Una risorsa o una grana?

Fini, che fare? Dubbi berlusconiani nel trattare un caso spinoso

Salvatore Merlo

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si incontreranno a breve, forse già oggi, per una ricomposizione formale dopo una strana settimana di attacchi – pubblici e privati – tra i rispettivi gruppi pretoriani. Al momento in cui questo giornale va in stampa è previsto che si sfiorino allo stadio Olimpico dove si gioca la finale della Coppa dei Campioni.

    Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si incontreranno a breve, forse già oggi, per una ricomposizione formale dopo una strana settimana di attacchi – pubblici e privati – tra i rispettivi gruppi pretoriani. Al momento in cui questo giornale va in stampa è previsto che si sfiorino allo stadio Olimpico dove si gioca la finale della Coppa dei Campioni. Parleranno e fisseranno un incontro che plachi l'ansia retroscenistica dei quotidiani, fornendo così anche la prova fisica della ritrovata (forse) serenità. Tira aria di pacificazione. “Le antipatie e le rivalità riguardano più i colonnelli, berlusconiani e finiani, che i due leader”, sostengono nello stretto entourage di Fini. Chissà. Di sicuro c'è che il presidente del Consiglio e i suoi più fidati collaboratori cominciano a valutare l'ipotesi di dispiegare una, pur non facile, “strategia di assorbimento” o contenimento del fenomeno Fini.

    Il presidente della Camera dev'essere una risorsa”, questo il paradigma che il coordinatore del Pdl Sandro Bondi ha elaborato alcuni giorni fa in una lettera pubblica. L'idea si fa strada tra i vertici della ex FI ma in ordine sparso: perché alla strategia abbozzata con timidezza da Bondi corrispondono le perplessità del berlusconiano Gaetano Quagliariello e la cautela del capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto. Manca ancora un piano definito da Berlusconi in persona, il quale – raccontano – “è rimasto spiazzato” dal nuovo profilo di Fini. Il premier non si aspettava affatto che il leader di An, una volta confluito nel Pdl, avrebbe fatto la fronda: l'idea era che Fini si adeguasse al ruolo di erede designato. “Sapevamo che avrebbe puntato a distinguersi ma non immaginavamo sarebbe arrivato al punto di polemizzare con Berlusconi a ridosso delle elezioni come ha fatto sulla riduzione del numero dei parlamentari”. Fini dovrebbe essere compagno di strada per almeno i prossimi quattro anni, invece di scalpitare intorno a un leader in difficoltà. Il problema si combina con la campagna sulla vita privata del premier. I berlusconiani sanno che prima o poi “Repubblica smetterà di attaccare”; ma – se gli riesce – solo dopo aver dissanguato la reputazione berlusconiana. Dunque bisogna elaborare una controffensiva e farlo in fretta.

    Il presidente della Camera, con i suoi scarti in avanti e le sue posizioni eterodosse nei confronti delle idee dominanti all'interno del Pdl sarà pure, come ha detto lui stesso, una “minoranza” liberal democratica; sarà pure, per scommessa e strategia politica, “un'alternativa” al Cav; e sarà anche alla guida di un composito gruppo di deputati che agiscono con sbarazzina libertà; eppure, nonostante tutto, Gianfranco Fini resta pur sempre il secondo leader del Pdl nonché il presidente – berlusconiano – della Camera. Caratteristiche che dal punto di vista del centrodestra – questa l'idea che circola in FI – non rappresentano certo uno svantaggio. I berlusconiani puri potranno – come fanno – appioppargli poco generose definizioni (“opportunista e rompiballe”), ma Fini – pensano tanti altri – andrebbe addomesticato. Come? Considerandolo come un'opportunità da sfruttare e non come un fenomeno da combattere. Ma non è semplice. La fronda finiana ha in questi mesi determinato difficoltà reali nell'iter di alcune leggi promosse dalla maggioranza (un esempio è il non ancora approvato dl Alfano sulle intercettazioni), concorrendo talvolta a complicare i rapporti con la Lega (su immigrazione e sicurezza). Nel primo anno di governo i piccoli inciampi hanno inimicato a Fini non pochi tra i dirigenti berlusconiani di prima fila, così non stupisce sentir dire nel Pdl che “la questione Fini non è affrontabile perché lui sta al confine tra centrodestra e centrosinistra e non ci riesce di agganciarlo in nessun modo. Anche Berlusconi è disorientato”.

    C'è persino chi ha visto nelle reciproche avances che Fini e Massimo D'Alema si sono scambiati in questi giorni (nonché la partecipazione indiretta di entrambi all'associazione “Italia decide” di Luciano Violante) i prodromi di una nuova alleanza: qualora la crisi economica si aggravasse, il presidente della Camera potrebbe diventare il punto di riferimento di un esecutivo d'emergenza? Niente di più improbabile, per i bene informati: “Se le cose si complicassero, si andrebbe alle elezioni. Berlusconi non si fa macerare, o sta al governo o sta all'opposizione”. E poi forse è anche Fini che a questo proprio non ci pensa nemmeno. Anzi. “Il presidente della Camera – parole finiane – dice tutto quello che pensa con assoluta libertà ma è un uomo del Pdl. Questo partito è la sua scommessa, e lui non ha alcuna fretta”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.