Il nord conteso

Il Cav. accontenta Bossi, ma in Veneto si rischia l'esplosione del Pdl

Salvatore Merlo

Domani il governatore veneto Giancarlo Galan convolerà in seconde nozze, testimone dello sposo Silvio Berlusconi. Comprensibile dunque il particolare stupore con il quale Galan ha appreso, mercoledì sera, della disponibilità del premier a cedere la presidenza del Veneto alla Lega. “Piuttosto che accettare d'essere scaricato in malo modo – ha detto in privato – preferisco considerare l'offerta di Pier Ferdinando Casini e aprire a un'ipotesi sul modello trentino”.

    Domani il governatore veneto Giancarlo Galan convolerà in seconde nozze, testimone dello sposo Silvio Berlusconi. Comprensibile dunque il particolare stupore con il quale Galan ha appreso, mercoledì sera, della disponibilità del premier a cedere la presidenza del Veneto alla Lega. “Piuttosto che accettare d'essere scaricato in malo modo – ha detto in privato – preferisco considerare l'offerta di Pier Ferdinando Casini e aprire a un'ipotesi sul modello trentino”: un'alleanza allargata al Pd. Perplessità – da una condizione più sicura di quella del collega veneto – forse condivise dal presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, anche lui indirettamente citato dal premier a “Porta a Porta” (possibile dare la Lombardia ai leghisti? “Dobbiamo approfondire, sentire cosa preferiscono”). Dichiarazioni, queste del premier, che in verità – a soli due giorni dal voto – avevano subito allarmato anche il suo stretto entourage romano, perché riferite con troppa “nettezza” dalle agenzie.

    Così, quando a tarda sera il sottosegretario Paolo Bonaiuti ha ricevuto una telefonata tumultuosa da parte di Galan, era già pronta una parziale rettifica: “Il Veneto andrà a chi prende più voti alle europee”. Una versione ribadita ancora ieri dal premier: “E' il metodo democratico, chi prende più voti governa”. In Veneto pare (dai sondaggi) che il sorpasso leghista sul Pdl sia già avvenuto. Bossi – “vedrò in base ai consensi che cosa chiedere tra Lombardia e Veneto” – è più che soddisfatto. Nonostante la cautela del Cav, il leader padano ha ormai una cambiale da esigere a breve scadenza (il voto regionale è per il 2010). “L'importante – spiegano nella Lega – è che Berlusconi l'abbia detto. Le sue reali intenzioni non contano”. Ma quali sono le reali intenzioni? Il premier – dicono i berlusconiani – aspetta soltanto il trionfo elettorale per seppellire l'aggressione a mezzo stampa e placare gli alleati. Perché sventolare Veneto e Lombardia sotto il naso di Bossi? Perché c'è uno scambio. La Lega ha implicitamente chiesto d'essere ricompensata per aver difeso il premier – forse più degli altri – nel momento di più acuta difficoltà sotto i colpi di Repubblica. Contemporaneamente, la strategia prevede anche il massimo di concordia ufficiale: “La nostra amicizia è salda” (Bossi); “quando lasceremo la politica lo faremo insieme” (Berlusconi).

    Ieri Berlusconi e Bossi hanno concluso insieme la campagna elettorale a Milano sostenendo la candidatura, alla provincia, di Guido Podestà (Pdl). Le dichiarazioni di unità e fratellanza sono state innumerevoli: “La nostra è una amicizia profonda e consolidata”, ha detto il presidente del Consiglio. Eppure nel Pdl berlusconiano e finiano si alzano voci preoccupate sia a Roma sia al nord. “Il Pdl del Veneto non ha alcuna intenzione di lasciare la regione alla Lega”, ha commentato a caldo il coordinatore regionale, ed ex dirigente di An, Alberto Giorgetti. E un vecchio amico del Cav, Giorgio Stracquadanio, al Foglio dice che “sulla fedeltà della Lega io non ci scommetterei troppo. Se non sbaglio, per esempio, ancora nessun loro dirigente ha smentito l'ipotesi che i padani disertino i ballottaggi del 21 giugno”. Berlusconi sembra sicuro: “A Milano sono fiducioso che voteranno anche l'eventuale secondo turno”, specie dopo aver promesso loro il governo del Veneto. Tuttavia il centrodestra corre il rischio di affrontare un conflitto “atomico” visto che, a quanto risulta al Foglio, su indicazione di Casini il leader veneto dell'Udc, Antonio De Poli, ha telefonato al governatore berlusconiano Galan offrendogli un'ipotesi di “ribaltone”. Ma chissà. D'altra parte ambienti vicini a Galan dicono che il presidente sarebbe disponibile a una “ricomposizione” incruenta. Solo i risultati combinati di europee e amministrative, domani e domenica, potranno fare chiarezza ridisegnando gli equilibri di forza nel centrodestra.

    Mentre Berlusconi sorride, nel Pdl c'è un po' di tramestio. La Lega alza il tiro (“siamo pronti a governare anche il comune di Milano”, dice con euforia Matteo Salvini) e gli ambienti vicini al plenipotenziario di Bossi, Giancarlo Giorgetti, parlano apertamente di secessione di fatto, di una Lega “destinata a governare da sola il nord” mitigata da un rapporto d'alleanza indiscussa col Pdl sul modello della Csu in Baviera. “Il bombardamento d'inaudita violenza subìto da Berlusconi per mezzo di Repubblica, se non ha portato nessun vantaggio apparente al Pd ha tuttavia permesso sia a Bossi sia a Gianfranco Fini – silente da quasi un mese – di passare all'incasso nei confronti del premier”, dicono alcuni berlusconiani. Alla ex An, tra le altre cose, è andata la direzione di Rai Uno; alla Lega è stato promesso il Veneto e persino ipotizzata la cessione della Lombardia. Ma le concessioni non sarebbero finite: le nomine Rai non sono ancora complete, mancano i vicedirettori dei principali telegiornali. Non poco.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.