Avanti, borghesi

Lodovico Festa

Nonostante tutto il quadro politico si consoliderà. Lo imporrà il diffuso sentimento di un paese stufo di schermaglie metapolitiche e con un'economia, come nel resto del mondo, in evidenti difficoltà. Gli ultimi nostalgici della Prima repubblica sperano in Umberto Bossi per destabilizzare la situazione. Però la Lega nord al contrario delle varie nomenklature primorepubblicane in circolazione ha una base sociale reale che, soprattutto quando l'elettorato è in espansione, è assai reattiva e finisce per condizionare i vertici.

    Nonostante tutto il quadro politico si consoliderà. Lo imporrà il diffuso sentimento di un paese stufo di schermaglie metapolitiche e con un'economia, come nel resto del mondo, in evidenti difficoltà. Gli ultimi nostalgici della Prima repubblica sperano in Umberto Bossi per destabilizzare la situazione. Però la Lega nord al contrario delle varie nomenklature primorepubblicane in circolazione ha una base sociale reale che, soprattutto quando l'elettorato è in espansione, è assai reattiva e finisce per condizionare i vertici. E in questo senso il “sentimento popolare” prevarrà.

    Un po' di serenità sarà benvenuta, non basterà però a risolvere tutti i problemi. Soprattutto ad affiancare, all'emergenza o comunque alla semplificazione delle soluzioni, un riassetto delle prospettive generali della nazione. Passare da realtà vitali, che si muovono in un sistema affannato, a un paese che nel suo insieme marcia verso lo sviluppo non è così facile. E' evidente la debolezza del ceto politico, un po' improvvisato nel centrodestra, molto sconnesso nel centrosinistra. Da sola la politica non si risanerà, serve una classe dirigente più ampia, oltre ai partiti e alle assemblee elettive. Ho scritto di come la sinistra non potrà guarire dalla sua sconclusionatezza senza che si facciano i conti nella Cgil fra massimalisti e riformisti. Ma problemi ne ha anche il centrodestra. L'Italia ha soprattutto in quella fascia definita di quarto capitalismo una straordinaria ricchezza di imprenditori che si sono inventati incredibili prodotti, mercati, relazioni industriali, modi di finanziarsi e di collegarsi al mondo. Questi imprenditori stentano però a diventare vera classe dirigente.

    Prendete il magnifico lavoro che ha fatto un'associazione di imprese come la Federchimica. Nei giorni scorsi questa federazione ha presentato un film sulla storia dell'industria chimica in Italia. Con esempi e prove concrete ha dimostrato come il comparto produttivo che a lungo è stato sinonimo di inquinamento, cattive condizioni di lavoro, spreco energetico è diventato il settore che negli ultimi vent'anni ha dimezzato le emissioni nelle acque, ha ridotto a un decimo quelle nell'aria, già dal 2005 ha superato di oltre quattro volte l'obiettivo del Protocollo di Kyoto. E, fonte Inail, nel quale oggi è più sicuro lavorare. Dietro a questi risultati c'è un lavoro di partnership con i sindacati, in cui ha avuto la sua parte anche Sergio Cofferati quando era vivacemente riformista, un impegno fatto di enti bilaterali, di complicità tra capitale e lavoro, di strutture flessibili nel gestire le relazioni industriali. Ebbene che peso ha e ha avuto questa esperienza nel dibattito generale? Perché quando la Cgil si mette a fare la massimalista non emerge da questo settore chimico un richiamo di responsabilità? Perché sulla base di questa esperienza non crescono intellettuali, economisti, sociologi che generalizzano le esperienze vissute, perché a discutere dei temi del lavoro su prospettive concretamente riformiste c'è solo una pattuglia non larga, di matrice anticosocialista o cislina, schierata intorno al magnifico Maurizio Sacconi e immersa in un mare di furbetti più o meno vocianti che giochicchiano con il massimalismo Cgil, anche sui fogli confindustriali?

    Intorno all'Expo

    La storia del Novecento è la storia di una borghesia italiana che si ritrae dal ruolo di classe generale, che dopo il '68 finisce per vergognarsi di sé, assai inerte nell'influenza della società sul piano delle idee e dei valori. Prendiamo un caso di cronaca di questi giorni. Intorno all'Expo 2015 è partita una campagna tesa a intimidire il centrodestra in tutti i vari livelli di rappresentanza, con i soliti furbacchioni “de' sinistra” che da una parte “denunciano” e dall'altra si propongono per “coperture”. Succedono cose comiche: Vittorio Gregotti specialista nel fornire “coperture di sinistra” è stato scavalcato da Stefano Boeri, che non come architetto ma come urbanista è sicuramente più bravo, e appena questo è avvenuto il grande progettista dello Zen ha chiesto sulla Repubblica (e poi sulla Stampa) che si rinunciasse all'esposizione internazionale. Altro episodio riguarda Diana Bracco, saggia esponente del quarto capitalismo anche se non dinamica presidente di Assolombarda: contro di lei è iniziato un linciaggio perché approfitterebbe del ruolo di presidente dell'Expo (ruolo sinora esercitato un po' passivamente) per sistemare un'area produttiva di sua proprietà a Rho.

    In realtà questa “realtà produttiva” (del marito) ubicata nel centro di Rho e non in prossimità dell'area del nuovo Polo fieristico è stata chiusa perché fuori mercato e acquisita dalla società immobiliare del gruppo Bracco nel 2005 prima che qualsiasi prospettiva di Expo si affacciasse alla ribalta. Dell'area se ne era proposta una trasformazione da produzione di beni a produzione di servizi già nel 1997 con una osservazione al piano regolatore del comune di Rho. Allora la richiesta venne respinta perché l'attività industriale era asfittica ma ancora in atto. Insomma si tratta di una vecchia partita gestita con le tradizionali procedure, assolutamente estranea per tempi e modi alle vicende dell'Expo. Un'aggressione su questo caso è possibile soltanto in un ambiente in cui gestire attività economiche è già quasi un mezzo reato. Che un certo giornalismo radicale c'inzuppi in queste avvenimenti è, fino a un certo punto, fisiologico. Rilevante è che manchi o non funzioni una autorevole stampa borghese (pur autonoma e indipendente quanto si vuole) per contrastare non solo le critiche di merito ma anche lo spirito che c'è dietro.