La zia Fini

Lodovico Festa

Spesso il mio direttore individua acutamente processi in corso e scenari futuri. E così quando invita a considerare senza malizia le mosse di Gianfranco Fini perché forse aiutano il Pdl a pensarsi in modo maturo, è necessario ascoltarlo. E' evidente come Pdl e Lega Nord debbano passare dal movimentismo di questi anni a uno sforzo di istituzionalizzazione di linguaggi, comportamenti, organizzazioni. Naturalmente nessuno nasce imparato.

    Spesso il mio direttore individua acutamente processi in corso e scenari futuri. E così quando invita a considerare senza malizia le mosse di Gianfranco Fini perché forse aiutano il Pdl a pensarsi in modo maturo, è necessario ascoltarlo.
    E' evidente come Pdl e Lega Nord debbano passare dal movimentismo di questi anni a uno sforzo di istituzionalizzazione di linguaggi, comportamenti, organizzazioni. Naturalmente nessuno nasce imparato. I repubblicani di Ugo La Malfa avevano le radici nel Risorgimento, e così i liberali. Il Partito socialista fu fondato nel 1892. I popolari-democristiani cominciarono a definirsi agli inizi del Novecento. Il Pci (allora Pcd'I) nacque nel 1921, i fascisti nel 1919. Oggi in Italia la forza politica più “vecchia” è la Lega che decolla negli anni Ottanta. Il delitto di avere impedito un'evoluzione della politica nel 1992, lo paghiamo ad abbondanza con la fragilità della nostra classe dirigente.

    Dando per scontato questo fatto e dando per appurato che senza il movimentismo berlusconian-leghista l'Italia sarebbe dominata da oligarchie di fronte alle quali quelle putiniane impallidirebbero, è chiaro come sia forte l'esigenza in questa situazione di passare a una vita politica strutturata, anche per continuare a esercitare un nostro ruolo in politica estera che il cieco anti berlusconismo nega e che invece esiste. In questo senso il lavoro da vecchia zia di Fini nel contrastare un po' di analfabetismo morale dei leghisti (medici spia, presidi spia, ronde, vagoni separati e così via) è prezioso. E la lezione non vale solo per i bossiani. Anche il magnifico Ignazio La Russa ogni tanto eccede nei toni (vedi Onu). Per non parlare delle opportune considerazioni avanzate da FareFuturo sui metodi troppo disinvolti di selezione del personale politico nel Pdl. E così anche l'attenzione alla centralità del Parlamento e della Costituzione. Fini non si presenta come un “talebano” della Costituzione, bensì come uomo aperto al rinnovamento. Ma un rinnovamento da affrontare senza incrinare quel prezioso elemento che è la “fiducia” per la politica, per le istituzioni, per le “forme”. L'unica via per incivilire il dibattito e dunque il nostro paese.

    Anche in altri campi non mancano interventi finiani utili. Dalle questioni della laicità dello stato a quelle della liberalizzazione dell'economia. Anche se non sempre Fini sembra dominare bene, culturalmente, le differenze tra laicità e ideologizzazione laicistica. E qualche volta sui temi economico-sociali le sue iniziative mi ricordano quel gioco da gatto e la volpe cui davano vita Marco Follini e l'area filocislina dell'Udc: il primo a chiedere riforme ultraliberiste, i secondi (d'intesa con il primo) a montare barricate contro simili scelte. Certe manovre di sponda con Renata Polverini, che appare molto vogliosa di fare la Ribbentroppa in cerca di patti con Molotov-Guglielmo Epifani, sono comprensibili tatticamente ma incidono negativamente su chi cerca di darsi un profilo strategico. Però fa premio su tutto, per ciascuno di questi temi, l'importanza che circoli qualche idea e non solo slogan.

    Ma veniamo alle cose che non mi piacciono. Qualche tentazione di costruire un triangolo delle “alte cariche” (in questo caso un duetto perché Renato Schifani sicuramente non si presterebbe) mi sembra contraddittoria rispetto alla forma “istituzionale” così cara a Fini. La nostra Repubblica non prevede un asse Quirinale-presidenze delle Camere che scavalchi Palazzo Chigi. Secondo me il ruolo più naturale di un presidente di una Camera in regimi parlamentari come il nostro sarebbe di raccordare governo e Aula. La nostra un po' pasticciata Costituzione e le caotiche vicende di questi anni hanno determinato una dialettica meno ordinata con uno “speaker” che ha anche ruoli politici. Non li dovrebbe almeno esercitare in asse con il Quirinale secondo una prassi tendenzialmente eversiva inventata dal re degli intrighi Oscar Luigi Scalfaro. Per fortuna, oggi sul Colle c'è Giorgio Napolitano e dunque su questo fronte i rischi sono nulli.

    Più in generale, in Fini mi è poco chiaro il disegno strategico. Si sono citati a proposito delle sue mosse il talento politico di chi sa “scartare”: da Tony Blair a Nicolas Sarkozy. Eppure “il laburista” e “il gollista” se hanno avuto una caratteristica nell'azione politica (astuta, spietata con i competitori, capace di raccogliere idee tra gli avversari) è stata quella di costruire una piattaforma vincente per “il proprio schieramento”. Blair e Sarkozy hanno sempre tenuto ben fermo l'obiettivo di egemonizzare il loro partito, quando si sbarazzavano dei Kinnock o dei de Villepin. Sono stati capaci di sfruttare il thatcherismo o gli Strauss-Kahn ma per far vincere laburisti o gollisti. Non è mai venuto loro in mente di appoggiarsi su conservatori o socialisti francesi per battere avversari interni.

    Chi vuole guidare il centrodestra deve dare indicazioni “al centrodestra”, non farsi applaudire dal centrosinistra per aumentare di peso politico. Questo è un comportamento, non dico alla Claudio Martelli, però assai poco alla Blair o alla Sarkozy. E, infine, anche Fini ha avuto qualche volta la tentazione di usare la politica estera (vedi Libia) come strumento di visibilità personale. Leggendo l'Unità ci si imbatte anche nello sforzo di introdurre contraddizioni tra le politiche energetiche italiane e americane per separare Silvio Berlusconi e Barack Obama: un simile uso della politica estera è un vizio, ben analizzato da Gramsci, che esprime lo scarso spirito nazionale delle nostre élite. Tra i tanti vizi ecco uno che proprio si dovrebbe evitare.