Verso il congresso del Pdl - Anno XV della Sua era

Caro Cav, solo tu puoi fermare i democristiani e cambiare le istituzioni

Lanfranco Pace

Il discorso con cui il 27 marzo Silvio Berlusconi aprirà il congresso di fondazione del Popolo della libertà non sarà di circostanza: come anticipato dal Foglio, questa volta non si è affidato a ghost writer, da settimane scrive di suo pugno e lima e per avere un effetto di maggiore solennità potrebbe addirittura leggere il discorso anziché parlare a braccio.

Leggi Alessandra Mussolini, cuore ex-post-neo-fascista e metodi pannelliani di Marianna Rizzini

    Il discorso con cui il 27 marzo Silvio Berlusconi aprirà il congresso di fondazione del Popolo della libertà non sarà di circostanza: come anticipato dal Foglio, questa volta non si è affidato a ghost writer, da settimane scrive di suo pugno e lima e per avere un effetto di maggiore solennità potrebbe addirittura leggere il discorso anziché parlare a braccio. Sarà dunque il main event di una manifestazione che non può riservare sorprese, né sulla leadership, incontestabile e incontestata, né sulla dimensione di un eventuale dissenso interno, tutt'al più una leggera increspatura, né sulla composizione del gruppo dirigente del partito che appare fin da ora ininfluente. Berlusconi getterà lo sguardo su passato, presente e futuro: il 27 marzo cade anche l'anno XV della Sua Era, tanti ne sono passati da quando il popolo, frastornato dal crollo della Repubblica, gli attribuì la sua prima vittoria e iniziò la lunga marcia dietro il leader.

    Dire che la lunga transizione è incompiuta significa ammettere che in tutti questi anni il paese non è arrivato da nessuna parte e che continua ad andare verso il nulla. Sarà dunque interessante sentire il punto di vista del capocarovaniere, se saprà spiegare le ragioni dell'andamento erratico e dire se, nonostante il cammino a zig-zag, la spinta propulsiva di quel 27 marzo sia ancora viva e le prospettive radiose. In altri termini se verrà mai il giorno in cui toccheremo terra e vedremo un nuovo ordine istituzionale inverare la cosiddetta Seconda Repubblica. L'attuale crisi non è un alibi: perché proprio chi fa economia e impresa vorrebbe che la politica facesse anzitutto ordine in casa propria, sapesse togliere muffe e ragnatele, costruendo poteri e contropoteri finalmente agili, efficienti e trasparenti. Nonostante sia un pragmatico, Berlusconi non ha dismesso le sue ambizioni in materia.

    La denuncia della sclerosi istituzionale è quella che torna con maggiore frequenza nelle sue parole. Quando arrivò per la prima volta a Palazzo Chigi disse che non c'erano indicatori, che il governo era costretto al volo cieco, che era difficile farsi seguire in tempo reale dagli alti gradi dell'amministrazione. Dal 2001 al 2006, nella prima esperienza piena e compiuta di governo, visse – male – la funzione di primus inter pares che la Costituzione riserva al presidente del consiglio, mettendolo in condizione di palese inferiorità rispetto a capi di stato e di governo degli altri paesi. Con altrettanto disagio visse la condizione di capo di una coalizione privo di strumenti utili a tenere al passo alleati così riottosi e rissosi. E' a disagio anche oggi malgrado abbia concentrato nelle sue mani un potere senza precedenti.

    Lo confermano le recenti sortite da ussaro a favore del presidenzialismo e per far votare in parlamento solo i capi gruppo. E che gli hanno valso l'accusa di insofferenza nei confronti delle procedure democratiche e la promozione sul campo da vetero-peronista a neo-putiniano. Non s'è trovato nemmeno un cane fedele per ricordare all'universo mondo che un parlamento come il nostro non sta né in cielo né in terra, che le sue procedure e i suoi regolamenti battono ogni record di inefficienza e farragine, che in nessun'altro paese il ruolo del singolo parlamentare è mortificato come in Italia. Il bisogno che l'attività di governo e quella legislativa possano svolgersi con tempi rapidi di azione e di reazione, esiste eccome e la crisi in corso non fa che renderlo ancora più acuto.

    Berlusconi è il solo a essere ancora convinto di questo. Anche nella maggioranza, appena possono, Fini e Bossi, lo bacchettano e si smarcano, tenendo di mira traguardi personali. La sinistra ha cambiato spirito, dai giorni della commissione bicamerale voluta da Massimo D'Alema e da lui presieduta. Quasi nessuno oggi la rimpiange, molti senza alcuna decenza l'hanno messa in croce, per sospetto di intesa con il nemico: eppure fece proposte valide in larga parte ancora oggi. Di riforme si parlò anche tra Berlusconi e Veltroni a ridosso della campagna elettorale del 2008, ma in modo effimero e con tono molto démi monde. Oggi lo spiritello del dialogo è azzoppato. La cultura politica si è impoverita, quel poco coraggio è rifluito in facili e piccoli egoismi. Dario Franceschini eletto segretario del Pd crede di fare una ganzata giurando fedeltà alla Costituzione.

    La sinistra si trincera dietro l'idea ottocentesca del parlamento come mera rappresentanza. Tocca dunque a Berlusconi ribadire, se ancora ne ha, la volontà di cambiare le istituzioni e la forza per farlo. Dopo quindici anni trascorsi, così “sanza meta”, tre sembrano un lampo. Ma possono bastare. A condizione di stanare tutti coloro, vicini e lontani, che hanno acceso gli ultimi fuochi e ballano, aspettando che il capo carovaniere si tolga dai piedi. E finalmente si possa tornare all'età dell'oro, quella in cui anche i governi si facevano e disfacevano in parlamento. E' il sogno dei proporzionalisti di ieri, dei bipolaristi ipocriti di oggi, dei democristiani di sempre, siano essi di destra di centro o di sinistra: tornare al punto di partenza, richiudendo la parentesi dell'era berlusconiana e della transizione impossibile.

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    • Lanfranco Pace
    • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.