Exit salario

Lodovico Festa

Le avrà le sue piazze piene, oggi, la Cgil. Certo, non mancano le preoccupazioni. Si è avviato persino un lungo corteggiamento dell'“Onda”, con continui incontri alla Sapienza di Roma organizzati dalla Cgil scuola e non sempre riusciti, pur di avere qualche studente in più ai cortei.

    Le avrà le sue piazze piene, oggi, la Cgil. Certo, non mancano le preoccupazioni. Si è avviato persino un lungo corteggiamento dell'“Onda”, con continui incontri alla Sapienza di Roma organizzati dalla Cgil scuola e non sempre riusciti, pur di avere qualche studente in più ai cortei. Nonostante sia evidentemente stordito, il movimento antigelminiano appare assai dubbioso sull'affidarsi a chi non sa bene neanche come difendere il destino dei suoi iscritti. Figurarsi il futuro delle nuove generazioni. Ci saranno pochi studenti, dunque. Ma ci saranno, invece, tanti pensionati. Più che altro per inveterata militanza. Ci sarà la presenza di categorie molto sulla difensiva, ma seguite da professionisti della mobilitazione che sanno trasformare una difficile partecipazione reale in un presunto entusiasmo di popolo. Le piazze saranno piene. Ma i problemi di Guglielmo Epifani resteranno tutti lì. Il segretario della Cgil ha passato gli ultimi due anni a riconvertire il patto anti ceti medi siglato con Luca Cordero di Montezemolo e Romano Prodi che avrebbe dovuto portare (e non portò) benefici al lavoro dipendente, in una strategia salarialista ispirata dai metalmeccanici della Fiom e dal Pubblico impiego di Carlo Podda.
    La Fiom è riuscita in questi anni a tenere insieme – pur su una linea strategicamente fallimentare – un bel po' del corpo sociale che rappresenta o su cui comunque interviene. I leader fiommini sono ottimi e abili conoscitori delle strategie contrattuali, al contrario di tanti parolai estremisti e anche di qualche bonzo sindacale: persino di Epifani si mettono in dubbio le doti trattativistiche e la sua evidente difficoltà a “firmare” deriverebbe da questa debolezza di fondo. Gianni Rinaldini e Giorgio Cremaschi riescono ancora non solo a controllare la propria organizzazione ma anche a pesare in tante aziende del loro settore (però hanno preso botte sindacali in “santuari” come la Ferrari di Maranello e Pomigliano D'Arco) e a influenzare una confederazione che era quasi decisa, dopo il referendum sull'accordo del luglio 2007 con il governo, a emarginarli.
    Quando un sindacalista, come è il caso di Epifani, è alla canna del gas, buttarla sul salario (la materia che definisce il cuore del mestiere) è sempre una (momentanea) via di uscita, che tra l'altro mette sulla difensiva chi propone strategie più articolate. Vedi l'imbarazzo delle categorie industriali riformiste: il silenzio dei chimici, l'irritazione trattenuta della federazione dei trasporti (infastidita, peraltro, dall'Epifani “politico” nella trattativa su Alitalia), il Commercio spinto dal clima “confederale” a non firmare un buon contratto. Solo i tessili, guidati dalla dura Valeria Fedeli, hanno esplicitato nei fatti una linea abbastanza difforme dalle ultime strategie della segreteria generale cigiellina.
    Però scegliere la via di uscita salarialista, per Epifani è stato un po' come mettere il collo in un cappio. Innanzi tutto perché il capo dei metalmeccanici, Rinaldini, non lo apprezza affatto e soprattutto ce l'ha con “l'erede” designata, Susanna Camusso, che per aiutare il controllo epifaniano sulla Cgil aveva anche fatto prendere, nel suo ruolo di segretaria lombarda, misure disciplinari in una vicenda minore (anche se indicativa di una scarsa vigilanza nei confronti di amichetti del terrorismo) contro un quadro rinaldiniano, la segretaria della Fiom di Milano Maria Sciancati. Anche Podda non ama Epifani, che nell'ultimo rimpasto per tenerlo fuori dalla segreteria generale della confederazione ha scelto Enrico Panini (capo del settore Scuola) al suo posto. Con motivazioni discutibili, visto il differente peso politico e organizzativo dei due dirigenti sindacali. E il capo della Funzione pubblica cigiellina non vede l'ora non solo di ricambiare il favore ricevuto ma di avere pure le mani libere per riallacciare i tradizionali buoni rapporti con la Cisl.

    Questa battaglia è un ferro vecchio
    Ma non sono solo gli scontri “interni” a rendere complicata la strategia salarialista. E' il nuovo quadro globale che modifica le coordinate a rendere la battaglia epifaniana, tutta centrata sul recupero dell'inflazione “vera”, un ferro vecchio. Oggi il pericolo reale è la deflazione.
    Non sarà tanto bravo a fare trattative, ma il segretario cigiellino è comunque un tipo sveglio. E quando il mondo gli è crollato addosso, quando la sua “nuova” linea salarialista è diventata inutilizzabile, ha subito trovato una via d'uscita che cerca anche di costruire una qualche alleanza alla sua confederazione con i ceti medi: ha puntato su un obiettivo che per prima aveva sollevato Forza Italia nel corso della campagna elettorale, in previsione di un periodo economico meno aspro, cioè la detassazione della tredicesima. Una declamazione retorica se non combinata con interventi sul bilancio dello stato. E l'unica materia “scambiabile” oggi è l'età pensionabile. Ma un fuoco d'artificio utile per una manifestazione di piazza. E dopo il “12” come pensa di cavarsela, Epifani? Di fatto conta solo sugli ambienti in casa Fiat che ritengono di usare un po' di protesta per ottenere sussidi all'auto. L'avere tirato fuori dalla naftalina Montezemolo, l'appello di questi a detassare il lavoro dipendente, fanno parte di questa deriva non molto brillante ma che può creare qualche spazio e che offre un minimo di possibilità di manovra all'inquilino di Corso d'Italia. Anche grazie a qualche spondina che funziona in Confindustria e ritarda le mosse strategiche di Emma Marcegaglia. E in questo senso sarà utile esaminare pure il ruolo del direttore generale, molto Lingotto dipendente, Maurizio Berretta. Come faremo.