Zapatero il mattone te mata

Guido De Franceschi

La Spagna è fragile e deve attendersi un lungo periodo di crisi economica. Questo, in sintesi, è il giudizio che circola sulla stampa internazionale. I motivi della flessione di immagine sono analizzati a Madrid con un certo allarme.

    La Spagna è fragile e deve attendersi un lungo periodo di crisi economica. Questo, in sintesi, è il giudizio che circola sulla stampa internazionale. I motivi della flessione di immagine sono analizzati a Madrid con un certo allarme. Sul quotidiano online Estrella Digital, che ospita spesso opinioni acute e ponderate, Primo Gonzáles si domanda se c'entri qualcosa il fatto che nei mesi scorsi il premier José Luis Rodríguez Zapatero abbia fatto il bullo nei confronti degli altri paesi europei: “Il presidente del governo spagnolo – scrive Estrella Digital – ha sfoggiato senza motivo il nostro stato di salute economica e finanziaria e le nostre aspettative di superare, quanto a pil per abitante, paesi come l'Italia e, a breve, anche Francia e Germania. Queste fantasie, proprie dell'infantilismo economico con cui Zapatero affronta quasi sempre le questioni economiche, non sono piaciute a molti e forse stiamo iniziando a pagarne il fio in forma di presenza permanente sui media internazionali, in cui abbondano i commenti negativi sull'economia spagnola”. E in effetti la trascuratezza con cui il capo del governo di Madrid ha negato a lungo l'arrivo della crisi e il surplus di ottimismo con cui dipingeva con periodica iattanza la solidità del modello economico spagnolo potrebbero ora subire il contraccolpo di un eccesso di severità da parte di chi non condivideva questo entusiasmo. Ma è pur vero che la Spagna si trova in un situazione piuttosto critica.

    All'inizio della settimana, dalle opposte sponde dell'Atlantico sono arrivati un paio di scappellotti. I due più prestigiosi quotidiani economici internazionali, l'americano Wall Street Journal e il britannico Financial Times, hanno bersagliato la Spagna. Il Wsj, in prima pagina, ha rivelato l'esistenza di un'inchiesta sulle perdite del colosso bancario Santander nell'ambito della truffa Madoff, basandosi oltretutto su indiscrezioni filtrate dalla magistratura anticorruzione spagnola non pervenute ai giornali iberici. Il Financial Times invece ha sottolineato le debolezze del sistema finanziario di Madrid, appoggiando in sostanza le preoccupazioni dell'agenzia di rating Standard & Poor's, che lunedì scorso ha lanciato un avvertimento minaccioso: la Spagna è sotto osservazione e potrebbe perdere la tripla A conquistata qualche anno fa, cioè il voto massimo. E per quanto l'affidabilità delle agenzie di rating sia stata messa in discussione dalla loro incapacità di prevedere alcuni clamorosi crack, i titoli di stato spagnoli hanno immediatamente percepito lo scossone assestato da S&P e il differenziale di rendimento rispetto al Bund, il titolo emesso dalla Germania che funge da parametro europeo, ha raggiunto punte negative inedite da una decina di anni a questa parte.

    Il ministro spagnolo dell'Economia (nonché vicepresidente del governo), Pedro Solbes, non ha potuto nascondere la preoccupazione per il warning ricevuto da Standard & Poor's, ma ha cercato di ridimensionarlo, ricordando che esistono anche altri fornitori di pagelle creditizie. Una speranza, quella di Solbes, corroborata martedì dall'agenzia di rating Fitch, che ha confermato la propria valutazione della credibilità spagnola, mantenendo il giudizio AAA. Ciò nonostante, pur in un momento in cui in campo finanziario nessuno si fida di nessuno e i giudizi espressi dai grandi quotidiani economici e dalle agenzie di rating vedono affievolire la loro incisività e la loro autorevolezza, in Spagna l'unico che continua a sorridere fiducioso è Zapatero. Il governo ammette la sua preoccupazione per bocca di Solbes, poi il premier annacqua, sorride, corregge al sereno le parole del suo ministro. Il titolare dell'Economia ammette che nel 2008, dopo tre anni di surplus, il deficit ha sforato il limite del 3 per cento del pil. E che nel 2009 lo svalicamento del 3 per cento è destinato a ripetersi. Anzi, secondo molti analisti, potrebbe issarsi fino al 5-6 per cento. Il governo non ha ancora fornito i dati definitivi per il 2008, ma le ammissioni di Solbes hanno confermato i calcoli secondo cui i conti dell'ultimo quarto del 2008 sono così negativi da aver azzerato la crescita dell'anno. E per il 2009 si prevede recessione, calcolata intorno all'uno per cento.

    Zapatero, pur ammettendo la gravità della situazione e pur revisionando, puntualmente a scoppio ritardato, le sue dichiarazioni di ottimismo, assicura che già nella seconda metà del 2009 si assisterà a una robusta ripresa dell'economia. E per dare un'impressione di moderno dinamismo e di tempestività di reazione il governo ha creato un sito web in cui si spiegano ai cittadini le virtù del cosiddetto “Plan E”, il Piano spagnolo di stimolo all'economia e all'impiego. In homepage c'è un video in cui Zapatero chiede la collaborazione di tutti (lavoratori, sindacati, imprenditori) e si dichiara fiducioso, affermando il suo auspicio che il paese esca rinforzato dalla presente crisi. E promette che “anche in questo periodo continueremo a incrementare le politiche sociali”, affermando così che le folate che spazzano, scompigliandola, l'economia non cancelleranno comunque dalle prime pagine dell'agenda politica le issues più peculiari del “socialismo ciudadano” e dello zapaterismo più genuino. Eppure, nonostante la sicurezza ostentata dal premier e la sua previsione secondo cui la ripresa inizierà già a partire dagli ultimi mesi dell'anno in corso, Zapatero non ha convinto le imprese.

    Un sondaggio pubblicato da El Economista mostra che tre imprenditori su quattro ritengono che la crisi durerà almeno due anni e soltanto il 19,2 per cento considera che le misure prese dal governo (investimenti pubblici, aiuti alle banche perché possano erogare prestiti poco onerosi a lavoratori e imprese, misure per la salvaguardia dei posti di lavoro) siano sufficienti. I dati più preoccupanti riguardano la disoccupazione. Guaio cronico della Spagna, il tasso di disoccupazione si era costantemente ridotto nel corso di molti anni. Ma nel 2008 si è verificato un tracollo. Il numero dei senza lavoro è aumentato del 4,67 per cento in dicembre e del 46,93 prendendo in considerazione l'intero anno appena concluso. Il numero dei disoccupati ha raggiunto quota 3.128.963, un dato che non si verificava dal 1987. Alcuni settori sono stati più colpiti di altri. Specie quello dell'edilizia e del suo indotto, che ha perso nel solo mese di dicembre settantamila posti di lavoro come conseguenza dello scoppio della bolla immobiliare.

    Negli ultimi anni sulla Spagna si erano riversati enormi fiumi di cemento fino al picco del 2006, anno in cui furono costruiti quasi ottocentomila nuovi alloggi. Per il 2009 si prevede invece la cantierizzazione di soltanto 150 mila case, un dato pari a quello del 1960. La crisi dell'edilizia ha trascinato nella disoccupazione anche molti lavoratori stranieri impiegati nel ramo mattone. Limitatamente agli immigrati, la crescita del tasso di disoccupazione è clamorosa: più 93,8 per cento. E così il governo Zapatero rischia di dover fronteggiare l'ingigantimento del problema immigrazione, già affrontato negli anni passati con una muscolarità sorprendente per un governo di sinistra. Senza contare che il contraccolpo ricevuto dai paesi di provenienza degli immigrati (basti un dato: le rimesse dei boliviani che lavorano in Spagna sono pari al 10 per cento del pil di La Paz) rischia di incrementare il già tumultuoso arrivo di clandestini.

    Un lungo reportage dall'Andalusia, pubblicato ieri dal País, racconta del tentativo di migliaia di ex muratori di riconvertirsi in lavoratori agricoli. Gli spagnoli avevano consegnato il settore agricolo alle braccia degli immigrati, ma ora la crisi del settore edilizio ha reso di nuovo appetibile il lavoro nei campi. Eppure si tratta perlopiù di una toppa, non di una soluzione a lungo termine. Ed è impossibile che il settore agricolo, che nel 2007 impiegava il 4,3 per cento dei lavoratori spagnoli possa assorbire l'emorragia di posti di lavoro nell'edilizia che, sempre nel 2007, garantiva un reddito al 13,3 per cento della forza lavoro. E comunque l'agricoltura può fornire soprattutto lavori stagionali.

    Da un lato la paura, dall'altro il forte indebitamento medio delle famiglie spagnole hanno causato un'immediata flessione dei consumi. Il settore dell'auto è stato il primo a patire la poca inclinazione a spendere dei cittadini. Secondo i dati forniti dall'Associazione spagnola fabbricanti di automobili e camion (Anfac), il calo delle vendite di autoveicoli nel 2008 è stato di quasi il 30 per cento con un progressivo peggioramento fino al disastro del mese di dicembre (meno 49,9 per cento). E anche per l'anno in corso si prevede un'ulteriore diminuzione del 10 per cento della vendita di auto. Ma a soffrire il calo dei consumi è il settore commerciale nella sua interezza. La Confederazione spagnola del commercio, che raccoglie circa seicentomila piccole e medie imprese, non nutre speranze a corto raggio. Il suo presidente Miguel Ángel Fraile ritiene che il 2009 sia “un anno di transizione ma non di recupero” perché le iniziative del governo per sostenere il potere d'acquisto degli spagnoli faranno vedere il loro effetto, nella migliore delle ipotesi, fra molti mesi.

    Il governo Zapatero non gode di molta fiducia, ma può contare, come sempre, su un'opposizione ancora più debole. Dal Partito popolare non vengono proposte alternative per uscire dalla crisi. Tutt'al più il Pp si dedica a una critica generica all'inadeguatezza delle misure proposte da Zapatero e spera che la difficile situazione economica gli fornisca gratis un buon risultato nelle prossime elezioni europee e nelle importanti amministrative di marzo in Galizia e nei Paesi Baschi. Delle riforme strutturali invocate già a novembre dall'Economist per “reindirizzare la crescente perdita di competitività della Spagna”, comunque non c'è traccia. D'altronde di una articolata politica economica Zapatero ha sempre tentato di fare a meno. Per i primi cinque anni si è limitato ad amministrare e a lasciar correre, come per inerzia e senza dargli un indirizzo preciso, un tran tran che si è mantenuto, fino a pochi mesi fa, brillante e con tassi di crescita alti. Ma ora gestire una crisi lunga e aspra con lo stesso metodo, cioè un sostanziale disinteresse, potrebbe rivelarsi ben più difficile.

    (Nella foto: Fila a Madrid davanti a un ufficio di collocamento statale - Foto Reuters)