Il quorum (fatale) padano

Per la Lega è meglio perdere i ballottaggi che piegarsi al referendum

Salvatore Merlo

La linea, come sempre, l'ha dettata Umberto Bossi: nel giorno dei ballottaggi la Lega inviterà i propri elettori a disertare le urne per evitare anche la remota ipotesi che il referendum elettorale, abbinato al secondo turno delle amministrative, il 21 giugno possa raggiungere il quorum. Ma la posizione della Lega rischia di creare qualche problema al centrodestra e persino, se portata avanti con fermezza, alle stesse ambizioni egemoniche dei padani sul Veneto.

    La linea, come sempre, l'ha dettata Umberto Bossi: nel giorno dei ballottaggi la Lega inviterà i propri elettori a disertare le urne per evitare anche la remota ipotesi che il referendum elettorale, abbinato al secondo turno delle amministrative, il 21 giugno possa raggiungere il quorum. Ma la posizione della Lega rischia di creare qualche problema al centrodestra e persino, se portata avanti con fermezza, alle stesse ambizioni egemoniche dei padani sul Veneto, la regione dove – per dirla col ministro padano Luca Zaia – il governatore Giancarlo Galan “ha fatto il suo tempo e ora tocca a noi”.

    Premesso che, visti i sondaggi, l'alleanza guidata da Silvio Berlusconi dovrebbe spuntarla quasi ovunque al nord, ci sono tuttavia comuni (Padova) e province importanti come Milano, Cremona, Lodi, Rovigo, Belluno e Venezia dove il centrosinistra è ancora un competitore agguerrito. Si arrivasse al ballottaggio, davvero il partito di Bossi scaricherebbe gli alleati e i propri candidati a un passo dalla meta solo per fugare il rischio che l'osteggiatissimo referendum possa modificare il sistema elettorale a proprio svantaggio? Chissà. “Il 21 giugno in ballo c'è molto di più”, dice il deputato leghista e dirigente lombardo Matteo Salvini. “Il referendum elettorale – spiega al Foglio – è una truffa rifilata al nord. Comuni e province non ne valgono il prezzo, per questo la nostra gente non voterà ai ballottaggi”. E' la posizione solitaria del “duro” Salvini? “No – risponde – questa è la trascrizione del pensiero di Umberto Bossi e Giancarlo Giorgetti. E' la linea della Lega ”.

    Eppure alla provincia di Milano la partita è aperta e non è affatto detto che il candidato del Pdl, Guido Podestà, s'imponga sull'uscente Filippo Penati: “Purtroppo è poco conosciuto”, ha detto Bossi. Come pure sono in bilico tre province su sette del Veneto, dove corrono altrettanti candidati espressione della Lega. Così non stupisce che al quartier generale di via Bellerio a Milano qualcuno dica: “Di scaricare i candidati del Pdl non ce ne importa. Certo è che se i nostri ce la facessero in Veneto sarebbe lacerante dover invitare all'astensione”. Anche perché la Lega quella regione (si vota il governatore nel 2010) la vuole per sé. E se conquistasse in queste elezioni anche solo una provincia al Pd, avrebbe acquisito un credito notevole da spendere nelle trattative col Pdl.

    Sommate tra loro, le percentuali di consenso per la Camera raccolte dal centrodestra alle ultime politiche a Milano e provincia, superano il 50 per cento dei consensi: 50,73. Ma i sondaggi indicano che il presidente della provincia uscente, il democratico Filippo Penati, tiene. E il ballottaggio non è escluso. Contemporaneamente a Cremona (roccaforte rossa) e a Lodi, dove governa il centrosinistra, la coalizione di Berlusconi avanza e si ipotizza l'approdo al secondo turno. Anche a Bergamo i sondaggi non sono intellegibili e definitivi. Dice Salvini: “Podestà, a Milano, lo sa bene che non voteremo il 21. Siamo impegnati per farlo vincere al primo turno”.

    Tuttavia la fermezza della Lega, forse tatticamente ostentata, potrebbe vacillare in Veneto. A Belluno, Rovigo e Venezia – dove governa la sinistra – il centrodestra, che cresce nei sondaggi, ha candidato tre uomini indicati da Bossi. E se Rovigo rappresenta un risultato complesso perché la Lega lì è sempre andata male, a Venezia e Belluno comincia ad affacciarsi l'ipotesi di mettere in difficoltà le giunte uscenti. Non solo. Bossi e i suoi strateghi sanno bene che per riuscire a strappare a Berlusconi la candidatura di un leghista alla presidenza della regione nel 2010 deve verificarsi, in queste elezioni, almeno una di queste ipotesi: la crescita esponenziale della Lega nel complesso della regione, la conquista di una provincia “rossa” al centrosinistra o l'improbabile débâcle del Pdl. L'obiettivo è dare – parole padane – “il colpo di grazia” al governatore berlusconiano Galan.

    Sicuro che di fronte a un ballottaggio a Venezia i padani si ritirerebbero? Non è affatto detto. L'attacco concentrico al governatore uscente è già cominciato e persino gli ambienti vicini a Galan spiegano che “sarà importante la tenuta del Pdl, ma se la Lega vincesse una provincia del Pd saremmo in difficoltà”. Difatti ai propri uomini sul territorio Galan avrebbe consigliato di rendere dura la vita dei candidati padani: una situazione in cui il centrodestra veneto appare balcanizzato. Galan sente la morsa leghista e minaccia nuove geometrie, ipotesi di “modello trentino” con Udc e Pd. Eppure al Foglio chi lo conosce bene dice che “si farebbe da parte”, ma è necessario che Berlusconi e Bossi gli garantiscano una buona uscita. “Una nuova posizione di rilievo”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.