Gentile ministro Gelmini, per favore, tolga subito Giorgio Gaber dalle scuole

Daniele Bellasio

Vorrei anche chiederle un favore: fuori Gaber dalle scuole, e il prima possibile. Capisco le sue buone intenzioni. Comprendo la voglia di svecchiare il libro Cuore, ma un libretto didattico sul teatro canzone e dintorni mi rattrista un po'. Ammiro la collaborazione con la fondazione G. So che criticare è facile e che “se la si pensa così allora non si farà mai nulla di nuovo”.

    Gentile ministro Mariastella Gelmini, intanto la ringrazio, perché riparlare di Giorgio Gaber, il grande, è sempre un piacere, anche se un po' malinconico, un vero piacere della mente, ma pure un po' dell'ego: ci fa sentire tutti sani, tutti belli, tutti intelligenti. Lo dico sinceramente: grazie. Però vorrei anche chiederle un favore: fuori Gaber dalle scuole, e il prima possibile. Capisco le sue buone intenzioni. Comprendo la voglia di svecchiare il libro Cuore, ma un libretto didattico sul teatro canzone e dintorni mi rattrista un po'. Ammiro la collaborazione con la fondazione G. So che criticare è facile e che “se la si pensa così allora non si farà mai nulla di nuovo”.

    Credo che osare sia meritorio. Ma non mi piace vederlo lì, come un Vincenzo Cardarelli qualunque, a cantare che la libertà non è un moscone ma magari un gabbiano. Detesto immaginare qualcuno che possa fuggire a casa a leggere Marcuse per svagarsi un po', aprendosi la mente, dopo un'ora di gaberismo. Inorridisco all'idea che un diciottenne di oggi possa anche solo metaforicamente trovarsi di fronte alla richiesta: “Il candidato spieghi la relazione tra Gildo e il Dilemma nell'opera del grande milanese”. Non mi piace pensare che agli studenti delle superiori di oggi non possa capitare di fare un viaggio in macchina con tuo padre che continua a canticchiare “vengo a prenderti stasera…” e poi ti butta lì: “Senti un po' se ti piace il signor G., guarda che non è solo per ridere”. Mi spiace non poter condividere più con i ragazzi il racconto di mia madre che mi spiega: “Sai, lo devi vedere, il volto delle smorfie è il sottotesto delle canzoni”.

    C'è qualcosa da “libertà obbligatoria” nel placet del provveditorato sulle opere e il pensiero del borghese che sapeva prendere in giro i borghesi di tutte le taglie, dunque innanzitutto se stesso. Mettendo il naso lassù e la bocca aperta, spalancata, come in un colossale “ah, beh”. Non c'è da prendersela neanche con la scelta dei testi, che non è ovviamente ministeriale: un po' di antiamericanismo, di antimercatismo, di passatismo, di si stava meglio quando si stava peggio, di sani principi e bei valori ormai non si nega a nessuno, e poi “è più bella anche la scuola quando ci sono le elezioni” ed è “proprio vero che fa bene un po' di partecipazione”.

    Non c'è da stupirsi del fatto che ora siano tutti gaberiani, del resto “leggendo i giornali con un minimo di ironia li dovremmo sfogliare come romanzi di fantasia che poi il giorno dopo o anche il giorno stesso vanno molto bene per accendere il fuoco o per andare al cesso”. Ma è proprio l'idea. Avevamo due o tre cose senza marca da bollo in questo paese. E ora? Gaber e Champagne d'origine controllata stasera beviam? No, dai. “Lasciatemi col gusto dell'assenza, lasciatemi da solo con la mia esistenza, che se mi raccontate la mia vita di ogni giorno, finisce che non credo neanche a ciò che ho intorno”.

    Non sente il rischio, gentile ministro, di normalizzare Gaber, invece di diffonderlo, di farlo conoscere, di farlo amare? Non le pare, Gaber, uno degli artisti più nazionali e più patriottici proprio perché non adatto ai sussidiari o ai decreti delegati? Non l'è venuto il dubbio che lo stesso Gaber si sarebbe quanto meno giustificato per non essere interrogato nell'ora di gaberismo o avrebbe bigiato per andare a farsi un liberatorio shampoo. Non ho certezze, non voglio nemmeno davvero avere un'opinione, non voglio sembrare più gaberiano di Gaber. Ma coltivo il dubbio che il Signor G. sarebbe scoppiato in una dolce risata al sentire quelle due parole: “Progetto Gaber”. Non crede?