Fornero risponde a Possenti

Esistenza e inaggirabilità dei paradigmi bioetici

Giovanni Fornero

Si racconta che il capo di una tribù primitiva, alla domanda se preferisse il sole o la luna, rispose di preferire la luna, poiché essa brilla nella notte, mentre il sole si ostina stoltamente a risplendere quando intorno c'è già tanta luce. Anche Vittorio Possenti, come attesta il suo ultimo intervento sul Foglio, continua a preferire, a suo modo, la luna, cioè il chiaroscuro rispetto alla chiarezza.

    Si racconta che il capo di una tribù primitiva, alla domanda se preferisse il sole o la luna, rispose di preferire la luna, poiché essa brilla nella notte, mentre il sole si ostina stoltamente a risplendere quando intorno c'è già tanta luce. Anche Vittorio Possenti, come attesta il suo ultimo intervento sul Foglio, continua a preferire, a suo modo, la luna, cioè il chiaroscuro rispetto alla chiarezza.

    Ma procediamo con ordine. Il 14 dicembre 2008 il noto filosofo (e pubblicista dell'Avvenire) mandava al Foglio un articolo in cui, dichiarando razionalmente infondata la tesi della assoluta indisponibilità della vita, propendeva per una concezione della vita come "bene dato in impiego responsabile al soggetto". L'articolo era accompagnato da un commento di Giuliano Ferrara, che parlava, a proposito di questa tesi, di una "svolta radicale" rispetto alla dottrina cattolica consolidata. Nei giorni successivi nasceva un interessante dibattito, cui partecipavano alcuni noti studiosi cattolici, per lo più critici nei confronti di Possenti (con talune eccezioni: ad esempio quelle di Enrico Berti e Roberto Mordacci).
    A un certo punto, nel dibattito si inseriva anche uno studioso laico come il sottoscritto, il quale, in un primo articolo del 23 dicembre 2008, si limitava a constatare, a titolo di “osservatore esterno” e di "analista di paradigmi bioetici", come il discorso di Possenti non concordasse, filosoficamente parlando, con quello dei testi ufficiali, anzi ne rappresentasse un "potenziale elemento destabilizzante".

    Il 27 dicembre, in un articolo di risposta ai critici, pur ribadendo la dottrina della "disponibilità a certe condizioni della propria vita", Possenti negava in modo categorico l'esistenza di una "svolta", imputando a Ferrara la responsabilità di aver indirizzato il dibattito "lungo una strada deviata". Anzi, smentendo l'immagine di "progressista bioetico", che alcuni ambienti culturali e politici – compreso Luigi Manconi – gli avevano frettolosamente (e incautamente) attribuito, si sforzava di mostrare la sua completa consonanza di vedute con il Magistero (anche a proposito della sospensione dei sostegni vitali). Colpito dai "funambolismi" del filosofo, il 17 gennaio 2009, nell'ambito di un'analisi storico-filosofica di ampio respiro, stigmatizzavo "la natura strutturalmente ambigua e bifronte della sua posizione, oscillante fra la ricerca del nuovo e la conservazione del vecchio". Il 30 gennaio Possenti rispondeva alle mie osservazioni critiche. Il fulcro del suo argomentare consisteva, ancora una volta, nella contestazione della teoria dei paradigmi e nella tesi della loro "limitata utilità".
    Di fronte a questa (ripetuta) affermazione comincio ad avere il sospetto che il mio interlocutore, a proposito dei paradigmi, non abbia idee del tutto chiare. Infatti, se le avesse, non continuerebbe a rapportarsi ad essi come ad una sorta di "optional" da valutarsi in termini di “utilità”. Questi perduranti equivoci mi costringono a fornire qualche ulteriore delucidazione sulla (strategica) nozione di "paradigma".

    Pur essendo stata adoperata da Kuhn per descrivere la storia della scienza, l'idea di paradigma possiede ormai una autonoma valenza concettuale, che va al di là della sua accezione strettamente epistemologica. Tant'è che oggigiorno si parla non solo di paradigmi scientifici, ma anche di paradigmi metafisici, etici, teologici ecc. In quest'accezione "generalizzata", per paradigmi s'intendono i modi complessivi (cioè gli occhiali o le lenti) attraverso cui vediamo la realtà. Modi che coincidono con le griglie concettuali di base tramite cui interpretiamo il mondo. Più in dettaglio, i paradigmi sono degli insiemi strutturati di credenze che esistono sotto forma di costellazioni mentali ruotanti intorno a determinate idee-guida. Idee che funzionano non solo da (inevitabili) apriori epistemici o backgrund ermeneutici dei nostri discorsi generali intorno alla vita e alla morte, ma anche da schemi di percezione (o di "lettura") dei casi concreti.

    Questo spiega perché, di fronte a uno "stesso" caso, i seguaci di paradigmi diversi tendano a reagire in modo "differente". Ciò è sempre successo. Ad esempio, Aristotele e Galileo, di fronte a pietre oscillanti discorrevano, rispettivamente, di "caduta vincolata" e di "pendolo". Lo stesso accade oggi in bioetica in cui, di fronte alla morte di Eluana, i fautori della indisponibilità e sacralità della vita parlano di "uccisione" mentre i fautori della disponibilità e qualità della vita parlano di "liberazione".
    Chiarito ciò, risulta evidente che la domanda “pertinente” intorno ai paradigmi non è se siano "utili”, ma se, in bioetica, "esistano" e "quali" siano. Che (anche) in bioetica esistano dei "paradigmi" – nel senso filosofico precisato – è, a mio avviso, qualcosa di certo e documentabile, che neppure Possenti, nonostante la comprensibile antipatia per essi (e per il concetto di “coerenza paradigmatica”) può mettere in dubbio. Del resto, non è forse lui ad aver scritto, a pag. 99 di “Il principio-persona”, che nell'affrontare i problemi bioetici “ci portiamo dietro non solo tutta la nostra etica […] ma tutta la nostra filosofia e la visione del mondo cui aderiamo?".

    Ovviamente – la precisazione è importante – il fatto che non si possa pensare se non "all'interno" di determinati paradigmi (e di determinati coefficienti di "coerenza paradigmatica") non implica che non si possa "cambiare" paradigma. Infatti, uno studioso, di fronte a determinate difficoltà (o "anomalie"), può non riconoscersi più in un determinato paradigma e andare alla ricerca di un "nuovo" paradigma. La scienza offre, a questo proposito, esempi illuminanti. Appurato che i paradigmi bioetici "esistono", si tratta di individuare “quali” siano, ossia di mettere in luce i grandi insiemi teorici che stanno "a monte" del dibattito bioetico e che spiegano le sue contrapposizioni interne. La mia risposta, coincidente con quella di altri studiosi, è che oggi si fronteggiano due grandi paradigmi bioetici. Il primo ruota intorno all'idea-guida della indisponibilità della vita; il secondo intorno all'idea-guida della "disponibilità" della vita. Il primo è difeso in prevalenza (ma non esclusivamente) dai cattolici. Il secondo è difeso in prevalenza (ma non esclusivamente) dai laici.

    Possenti continua a contestarmi questa prospettiva "dicotomica", ritenendola "schematica" e "astratta". Evidentemente, qui il noto filosofo ha una singolare amnesia, che lo porta a contraddirsi in modo vistoso. Infatti, nell'articolo del 14 dicembre egli aveva testualmente affermato: "In Italia vi sono culture che sostengono che la propria vita è sotto certe condizioni disponibile per il soggetto, ed altre che viceversa ritengono che la propria vita sia un bene del tutto indisponibile e che addirittura la nostra Carta costituzionale abbia stabilito una volta per tutte tale indisponibilità […]. La prima tesi è in genere diffusa tra la cultura laica e liberale, l'altra sembra oggi prevalente nella cultura cattolica e cerca ultimamente di imporsi come indiscutibile attraverso una martellante ripetitività".

    Questo significa che lo schema dicotomico non è un'invenzione del sottoscritto, ma qualcosa che fotografa in modo veritiero la realtà. Tant'è che anche chi lo contesta (come Possenti e altri) non può esimersi dal farne uso. Ammessa l'esistenza dei due (basilari) paradigmi della indisponibilità/disponibilità della vita è lecito chiedersi entro "quale" paradigma si inscriva la posizione di Possenti. Dall'articolo citato, in cui il filosofo – testi alla mano – dice qualcosa di più (e di ben più impegnativo) di quanto aveva sostenuto in "Il principio- persona", risulta chiaro come egli non si riconosca (pienamente) né nell'uno né nell'altro paradigma. Infatti, se da un lato contesta il principio assoluto della indisponibilità della vita, dall'altro non appare propenso ad accettare in toto il paradigma della disponibilità della vita. Sembra quindi che il filosofo intenda percorrere una strada "sui generis", cioè una via che non coincide, a rigore, con le due precedenti.

    Tuttavia il Possenti del 30 gennaio 2009 nega decisamente ciò, affermando che "di diritto" (poiché di fatto la realtà è diversa) non esiste né una seconda né una terza via, ma solo una "prima" via, ossia quella che fa capo ad un personalismo ontologico che si ispira ad Aristotele e a Tommaso. Prendiamo atto di questa puntualizzazione, che ha una valenza teoretica e non storiografica (come non avrebbe valenze storiografiche la tesi di uno studioso di dottrine politiche il quale dicesse che, di diritto, esiste “solo” la destra o “solo” la sinistra). Ma la "prima" via – gli chiediamo – non comporta forse, come affermano tutti i documenti magisteriali e come sostengono i più autorevoli bioeticisti cattolici (da Sgreccia a D'Agostino a Pessina) il principio della assoluta indisponibilità della vita? Principio che è stato recentemente ribadito sia da Benedetto XVI,sia dal cardinal Bagnasco,sia dal cardinal Ruini, il quale, nel corso di una intervista al Corriere della Sera,ha dichiarato: "la Chiesa non può consentire […] che si rivendichi nello stesso tempo l'appartenenza al cattolicesimo e l'autonomia nel decidere sulla propria vita". Ne segue che – almeno per quanto riguarda queste supreme e delicate materie – la (prima) via di Possenti, essendo fondata sul principio della disponibilità della propria vita, non coincide, a rigore, con la (prima) via del cattolicesimo "ufficiale", bensì con "qualcos'altro", ossia con il tentativo di procedere oltre il paradigma tradizionale della indisponibilità della vita, senza pervenire, con questo, alla completa accettazione del paradigma della disponibilità della vita. Da ciò il carattere oggettivamente "intermedio" della sua posizione.

    Le "terze vie" non sono necessariamente fittizie (Possenti direbbe "fasulle"). Anzi, in parecchi casi, si sono dimostrate storicamente feconde e vincenti. In questo caso, però, il problema è un altro ed è quello di sapere se in bioetica possa logicamente esistere una terza via fra indisponibilità e disponibilità della vita. A questo proposito ho dei seri dubbi. Infatti, come ho puntualizzato nell'intervento del 17 gennaio, la vita o è indisponibile o è disponibile. Tertium non datur. La controprova è che anche Possenti evita di cimentarsi con la mostruosità logica di una "indisponibilità disponibile" (o di una "disponibilità indisponibile") della vita. Tant'è che, dopo aver criticato il principio della indisponibilità assoluta della vita, non esita a far proprio il principio della "disponibilità", a certe condizioni, della (propria) vita. Ma scartare il criterio della indisponibilità assoluta della vita e assumere l'ottica della disponibilità della vita significa compiere, per usare la terminologia di Kuhn, un vero e proprio "riorientamento gestaltico", ossia una "svolta paradigmatica".
    "Svolta" che invece è negata dal suo autore. Il carattere equivoco della posizione di Possenti risiede proprio in questo, ossia nel compiere, di fatto, la svolta, ma nel negare, di diritto, di averla compiuta e quindi nel conseguente rifiuto di trarre tutte le implicazioni logiche del principio della "disponibilità" della vita.

    Da questo punto di vista, l'operazione del filosofo assomiglia a chi, dopo aver buttato un sasso nello stagno, ritira subito la mano, oppure al comportamento di quei politici che, dopo aver detto una certa cosa, il giorno dopo dichiarano di non averla detta o di averla detta in un senso diverso da com'è stata interpretata.
    La controprova è che Possenti – alla faccia delle sopraccitate affermazioni - continua a ripetere di essere stato "frainteso", sia dagli studiosi cattolici intervenuti al dibattito, sia dall'ateo devoto Ferrara, sia dal laico Fornero (colpevoli, tutti quanti,di aver “stravolto” il suo pensiero e di averlo reso inviso a cattolici e laici).
    Allo scopo di legittimare il suo "teorema difensivo", Possenti, in polemica con il sottoscritto, sostiene che la teoria dei paradigmi "calcando la mano sulla vita e non sulla persona" è destinata a condurre "fuori strada". A parte il fatto che l'appunto dovrebbe rivolgerlo ai testi magisteriali (sono loro che parlano di "sacralità della vita") gli faccio notare che, anche ammesso – ma non concesso – che si dovesse parlare (solo più) di "persona" anziché di "vita", rimarrebbe l'interrogativo: la persona è una realtà indisponibile (a se stessa), o una realtà disponibile (a se stessa)? E ciò a conferma del fatto che i paradigmi bioetici non solo"esistono" ma sono, per esprimerci alla maniera dei filosofi tedeschi, "inaggirabili" (unhintergehbar).

    Un altro "pezzo forte" della replica di Possenti è che nell'intervento del 17 gennaio avrei usato vocaboli come "riformatore", "conservatore", "vecchio", "nuovo" ecc., ossia termini di matrice "ideologica", che possono avere un senso in politica, ma non in filosofia e in bioetica. In realtà questi termini, come attesta il pensiero contemporaneo, oltre che possedere un significato ideologico e politico, hanno anche un significato epistemologico e storico-filosofico, poiché servono a descrivere la struttura delle rivoluzioni scientifiche e, più in generale, la dinamica dei paradigmi. Chiaramente – anche questa precisazione è utile – in questi casi la contrapposizione “paradigmatica” vecchio-nuovo non ha un significato valutativo, bensì descrittivo, poiché allude, indipendentemente da ogni soggettivo giudizio in merito, all'oggettivo contrasto fra una "via antica" e una "via nuova". Ciò accade soprattutto in bioetica, dove uno studioso di paradigmi può legittimamente discorrere di "vecchio" e di "nuovo", di "conservazione" e di "rivoluzione", senza dover per forza attribuire a tali termini una portata ideologica e valutativa (quella per cui il nuovo è sempre “migliore”), anzi lasciando al lettore la responsabilità di decidere se il "vecchio", rispetto al nuovo, sia "migliore" o "peggiore".

    Possenti contesta anche l'aggettivo "allineato", sostenendo che esso "può valere nello stalinismo, non nella chiesa". Dubito che ciò sia vero, soprattutto in rapporto alla chiesa cattolica odierna. In ogni caso, parlando di studioso allineato (tra virgolette) ho dato, a questo termine, il significato letterale e descrittivo di "studioso in linea (o non in linea) con i documenti ufficiali". Che è poi il significato presupposto anche da Mordacci, quando scrive, su Il Foglio del 21 dicembre 2008, che "nei casi problematici (il caso Englaro e la RU486) Possenti è allineato alla tesi giudicata ortodossa". Significato che, in questa accezione, ritengo legittima (e documentabile). Tuttavia, più che in queste (fragili) critiche, il vero "asso nella manica" di Possenti - visibilmente risentito contro chi ha messo in luce le ambiguità concettuali del suo modello teorico - consiste nel (poco filosofico) tentativo di "screditare" l'interlocutore, mettendo in campo considerazioni che si dirigono, anziché contro le sue idee, contro la sua persona di studioso.

    Alla fine dell'articolo egli mi accusa infatti di essere una sorta di esteta della bioetica, cioè uno studioso che si "rintana" nei paradigmi "evitando accuratamente di partecipare al dibattito bioetico concreto". Considero questo rilievo fuorviante e scorretto, sia dal punto di vista contenutistico che metodologico. Per quanto concerne il primo aspetto, ricordo al mio interlocutore che il sottoscritto non è né un "bioeticista" in senso stretto né, come Possenti, un membro del Comitato nazionale di bioetica, cioè figure alle quali sono richiesti pareri intorno alle singole questioni biomorali, ma uno studioso che ha lavorato sinora (domani potrebbe essere diverso) come uno storico-filosofo impegnato a fornire un quadro imparziale e documentato dei vari paradigmi bioetici. Del resto, è proprio perché ho evitato "accuratamente" una prospettiva di parte, sforzandomi di “dare a ciascuno il suo”, che "Bioetica cattolica e bioetica laica" è stato accolto con favore – fatto insolito nel nostro ideologizzato Paese – sia da parte cattolica sia da parte laica. Ed è anche perché si propongono di "informare" anziché di "indottrinare" (come direbbe Weber) che i miei manuali di storia della filosofia sono di gran lunga i più adottati e (trasversalmente) diffusi nella scuola italiana. Lo stesso Possenti, recensendo "Bioetica cattolica e bioetica laica", ha parlato, su Avvenire, di "giustizia intellettuale nel descrivere le varie posizioni in gioco".

    Ovviamente, il fatto di aver lavorato sinora come storico della filosofia e dei paradigmi bioetici non esclude il possesso, da parte del sottoscritto, di una serie di idee personali sulle varie questioni filosofiche e bioetiche (dall'esistenza di Dio allo statuto dell'embrione). Quali idee? Le idee di un laico che pensa in modo laico e che nella sua indipendenza intellettuale rivendica la propria libertà di aderire a qualsiasi dottrina che reputa vera e fondata. Una libertà, si intende,che implica non solo la possibilità di dissentire da certe posizioni della Chiesa, ma anche da certe posizioni dei laici. E poiché i miei interessi si stanno gradualmente spostando dal piano storiografico a quello teoretico avrò sempre più occasione, a differenza di quanto è accaduto sinora, di interloquire in modo esplicito su temi “specifici”.

    In ogni caso – e qui vengo all'aspetto metodologico – il fatto che il sottoscritto partecipi o no al dibattito concreto è qualcosa che non influisce minimamente né sulla materia del contendere con Possenti (il ruolo dei paradigmi e della coerenza paradigmatica) né sulla validità (o non validità) del mio discorso intorno a questi temi. In altri termini, quello che fa o non fa Fornero, come quello che fa o non fa Possenti (sorvolo programmaticamente sui "pettegolezzi" e le "dietrologie" che hanno accompagnato il suo articolo) non costituiscono "argomenti" del dibattito, cioè qualcosa che possa essere usato a favore (o sfavore) dei partecipanti al dibattito. In nome di una corretta etica discorsiva, oltre che in omaggio alla filosoficità (e serietà) del dibattito stesso, chiedo quindi al mio interlocutore (cosa che per un metafisico dovrebbe essere facile, anzi "normale") di prescindere, in futuro, dai "colpi bassi".

    Inoltre trovo strano (e "sospetto") che Possenti dica che non è "urgente" il bisogno di studiosi di paradigmi bioetici. Poiché la bioetica è ormai diventata un problema "politico", reputo che oggigiorno, tra le molte incombenze, ci sia anche la necessità di studiosi che forniscano un quadro documentato e non fazioso delle varie posizioni in lizza e che illustrino – anziché nascondere o camuffare - i vari "paradigmi" teorici che ne stanno alla base.
    Del resto, come possiamo fidarci di studiosi e politici che pretendono di pronunciarsi con sicumera sulla vita e sulla morte (propria e altrui) senza avere idee chiare sui concetti-guida della bioetica? Non aveva forse ragione Norberto Bobbio, il quale, ben sapendo che – in politica come in tutto il resto – è più facile "schierarsi" che "informarsi" (frase che soleva ripetere agli studenti) raccomandava di "capire prima di discutere"?
    Ecco perché ritengo che in un momento di profonde lacerazioni, attestate in tutta la loro drammaticità dal caso Eluana, una riflessione rigorosa sui temi-chiave della indisponibilità e disponibilità della vita, come quella che ha preso avvio sul Foglio, possa giovare a tutti.