Lotta senza classe

Lodovico Festa

Vi sono ancora preoccupazioni e proteste ma non sono più pensabili e pensate come alternative sistemiche. Così i movimenti di ribellione come l'Onda rifluiscono ordinatamente. Le proteste fuori di testa come gli scioperi della Cgil sono fiacche. “L'Altro” oggi non è più il comunismo o il socialismo, l'“Altro”: è l'Islam fondamentalista.

    Chi ha vissuto gli anni '70 con l'esplosione del prezzo del petrolio, la caduta della produzione industriale, le ribellioni studentesche e le grandi lotte operaie, stenta a comprendere il clima “freddo” che accompagna oggi la stretta economica pur anche questa “globale”. In realtà non contano le similitudini dei periodi quanto il cambio di scenario. La fine della Guerra fredda, la consunzione di un “altro punto di vista” (quello “socialista”) hanno modificato il contesto. Vi sono ancora preoccupazioni e proteste ma non sono più pensabili e pensate come alternative sistemiche. Così i movimenti di ribellione come l'Onda rifluiscono ordinatamente. Le proteste fuori di testa come gli scioperi della Cgil sono fiacche. “L'Altro” oggi non è più il comunismo o il socialismo, l'“Altro”: è l'Islam fondamentalista: ecco perché gli ultimi drogati da antagonismo si mettono in fila a pregare verso la Mecca in piazza del Duomo.

    Questa situazione crea qualche problema: l'innovazione che accompagna costantemente il capitalismo nella ormai plurisecolare storia vive di idee, tensioni, emozioni, non create in laboratori isolati o da sforzi individuali. Però i movimenti collettivi che abbiamo vissuto, e che pure hanno contribuito all'innovazione come le lotte sindacali non si riprodurranno più nelle forme antiche. Una certa asprezza e durata non sono possibili se non esiste una sorta di morale antagonistica che fa superare le difficoltà del presente. Ma in questo senso la storia novecentesca è proprio finita. Qualcuno ritiene che l'inasprirsi della crisi aiuterà la Cgil a riprendere le lotte. E' il contrario della verità. In generale in una fase di crisi i lavoratori non esprimono il massimo di combattività. Si è ben ricordato come le lotte sindacali che infiammarono gli Stati Uniti negli anni Trenta si scatenarono dopo nuovi aumenti della produzione e dell'occupazione.

    Oggi più in generale, poi, sta crescendo tra i lavoratori uno spirito collaborativo con la controparte imprenditoriale che nel medio periodo finirà per smorzare la durezza del confronto anche nelle fasi di ripresa. Gli ambienti della Fiat che volevano usare il classico ricatto verso la politica dell'inasprimento del conflitto, sono in ritirata (con le loro appendici confindustriali). Prevale lo spirito di Marchionne che coinvolge i lavoratori nell'innovazione come a Pomigliano. La Fiom tenta di rilanciare il potere di veto facendo sapere che non è soddisfatta dell'intesa con la Chrysler. Ma appare patetica e isolata persino dalla sua confederazione. E la Fiom è l'unica area ancora veramente antagonistica della Cgil. Il pubblico impiego cigiellino, l'altro baluardo massimalista di Corso d'Italia, dopo il calo dell'inflazione non può più contare su una base sindacale ampia disponibile a scontrarsi con il governo, e cerca di puntare sui precari. Ma anche in questo caso il supporto è inadeguato.

    In generale l'insieme della malmessa piattaforma epifaniana centrata su massicci “aumenti salariali” sta saltando con la deflazione alle porte. E tutte le altre categorie industriali cigielline, dai chimici ai tessili agli edili, sono impegnate più a studiare forme di collaborazione con i propri imprenditori che a pensare a “lotte”. Non per nulla lo stato maggiore cigiellino nel minacciare una manifestazione contro il governo, deve darsi tre mesi di tempo (si parla del 4 aprile) per prepararla. In effetti come predica con intelligenza Bonanni i veri movimenti collettivi che possono sorgere, e che devono aiutare a uscire non solo economicisticamente dalla crisi, sono quelli partecipativi con nuovi enti bilaterali, obiettivi di incentivi e promozione aziendale. Un quadro da definire con la riforma della contrattazione nazionale. Epifani sostiene che non è questo il tempo di riformare la contrattazione ma di premere sul governo per interventi straordinari, cercando accordi anche con la Fiat e la Confindustria che chiede a Tremonti di allentare il rigore. Ma Epifani è un fantasma in attesa di andarsene al Parlamento europeo. Ed è probabile che alla fine firmerà-non firmando come in altre occasioni.

    In realtà è ora di preparare il nuovo scenario con l'accordo sulla contrattazione (con al centro l'azienda) tra sindacati e Confindustria. E' una scelta fondamentale. E' significativo nella “tanto ragionevole” intervista data da Veltroni al Sole 24 ore come il segretario non eviti di intervenire su questo tema (tranne un vago auspicio all'unità sindacale) perché in questo caso dovrebbe assumersi una responsabilità. Cosa che non gli riesce benissimo (e quando ci prova, come sulla legge elettorale, o la cacciata di Iervolino e Bassolino, o Calabrese alla Rai o il testamento biologico, fallisce). Da qui il crudele epitaffio che gli dedica il Manifesto titolando sul suo “triste entusiasmo” per Obama: l'omaggio di un fallito a un vincitore.