Così il Nyt denuncia la pericolosa “privacy” dell'aborto chimico

Giulia Pompili

Per acquistare una confezione di misoprostol (nome commerciale Cytotec) è sufficiente digitare la parola su Google e avere a disposizione 67 dollari sulla carta di credito. Il gioco è fatto, e in omaggio ci sono anche quattro pillole di Viagra.

    Per acquistare una confezione di misoprostol (nome commerciale Cytotec) è sufficiente digitare la parola su Google e avere a disposizione 67 dollari sulla carta di credito. Il gioco è fatto, e in omaggio ci sono anche quattro pillole di Viagra. Nessun documento, nessuna ricetta, nessuna degenza, nessun controllo. Il Cytotec è una prostaglandina, un antiulcera da assumere sotto prescrizione medica. Ma è anche la “fase due” dell'aborto chimico con la Ru486. Il mifepristone, la prima pillola, blocca la produzione dell'ormone della gravidanza e causa la lenta morte in pancia dell'embrione. Ma è la prostaglandina (come il Cytotec) a provocare, in un secondo momento, le contrazioni necessarie all'espulsione del feto. Nulla di nuovo per le donne – spesso le più emarginate – che da decenni, in tutto il mondo, lo usano per abortire in terribile e pericolosa “privacy”. Ottenere il misoprostol è molto facile. Prima di Internet si poteva ricorrere a medici e farmacisti disposti a chiudere un occhio, oppure lo si comprava di contrabbando. Le acquirenti sono le donne più sole, più povere, quelle che non vogliono o non possono andare in ospedale. Se l'aborto farmacologico, anche quello legale, è un fatto solitario, che spesso si consuma fra le mura di casa, l'aborto con il Cytotec è tutto questo all'ennesima potenza.

    Le conseguenze sono a volte irreparabili: dalle infezioni uterine alla morte. Proprio per le complicazioni legate all'uso delle prostaglandine in gravidanza, la ditta produttrice del farmaco (ex Searle, ora Pfizer) non ne ha mai chiesto l'autorizzazione come abortivo, avvertendo anzi delle controindicazioni. Il Cytotec, mette in guardia l'azienda, può essere usato soltanto come antiulcera, e il suo utilizzo accoppiato al mifepristone è “off-label”. Ecco cosa dice un documento diffuso dalla stessa direzione scientifica della Searle: “L'uso off-label del Cytotec nelle donne in gravidanza ha prodotto seri eventi avversi, tra cui la morte materna o fetale; l'iperstimolazione uterina, la rottura o perforazione dell'utero, emboli da fluido amniotico, emorragie severe, ritenzione placentare, choc, ecc. La Searle non ha condotto ricerche sull'uso del Cytotec a scopo abortivo o per indurre il travaglio, e non intende condurle. Quindi la Searle non è in grado di offrire informazioni esaurienti sui rischi del Cytotec quando usato a questi scopi”. Tutto chiaro, eppure l'Aifa, l'ente di farmacovigilanza italiano, ha preferito ignorare l'avvertimento e, con il suo parere favorevole alla Ru486, ha autorizzato l'uso off-label del Cytotec proprio come abortivo.

    La facilità di reperimento del misoprostol anche al di fuori delle strutture sanitarie e il costo relativamente basso lo rendono l'arma perfetta per gli aborti fai da te. In Italia per questo gastroprotettore dal 2006 è necessaria la prescrizione medica, ma è un limite facilmente aggirabile. E poi c'è il mercato nero. Negli Stati Uniti, come ha raccontato il New York Times di ieri, l'aborto con il Cytotec è il più usato dalle donne povere, spesso non in grado di pagarsi l'aborto chirurgico in una clinica (in America l'aborto è sempre a pagamento). Assieme a spaventosi beveroni a base di malta, aspirina e noce moscata, al “liquido di cottura” dei jeans, alle cadute accidentali dalle scale e ai pugni ben assestati in pancia, il Cytotec è fra i metodi abortivi che le donne dominicane si tramandano fra loro. Spaventate all'idea di presentarsi in ospedale e essere riconosciute, molte preferiscono andare in farmacie compiacenti, ingollare decine di pillole di prostaglandine e aspettare le contrazioni. La maggior parte delle donne immigrate (soprattutto illegalmente) che hanno partecipato ai focus group di Planned Parenthood lo hanno usato, e raccontano di dolori lancinanti. Molte hanno avuto complicazioni gravissime. Molte sono dovute correre all'ospedale per aver salva la vita.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.