La Porta Pia della bioetica

Giovanni Fornero

Conosco e stimo Vittorio Possenti, che considero uno dei più impegnati filosofi (e metafisici) cattolici odierni. Di conseguenza, ritengo che il suo articolo meriti di essere valutato in modo attento e pacato.

    Conosco e stimo Vittorio Possenti, che considero uno dei più impegnati filosofi (e metafisici) cattolici odierni. Di conseguenza, ritengo che il suo articolo meriti di essere valutato in modo attento e pacato. Come sostengo nei miei lavori, uno dei modi più efficaci di mettere storiograficamente a fuoco la realtà del dibattito bioetico odierno e delle sue polemiche interne è quello di distinguere, nel suo ambito, fra due atteggiamenti mentali di fondo. Uno facente capo alla teoria della indisponibilità della vita, l'altro alla teoria della disponibilità della vita. Questi due atteggiamenti si configurano come veri e propri paradigmi, ossia come maniere complessive di vedere e di concettualizzare la realtà. Maniere in grado di fungere da princìpi ispiratori o punti di riferimento di base per la comprensione e la soluzione delle specifiche questioni biomorali affrontate.

    Il paradigma della indisponibilità della vita afferma che la vita umana, dal punto di vista bioetico, non è disponibile a piacimento dall'uomo, il quale, come non ne è l'autore, così non ne è il “proprietario” (tanto più che l'uomo non possiede la vita, ma è la vita). Il paradigma della disponibilità della vita sostiene invece che la vita è disponibile, in libertà, dall'uomo, il quale può quindi esserne ritenuto l'unico legittimo  soggetto (e “giudice”).
    Il paradigma della indisponibilità della vita trova la sua incarnazione emblematica (e più influente) nella bioetica cattolica ufficiale e nella sua dottrina della “sacralità” della vita. Il paradigma della disponibilità della vita trova la sua incarnazione emblematica (e più influente) nella bioetica laica e nella sua teoria della “qualità”  e “dignità” della vita. Tant'è che l'opposizione fra la bioetica cattolica (ufficiale) e la bioetica laica (in senso forte) costituisce uno degli aspetti vistosi del nostro tempo, di cui danno quotidiana notizia i media.

    Tuttavia è risaputo che nel variegato mondo cattolico esistono anche studiosi che faticano a riconoscersi nelle posizioni ufficiali. Ad esempio, in una recente intervista al Corriere della Sera, Vito Mancuso, alla domanda di Luigi Accattoli se la vita sia un valore indisponibile, ha risposto: “Concordo sull'indisponibilità della vita, ma reputo che vada rispettata la libertà di chi rifiuta per sé un trattamento che lo mantiene in una condizione di vita che egli reputa non-vita. La vita si dice in tanti modi. Il principio primo non è quello della vita fisica da protrarre il più a lungo ma è quello della dignità della vita e questa si compie nella libertà personale”. Come si vede, il noto teologo, se da un lato si dichiara d'accordo con il principio della sacralità e indisponibilità della vita, dall'altro fa un tipo di discorso che, per certi versi, si avvicina alla teoria laica della qualità e disponibilità della vita. Da ciò la peculiarità della sua posizione che, conformemente ai canoni di ciò che il Foglio ha efficacemente descritto come “la zona grigia della bioetica cattolica”, non consiste in un cambiamento rivoluzionario di paradigma, ma nel tentativo compromissorio di conciliare due tesi che sembrano logicamente antitetiche. Tant'è che Benedetto XVI, in un importante discorso del 5 febbraio 2006, ha significativamente parlato –  a proposito della indisponibilità e disponibilità della vita – di due “mentalità” che “si oppongono in maniera inconciliabile”.

    Possenti, andando oltre la posizione di Mancuso (ma anche oltre la posizione ufficiale  del Magistero e della CEI) ritiene invece che continuare a sostenere, con “martellante ripetitività”, che la vita è totalmente indisponibile blocchi, per quanto concerne i problemi di fine vita, una saggia ricerca di soluzioni. Per cui, reputando “razionalmente” infondato il criterio di “fede” della assoluta indisponibilità della vita, il filosofo, con una inconsueta scissione metodologica tra ragione e fede – che gli è stata contestata da molti, in particolare da Sergio Belardinelli – arriva  a proporre la tesi della vita come “bene dato in impiego responsabile al soggetto”.

    Sul piano strettamente concettuale e filosofico questa tesi non è né nuova né originale. Tant'è vero che essa, sia pure in forme ben più radicali di quanto avviene in Possenti, circola non solo in certe zone della cultura protestante – più propensa, come succede in particolare nei valdesi, a difendere il principio della autonomia decisionale del soggetto – ma anche in certe zone della cultura cattolica. Si pensi ad esempio ad Hans Küng, il quale, prendendo le distanze dall'immagine tradizionale di Dio come padrone della vita e della morte e in polemica diretta con “l'attuale pontefice” (allora Giovanni Paolo II) scrive che “la vita è per volontà di Dio anche compito dell'uomo e perciò è rimessa alla nostra propria decisione responsabile”.

    Ovviamente, stabilire quale sia, fra tutte queste, la posizione più vera e cristianamente fondata non spetta ad uno studioso di matrice laica come il sottoscritto. Tuttavia, nella mia qualità di storiografo e analista di paradigmi bioetici, constato come il discorso di Possenti, se coerentemente svolto, non rappresenti un semplice “ritocco” marginale al paradigma corrente, ma si configuri come un suo potenziale elemento destabilizzante, che potrebbe avere conseguenze notevoli e imprevedibili anche in relazione ad altri temi-chiave (dalla contraccezione all'aborto) sino a rappresentare una sorta di “Porta Pia” della bioetica cattolica ufficiale e quindi della trama di idee che va dalla Evangelium vitae alla Dignitas personae.

    Certo, Possenti non compie questo passo, anzi cerca programmaticamente di evitarlo, ma qualcun'altro, prendendo spunto dalla caduta di quella sorta di bastione della bioetica cattolica che è la teoria della indisponibilità della vita, potrebbe compierlo, magari pensando di aver ermeneuticamente compreso Possenti meglio di quanto egli stesso abbia fatto. Tutto ciò spiega, a livello di constatazione oggettiva, le reazioni e le preoccupazioni di molti studiosi cattolici, a cominciare da quelli autorevoli registrati dal Foglio. E spiega perché Giuliano Ferrara, intuendo gli elementi di “svolta” del discorso di Possenti, abbia visto, in esso, una sorta di “ritirata” della bioetica cattolica di fronte alle pressioni della bioetica laica. Ritirata che, qualora dovesse continuare, finirebbe per coincidere con l'inizio della fine del paradigma su cui si regge la posizione ufficiale della chiesa in materia di bioetica. Su questo punto, parlando da “osservatori esterni”, penso sia difficile dargli torto.