Il Cav. ha l'itterizia ma i suoi ambasciatori dialogano eccome

Salvatore Merlo

La sola parola, lo ha spiegato lui stesso, gli fa venire “l'itterizia”, eppure il dialogo con il centrosinistra il Cav. lo ha recuperato, affidandosi completamente ai propri legati, gli ambasciatori del Pdl alla corte di Veltroni, e riuscendo così a sfilare dalle mani di Umberto Bossi il dado dell'iniziativa politica.

    La sola parola, lo ha spiegato lui stesso, gli fa venire “l'itterizia”, eppure il dialogo con il centrosinistra il Cav. lo ha recuperato, affidandosi completamente ai propri legati, gli ambasciatori del Pdl alla corte di Veltroni, e riuscendo così a sfilare dalle mani di Umberto Bossi il dado dell'iniziativa politica. L'accordo siglato ieri per l'introduzione dello sbarramento al 4 per cento nell'attuale legge elettorale europea (la riforma arriverà già mercoledì prossimo al voto) è un piccolo successo della sola diplomazia berlusconiana: Gianni Letta, Denis Verdini, Elio Vito e il quadrilatero dei capigruppo di Camera e Senato, i sempre più influenti Maurizio Gasparri, Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello e Italo Bocchino.

    "Se l'astensione del Pd sul federalismo fiscale al Senato è stato frutto della mediazione leghista di Roberto Calderoli, stavolta è il Pdl ad aver trattato, concesso e incassato”, spiegano nel Pdl. E se è vero, come dice Quagliariello al Foglio, che “l'intervento è limitato e non è la grande riforma di sistema che immaginavamo all'inizio” (ovvero sbarramento al 5 per cento e liste bloccate, una legge che avrebbe depotenziato i ricattuzzi della Lega, le velleità di Casini e avrebbe rafforzato Walter Veltroni nella dialettica interna al Pd), è pur sempre vero che da questo accordo discende una più intensa trama di contatti che si estende al dossier Giustizia, al dl intercettazioni – su cui il Pd ha smesso di dare battaglia “pregiudiziale” – e ha nella soluzione trovata per la Vigilanza Rai, con Riccardo Villari defenestrato come richiesto da Veltroni, il riflesso più evidente di una rinnovata forza d'azione che il centrodestra berlusconiano si è imposto dopo aver verificato gli effetti potenzialmente perniciosi dell'iper attivismo leghista.

    Il Cav. lo aveva capito subito – avvertito da Letta e spronato dall'insistenza dei capigruppo – aveva avvertito le prime scosse già dal moto attrattivo di Massimo D'Alema nei confronti di Gianfranco Fini (Asolo e la Bicamerale sul federalismo), lo stesso fenomeno poi replicato da D'Alema con Pier Ferdinando Casini (il seminario gemellato sull'ordinamento giudiziario) e infine dai parlottii tra Calderoli e i democratici veltroniani che al Senato finirono con un'astensione sul federalismo valutata dal capogruppo Anna Finocchiaro come “un'apertura di credito”, sì, ma alla Lega. “Il comportamento che hanno avuto sul federalismo – ha detto Berlusconi questa settimana – è stato dettato anche dalla voglia di sfilare Bossi da me”. Ovvero, spiegano alcuni esegeti, “il Pd si è abilmente inserito nelle meccaniche interne alla coalizione”: giocando sulle tensioni (in gran parte propagandistiche, come la contesa per il Nord) tra Pdl e Lega. Da qui la necessità di recuperare, e rapidamente, lo scettro dell'iniziativa proprio nel momento in cui, dopo le riottosità su intercettazioni, Giustizia, Malpensa e regolamenti parlamentari, le leve della maggioranza sembravano essere un po' sfuggite di mano al Cav.

    Ed è ai propri legati che il Berlusconi allergico al dialogo si è affidato completamente, “informatemi – ha detto a Vito a proposito della legge europea – ma l'iniziativa è solo vostra”. Madre di tutto è stata l'azione di Letta sul plenipotenziario veltroniano Goffredo Bettini per la Rai, ma l'appeasement non sarebbe stato possibile senza un complessivo gioco di squadra che ha coinvolto i capigruppo del Pdl, ai quali si deve la trattativa su Villari e il suo conseguente allontanamento (richiesto e graditissimo da Veltroni). Sciolta l'impasse Rai tutto è diventato più facile. Vito e Verdini (e ancora i capigruppo, specie alla Camera) hanno ascoltato le proposte del Pd sulla legge elettorale, contrattato e rilanciato fino all'ultimo sul 5 per cento – questa la proposta della settimana scorsa di Vito al numero due del Pd Dario Franceschini – o quantomeno una revisione delle circoscrizioni per ridurre le preferenze. Dai canali aperti su europee e Rai è disceso un clima più sereno: La Russa ha confermato la data dello scioglimento di An, la Lega si è acconciata a un compromesso sulle intercettazioni e sulla Giustizia si semplifica – un po' – la più delicata delle mediazioni, quella di Niccolò Ghedini sul centrosinistra.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.