Questione Morassut

Veltroni aveva due quesiti di fronte a sé e ha evitato di darvi risposta

Lodovico Festa

Da dove nasce la devastante sensazione di miseria politica che trasmette Walter Veltroni nell'ultima direzione del Pd? Dall'incapacità di affrontare le cose per quelle che sono, dall'essere disponibile a raccontare qualsiasi favola – tra queste anche di interessanti – pur di non fare i conti con il cuore della realtà.

    Da dove nasce la devastante sensazione di miseria politica che trasmette Walter Veltroni nell'ultima direzione del Pd? Dall'incapacità di affrontare le cose per quelle che sono, dall'essere disponibile a raccontare qualsiasi favola – tra queste anche di interessanti – pur di non fare i conti con il cuore della realtà.
    Veltroni si richiama anche ad Aldo Moro, in una delle digressioni-purché-non-si-affrontino-le-questioni-in-campo, ma il grande politico dc non c'entra con l'ex sindaco di Roma. Aldo Moro divagava, gettava fumo, ma poi era sul pezzo: faceva le battaglie politiche per decidere, non dichiarazioni per passare la nottata. Poteva poetare sul '68 ma poi era ben chiaro sul caso Lockheed. Per questo motivo era uno statista e non un dj inespresso. Non parliamo del vecchio Pci, dove non mancavano doppiezze, dissimulazioni, propagandismi spericolati ma alla fine la cultura della realtà era obbligatoria e non si poteva scartare dai problemi in carne e ossa.
    E anche di Silvio Berlusconi si potrà dire che come politico è dilettantesco, persino che è un furbacchione televisivo, ma affermare che non decida (magari su un predellino) è il contrario della verità.
    Walter Veltroni aveva invece due quesiti di fronte a sé e ha evitato senza ritegno dal darvi risposta: così sull'anomala insorgenza di settori della magistratura (lasciamo per un momento perdere ragionamenti più articolati, accenniamo soltanto come esempio fattuale delle degenerazioni in corso, alle porcate acclarate compiute contro Barbara Palombelli e Antonio Polito) così sulla crisi dei blocchi urbani costituiti dal centrosinistra in tante grandi città, innanzitutto centromeridionali. Come affronta le due urgenti “questioni” Veltroni? Nel modo più miserando. Tirando via una serie di formulette retorico-propagandistiche: vogliamo una giustizia più veloce, la magistratura deve essere indipendente ma anche attenta ai diritti dei cittadini. Il problema che invece sia crollato o stia crollando un sistema di egemonie, che va da Roma a Napoli alla Calabria e persino a realtà non prive di efficienza come la Basilicata e Pescara, viene liquidato come una questione di capibastone. I capibastone ricordano molto i kulaki nella fase di rinsaldamento del potere di Giuseppe Stalin: diventa un kulako, un contadino ricco nemico di quelli poveri e che presto finirà nella tomba, chiunque abbia anche soltanto una mucca (quando questo corrisponde agli interessi del partito, in altre occasioni il criterio può essere più flessibile). Ma la lotta ai kulaki funziona abbinata a efficienti istituzioni come la Ceka, se si dispone di numerosi e competenti plotoni di fucilazione e se gli organi di comunicazione sono soltanto due, la Pravda e l'Isvetzia. Altrimenti diventa rapidamente controproducente. Infatti non mancano quelli che subito sottolineano come i pilastri del rinnovatore Luigi Nicolais contro il neomostro Antonio Bassolino siano arzilli notabili gavianei. Da parte mia, dopo gli ultimi sbracamenti moralistici-propagandistici veltroniani, mi sembra opportuno insistere ancora sull'intreccio tra questione morale e questione Morassut. Il segretario del Pd laziale, Roberto Morassut, ha fatto un piano regolatore dagli indirizzi di fondo sbagliati (estendere invece di condensare una città come Roma è scelleratezza che può venire in testa solo a Giuseppe Campos Venuti e allievi), come ha spiegato esaurientemente uno degli assessori più brillanti delle giunte Rutelli anni Novanta, Walter Tocci.

    Il terminale di tutti i rapporti
    Morassut, che non conosco personalmente e sono sicuro sia persona perbene, nel fare il suo piano è diventato inevitabimente il terminale di tutti i rapporti tra giunta veltroniana e mondo dei costruttori romani. E' possibile che non si colgano i problemi che pone collocare una figura così alla testa del partito del Lazio? Se invece li si coglie e si ritiene indispensabile consolidare a qualsiasi costo un sistema di potere colpito al cuore dalla vittoria di Gianni Alemanno, perché poi si dà fastidio ai “democratici” sardi non allineati a Renato Soru, ai bassoliniani, ai fan del sindaco di Pescara?
    Una riflessione compiuta sui blocchi di potere urbani centromeridionali del Pd richiederebbe tempo e spazio. E' interessante, peraltro, osservare come la regione dove i democratici e la sinistra fanno meglio, la Puglia, è dove esiste una forte opposizione di centrodestra con personalità di grande peso (dalla magnifica Adriana Poli Bortone a Domenico Menniti a Raffaele Fitto). Tra le tante favole che Veltroni ha raccontato, per intrattenere i democratici pur di non assumere iniziative politiche concrete, c'era stata quella sulla consapevolezza che finché non si fosse creato un sistema politico bilanciato tra maggioranza e opposizione, finché si fosse concentrata l'azione politica sulla demonizzazione dell'avversario, la politica sarebbe rimasta mediocre. Ecco una favola che condividiamo parola per parola. Poi però al primo sentore di scatto di manette (in realtà ne è bastato uno di registratore, quello che raccoglieva le presunte sexytelefonate berlusconiane), la favola è finita in soffitta ed è ricominciata la solita insulsa melina con la magistratura. Il problema di riportare le toghe in caserma è uscito di scena sostituito dall'esigenza di “rendere più veloci” i processi. Che è un po' come se gli antipinochet in Cile avessero impostato la loro campagna sul fatto che i carabineros troppo distratti dai compiti di governo, non erano più efficienti nel prendere i ladri di polli.
    E' che Veltroni, invece di vivere, sogna. Trasformando, però, così in un incubo la realtà per metà circa della società italiana. Quella di sinistra.