accordo ci ha già messo la faccia. Ora fa di più: nasconde agli azionisti alcune informazioni sensibili, per evitare una rivolta interna che non sarebbe stata gradita a Washington. Anzi, dice che l'operazione è nell'interesse dell'America e che quel che è buono per il paese è buono anche per la sua banca. Non importa che, da quella notte di settembre fino a gennaio, il prezzo delle azioni di Bank of America sia passato da 34 dollari a 13,50 (sei settimane dopo, sarebbe sceso a 3,14 dollari). Perché in cambio dell'affare più disastroso del secolo, Lewis riceve un carrettata di miliardi del governo. Alla fine saranno 45 miliardi di dollari provenienti dal pacchetto di 700 miliardi stanziato dal governo oltre alla garanzia “di fornire ogni protezione contro ulteriori perdite”. A Thain è andata ancora meglio: Merrill perde 15 miliardi di dollari, ma i suoi manager ricevono 3,2 miliardi in bonus.

    Ma torniamo a settembre. Perché il weekend iniziato con un governo liberista e finito con il più grande intervento dello stato nell'economia della storia americana non è affatto finito. Lehman è fallita, Merrill è salvata, i mercati ancora non lo sanno, ma Geithner, Paulson e Bernanke hanno già un altro problema da risolvere. Aig sta per fallire. Il colosso delle assicurazioni ha venduto alle maggiori banche miliardi in credit-default swap (cds), cioè coperture assicurative contro i default, che nella fattispecie facevano riferimento ai mutui subprime notoriamente rischiosissimi. Standard & Poor's si sta preparando a rivedere il rating di Aig, il che significa una serie di richieste di pagamenti che Aig non può affrontare. Goldman Sachs ha comprato 20 miliardi di questi cds nel 2005. Alla vigilia di questo weekend di settembre, Goldman ha già raccolto 7,5 miliardi di quei 20, ma ne ha ancora 13 a rischio, e Aig non è in grado di ripagarli. Oggi sembra strano dirlo, visto che siamo abituati a trattare i miliardi come se fossero milioni, ma 13 miliardi di dollari non ripagati possono far saltare in aria Goldman Sachs. Paulson e Geithner convocano un meeting straordinario alla Fed per il mattino successivo, lunedì. Intanto pensano a una soluzione. La prima è, come prevede il canovaccio Lehman, un salvataggio di settore. Chi rompe paga, no? Ma la risposta potrebbe essere la stessa ricevuta venerdì sera: no, grazie. Le banche sono tutte esposte e nessuna vuole prendersi altri asset tossici a bilancio. Ormai ognuno pensa a giocare la propria partita, utilizzando tutti i canali aperti – e sono moltissimi – con il governo. Che possono fare allora Geithner, Paulson e Bernanke? Coerenza vorrebbe che lasciassero al mercato la possibilità di assestarsi. E' la logica sottostante alla decisione presa, senza un tentennamento, nei confronti di Fuld e di Lehman. Invece no. Temono che, tra il panico generato dal fallimento di Lehman e i miliardi in gioco, ci sia un effetto domino incontrollabile. E' necessario studiare un'alternativa, che a questo punto passa inevitabilmente per le casse dello stato.

    Lunedì, il 15 settembre, quando il meeting straordinario si tiene, è chiaro che non sarà il mercato a far pulizia nel settore finanziario. Secondo i racconti, i rappresentati di Goldman presenti, tra effettivi ed ex (che stanno seduti tendenzialmente dalla parte del tavolo in cui ci sono i funzionari di Fed e governo), sono il triplo degli altri. Secondo le ricostruzioni del New York Times, in quelle ore convulse che hanno invertito i rapporti di forza tra banche e governo – essenzialmente per la debolezza del governo, ma pure per lo strapotere delle banche – le telefonate tra Paulson e il capo di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, sono una ventina. Più di qualsiasi altra comunicazione tra il ministro del Tesoro e gli altri banchieri, che pure hanno ottenuto generose risposte. Tutto è deciso. Martedì Paulson annuncerà il salvataggio di Aig, 85 miliardi di dollari di fondi. Pochi giorni dopo, sarà la volta del Tarp, 700 miliardi di dollari per salvare il sistema finanziario. Il mercato drogato comincia un'altalena nauseante, il panico cresce, il Tarp cambia forma e diventa un'iniezione di soldi a fondo perduto: a tutt'oggi non c'è un report che dica come sono stati usati tutti quei soldi. E' facile intuire che le banche li abbiano utilizzati per sistemare i bilanci e cancellare i segni della loro irresponsabilità, tanto che tutte – Citigroup, Bank of America, JPMorgan, Goldman Sachs – segnano già all'inizio del 2009 profitti, come dire, inaspettati. La finanza e i finanzieri sono stati salvati, ma tra stimoli, incentivi e altri aiuti (come al settore automobilistico) i conti dello stato americano sono rimasti dissestati. La maggior parte degli esperti oggi dice, a un anno da quei matrimoni forzati e da quei salvataggi a pioggia, il sistema finanziario può saltare in aria ancora per gli stessi identici motivi, mentre l'economia reale, che pure dà segnali di miglioramenti, si sta caratterizzando per una ripresa che non crea posti di lavoro. Nelle ultime ore del fine settimana del settembre dell'anno scorso tutto questo è stato generato.

    E' lunedì, il 15 settembre. I mercati scoprono che Lehman fallirà e il panico diventa choc finanziario. A Wall Street la data è ricordata come 9/15: fa il paio con 9/11, l'undici settembre. Paulson arriva alla conferenza stampa nella Cash Room, la sala del ministero del Tesoro dove nell'Ottocento si svolgevano le principali transazioni del paese e imprenditori e finanzieri arrivavano con le carrozze e sacchi pieni di oro. Ha gli occhi cerchiati, Paulson, un aspetto terribile. Evita gli sguardi, dice: “Spero che tutti quanti abbiate passato un bel weekend”. Involontariamente sorride. (nell'immagine: Diego Rivera, “Il banchetto di Wall Street”, 1928, murale, ministero dell'Educazione a Città del Messico (Granger Collection/Ullstein Bild)

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi