Cosa deve fare la chiesa per combattere davvero Hamas

Giorgio Israel

Nessuna persona sensata può immaginare che risuoni in Piazza San Pietro un invito a imbracciare le armi. Ciò non vuol dire che l'invito del Papa a deporre le armi e al dialogo sia rituale. In sintonia con quanto ha scritto Giuliano Ferrara il 5 gennaio, condividiamo il senso morale di quell'invito.

    Dal Foglio di mercoledì 7 gennaio

    Nessuna persona sensata può immaginare che risuoni in Piazza San Pietro un invito a imbracciare le armi. Ciò non vuol dire che l'invito del Papa a deporre le armi e al dialogo sia rituale. In sintonia con quanto ha scritto Giuliano Ferrara il 5 gennaio, condividiamo il senso morale di quell'invito. Tuttavia, tra il magistero spirituale e la realtà politica vi sono passaggi intermedi complessi che Roberto Formigoni, Mario Mauro e Maurizio Lupi hanno scavalcato affrettatamente sostenendo, nell'appello “Politici con il Papa per la Terrasanta”, che possa darsi un'applicazione politica immediata di quel pronunciamento morale.

    Da giorni Mario Mauro ammoniva che “se Israele non compie un ‘sussulto di saggezza' le conseguenze potrebbero essere nefaste”, intendendo per sussulto di saggezza l'interruzione immediata dell'intervento militare, un cessate il fuoco permanente e la ripresa del processo di pace. Ci scusiamo di sottoporre con qualche puntiglio all'esame della logica questi interventi e l'appello: alla fin fine si sta parlando di qualcosa che deve avere uno sbocco concreto, ovvero la fine di morti e violenze. Fuori dalla concretezza saremmo a una forma di elusione che starebbe al senso morale come il diavolo all'acquasanta.

    Troviamo apprezzabile in questi interventi la denuncia chiara delle responsabilità di Hamas nell'aver causato questa crisi, della sua natura di movimento che ha come scopo primario la distruzione dello stato di Israele e che tiene in ostaggio la popolazione palestinese rendendo la vita impossibile a quella israeliana. Bene. E allora che fare? Si esclude che abbia senso e utilità qualsiasi tentativo di indurre Hamas alla responsabilità e al dialogo. Viceversa si ammonisce Israele a evitare l'errore di concludere dalla efferatezza di Hamas che l'unico modo di ottenere sicurezza e convivenza pacifica sia il ricorso alla forza. Tocca a Israele cessare il fuoco allo scopo di riattivare il processo di pace. Con chi? Su questo l'appello non dice nulla, mentre Mauro parla dell'Anp e di Abu Mazen, e si riferisce alle risoluzioni Onu e alle vie indicate dalla presidenza francese dell'Unione europea.

    A parte il fatto che le risoluzioni Onu e le indicazioni europee equivalgono al vuoto pneumatico, non sarebbe male ricordare che proprio il ritiro da Gaza fu pensato come il primo passo di un processo che doveva condurre alla concreta fondazione di uno stato palestinese. Solo che in questo processo si inserì Hamas, che prese il potere con la forza a Gaza e sostituì a quell'obiettivo il proprio: la guerra santa per la liberazione dell'intera Palestina dall'“entità sionista”. Fu la lungimirante comunità internazionale a consentire a Hamas di partecipare alle elezioni. Il suo successo elettorale viene ancora addotto da certi analfabeti della democrazia per dire che il potere di Hamas è legittimo, non rendendosi conto che l'ammettere al voto chi ha un programma eversivo rappresenta già di per sé la morte della democrazia.
    Insomma, o perché Hamas è legittimato o perché è troppo malvagio, di lui non ci si occupa, ma si invita Israele a ripercorrere “responsabilmente” e con le mani legate dietro la schiena uno scenario già avvenuto, per finire col farsi di nuovo trafiggere di missili nel silenzio dei tanti che oggi invece trovano il fiato per ammonire col dito alzato.

    Ci permettiamo di consigliare rispettosamente agli estensori dell'appello di riscriverlo, lasciando da parte le prediche a Israele, e fissando come unico obiettivo quello che non si è mai perseguito davvero (e che lo stesso presidente Sarkozy ha ammesso ieri essere l'unico nodo da affrontare): esercitare ogni pressione su Hamas affinché accetti le regole della convivenza internazionale. Se ciò avesse successo, allora sì che la politica si sarebbe mostrata capace di tradurre il magistero spirituale in un argomento moralmente valido e concretamente capace di indurre Israele a cessare il suo intervento.

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