Analisi

Il fronte di Kipling è fuori controllo

Carlo Panella

Un'inquietante linea di continuità lega l'affermazione dei talebani in Afghanistan a partire dal 1996 e la loro recente marcia trionfale in Pakistan. Inquietante soprattutto da parte degli Stati Uniti che nell'uno come nell'altro caso hanno lasciato che il fenomeno si sviluppasse indisturbato.

    Un'inquietante linea di continuità lega l'affermazione dei talebani in Afghanistan a partire dal 1996 e la loro recente marcia trionfale in Pakistan. Inquietante soprattutto da parte degli Stati Uniti che nell'uno come nell'altro caso hanno lasciato che il fenomeno si sviluppasse indisturbato. Peggio ancora: hanno delegato in toto la gestione delle operazioni politiche e militari al Pakistan, che invece ha favorito la destabilizzazione. E' una delega suicida che lega nell'errore di analisi e di comportamento le Amministrazioni Carter, Reagan, Clinton, Bush e Obama. E' una delega che si concluse in Afghanistan con l'11 settembre e che ora rischia – come ha compreso, troppo tardi, Barack Obama – di consegnare il Pakistan a una fase “cancerosa” terminale.

    Da una trentina d'anni Washington commette una mole d'errori sulla questione “AfPak” che ha come risultato quello di favorire i talebani. Errori che si basano sull'ignoranza dell'enorme spessore storico del movimento islamico nell'area che comprende Afghanistan, Pakistan e India, le cui radici – straordinariamente attuali, quanto ignorate – risalgono al regno Moghul e all'islam fondamentalista che lo caratterizzò dal 1500 al 1800. Per ridurre la questione ai suoi termini primi, bisogna comprendere che per un fondamentalista islamico tutta quell'enorme area è terra musulmana, Dar al islam, ed è un insulto da riparare che su di essa eserciti sovranità uno stato come l'India democratica e a maggioranza indù. Il conflitto del Kashmir è soltanto la punta dell'iceberg di una pulsione jihadista e “irredentista” che non riconosce i confini post coloniali del 1948. Questa logica “irredentista” ha mosso l'operazione terroristica di Mumbai nel novembre dello scorso anno. Questa è la ragione per cui dal 1977 i vertici militari pachistani (formatisi nella guerra civile con il Bangladesh del 1970-'71, combattendo e perdendo contro le truppe indiane) hanno sposato largamente il fondamentalismo, hanno introdotto la sharia nel paese e sono stati la “levatrice” dei talebani, prima in Afghanistan e oggi in Pakistan.

    L'ex presidente Perwez Musharraf è il perfetto prototipo di questa tipologia di generale pachistano: nato a Delhi e fuggito bambino a Islamabad nel 1948, eroe – e macellaio – nel Bangladesh, fa carriera nell'élite militare fondamentalista di Zia ul Haq (autore del golpe del 1977 contro Ali Bhutto) e – diventato capo di stato maggiore – usa i talebani come detonatore per scatenare, nel luglio del 1999, una guerra con l'India che rischia di deflagrare in modo rovinoso. Bloccato in extremis questo suo progetto, il 12 ottobre del 1999 organizza un golpe e rafforza i legami che già aveva coltivato con i talebani afghani negli anni precedenti.

    Dopo l'11 settembre il presidente americano, George W. Bush, si illude che la minaccia di combattere il suo Pakistan quale complice dei terroristi e l'offerta di due miliardi di dollari l'anno (in parte intascati dallo stesso Musharraf, in parte usati per comperare consenso tra i generali) abbiano compiuto il miracolo e che quindi il presidente-generale abbia davvero deciso di cambiare campo. E' un'illusione. Innanzitutto perché la forza del movimento fondamentalista in AfPak non è soltanto nell'irredentismo islamico. I talebani sanno conquistarsi fasce consistenti di consenso dal basso – in paesi sfiancati dalla corruzione – perché segnano una piena continuità con la scuola coranica di Deoband, fondata nel 1865 per contrastare l'opera riformatrice della scuola coranica di Aligarth (che ha formato i musulmani modernisti che oggi sono al governo in India).

    Se si vuole comprendere come sia potuto accadere che a duecento metri di distanza dalla sede dell'Isi (il servizio segreto pachistano) diretto da Ashfaq Perwez Kayani, poi promosso e diventato capo di stato maggiore, abbia potuto funzionare per anni la “moschea rossa” dei talebani, che fu sgomberata nel luglio del 2007 con una battaglia urbana, bisogna usare questo schema interpretativo: uno storico radicamento dell'ideologia shariatica più conservatrice dal basso si interseca con un altrettanto forte sentimento irredentista nei confronti di tutto il subcontinente indiano dei vertici militari. Parte dell'élite militare pachistana unisce la sua vocazione “strategica” nazionale – combattere l'India – a quella della riconquista jihadista del Dar al Islam, per reintrodurvi la sharia. Il tutto in un contesto di corruzione e in presenza di una componente “modernista” (che si riconosce nel clan Bhutto, ampiamente corrotto) estremamente ridotta.
    Caduto Musharraf, per le sue stesse contraddizioni, eliminata l'ex premier Benazir Bhutto da un complotto che vide alleati talebani e parte dell'Isi, il Pakistan è ora sull'orlo del baratro. Ma non desta stupore che i vertici militari continuino a “premiare” i talebani regalando a loro e alla loro sharia aree crescenti del paese. Resta soltanto lo sconcerto di un approccio occidentale – innanzitutto americano – a questo groviglio, dominato da una logica geopolitica inerziale.

    L'appoggio al Pakistan (dotato di bomba atomica) era considerato obbligato dagli Stati Uniti sino al 1989 a fronte di un colosso come l'India, alleata con l'Unione sovietica. Finita la Guerra fredda, iniziata quella al terrorismo, l'allora presidente americano George W. Bush ha ottenuto il clamoroso successo – forse il suo più grande – di stringere una ferrea alleanza con Nuova Delhi, ma i capi della sua diplomazia al Dipartimento di stato, prima Colin Powell e poi Condoleezza Rice allo stesso modo, non hanno abbandonato le linee direttrici di un'astratta geopolitica datata che li portava a considerare il Pakistan atomico (adesso in funzione antiraniana) come alleato obbligato, rifiutando sempre ogni forma di ingerenza o  attuandola troppo tardi – come quando tentarono di imporre a un Musharraf ormai traballante quella alleanza con Benazir Bhutto che avrebbero dovuto imporre sin dal 2001. Soltanto ora gli Stati Uniti comprendono di dovere troncare il nodo gordiano dell'alleanza dell'Isi e dei generali pachistani con i talebani. Ma hanno perso otto anni e probabilmente ora è troppo tardi.