“Non l'ho mai amata ma la mia terra è sempre forte e gentile”

Quando vedono il cuore che esce allo scoperto gli abruzzesi si comportano così

Lanfranco Pace

Sono nato a qualche chilometro e a una ventina di curve dall'epicentro e non ho mai amato molto questa terra. La mia cugina Cesira l'ha salvata il marito afferrandola per un polso mentre solaio, pavimento e letto se ne stavano andando allo straddio, issandola sull'unico crostone di cemento rimasto in piedi: sono scesi dall'ammasso di macerie, nudi, inebetiti.

    Sono nato a qualche chilometro e a una ventina di curve dall'epicentro e non ho mai amato molto questa terra. La mia cugina Cesira l'ha salvata il marito afferrandola per un polso mentre solaio, pavimento e letto se ne stavano andando allo straddio, issandola sull'unico crostone di cemento rimasto in piedi: sono scesi dall'ammasso di macerie, nudi, inebetiti. Con Domenico giocavo da ragazzo, una trave gli è caduta addosso, è in coma, la moglie e la figlia le hanno trovate ore dopo, schiacciate, rannicchiate in un ultimo abbraccio, hanno dovuto chiamare qualcuno per il riconoscimento. Un nipote di mia madre si è salvato, perché era fuori città a un convegno di pediatria, la moglie e le due figlie no.

    C'è voluto tempo per fare il giro dei tanti parenti, amici, conoscenti, per molte ore le linee telefoniche sono rimaste interrotte o hanno funzionato a singhiozzo. L'altra mia cugina Patrizia e suo marito Guido, medici al San Salvatore, hanno portato i figli e i vecchi genitori nella casa al mare. Ogni giorno fanno duecento chilometri per andare e tornare dall'ospedale. Le ho chiesto perché quelle crepe, quelle lesioni in un edificio nuovo di zecca, che avrebbe dovuto essere costruito con rigidi criteri antisismici, perché insomma quello che doveva essere un modello di operosità s'è sbriciolato come un biscotto secco. Mi ha risposto, “ma che ne so, poi ti pare questo il momento”. Effettivamente in circostanze simili un balordo come me l'avrei quanto meno preso a male parole. Ma gli abruzzesi si sa, almeno quelli veri, sono forti e gentili. Forse anche per questo, questa terra non l'ho mai amata molto.

    Il nonno invece non si riusciva mai a portarlo via da qui. Per il clima, diceva. Per la gioia del ragazzo che ero, disegnava con le braccia un arco immaginario che partiva da San Demetrio dei Vestini, lambiva la piana di Navelli e riscendeva sotto, fino alla valle dell'Aterno. Non senti che qui l'aria ha un profumo particolare, puoi invecchiare con la misura della dolcezza e la forza della saggezza così camperai fino a cento anni. Già allora non sentivo la buona vecchiaia cosa mia, forse anche per questo non l'ho mai amata molto, questa terra. E poi attorno non vedevo affatto quello che vedeva il nonno. Pietre e verde, solo verde e pietre, colline che sembravano schiantarsi contro i fianchi delle montagne e montagne troncate di netto da altopiani, valli che si stringevano in gole, gole che si scomponevano in grotte.

    Poca terra e amara, contadini poveri che non vedevano come la fatica li avesse curvati per sempre solo perché si sentivano dritti dentro, mi ricordo un campo sperso allo sprofondo che veniva utile perché si poteva coltivare grano, lo chiamavano “m'preta” tra le pietre. Da nessuna parte c'erano tracce della mano che piega la terra alla sua cultura. Una sola volta l'anno avevi la sensazione che comunque la terra qualcosa la dava. Trenta giorni, dalla metà di luglio alla notte di san Lorenzo, dalla mietitura alla trebbia, quando la polvere del grano e della paglia si infilava ovunque e l'aria sapeva di uomo, di donna, di sudore: erano i giorni che amavo da ragazzo e che la festa di san Rocco, il 16 agosto, si portava via, per lasciare il trono alla matrigna pallida, ingenerosa. E crudele. Una sera all'imbrunire, doveva essere il 1956 o il 1957, cominciò a tremare tutto attorno. Lasciammo le case, correndo verso l'aia. Sopra l'Aquila il cielo era rosso fuoco. “E' il cuore che esce allo scoperto” disse il nonno, certo che l'Aquila fosse città sacra con il cuore nascosto nella terra.

    Il nonno se le sentiva molte cose. E' morto tre anni fa, appena compiuti i centouno. La grande casa è ancora in piedi, i vecchi muri in pietra hanno retto gagliardamente l'urto. Anche il cimitero ha tenuto. Una crepa nel muro di cinta, una piccola lesione su una cappella funeraria ma non si sa di chi, però sono tutti sentito dire perché nessuno che io conosca è ancora andato a vedere di persona. E' un cimitero piccolo, con i fiori sempre freschi. Dove i vivi conoscono tutti i morti e ne onorano la memoria con eguale dedizione. Lì ci sono i nonni, mio padre, i miei tanti zii. Lì andrà mia madre. Lì andrò anche io. Non ho mai amato molto questa terra, ma è la mia terra. E forse ci starò bene. Come si dice, forte e gentile.

    • Lanfranco Pace
    • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.