Rilancio ponderato

Lodovico Festa

E' saggia la risposta che Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti (un po' litigando ma molto convergendo) stanno dando all'emergenza economica.

    E' saggia la risposta che Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti (un po' litigando ma molto convergendo) stanno dando all'emergenza economica. Il ragionamento del ministro dell'Economia sui comportamenti dei mercati finanziari di fronte a una eventuale forte spesa in deficit è fondato. Lo scostamento del corso dei buoni del tesoro da quello dei bund tedeschi fa capire quanto sia necessaria la massima vigilanza sui conti pubblici. Ogni rilassamento implicherebbe effetti devastanti per il bilancio di uno stato costretto a reperire nuove risorse. Soprattutto ora che per finanziare la crisi, innanzi tutto delle banche, tutti i paesi dell'Unione corrono come matti a emettere titoli pubblici.

    La tesi di Tito Boeri che il crollo delle borse fornirebbe lo spazio per un forte taglio della remunerazione dei nostri titoli, tale da consentire una consistente defiscalizzazione dei redditi bassi, mi sembra a metà tra la sopravvalutazione di dati congiunturali e la volontà di coprire le dissennate rivendicazioni della Cgil.

    Oggi concentrarsi sul sostegno al disagio sociale (redditi degli incapienti e aree di vecchia e nuova disoccupazione) e affidarsi per la ripresa a un piano di interventi pubblici (soprattutto se gli sciagurati tedeschi consentiranno – come pare – un intervento coordinato dell'Europa) è la scelta più opportuna.

    Si potrebbe fare di più? Certamente, se la Cgil invece di cavalcare obiettivi massimalistici, proponesse scambi razionali fra poste di spesa: chessò un taglio delle tasse sulle tredicesime in cambio di un'andata in pensione delle donne a 62 anni invece che a 60. Fino a quando, invece, da Corso d'Italia verranno solo proclami demagogici a trascurare il forte debito dello stato, la manovra dovrà essere particolarmente sorvegliata. Evitando naturalmente di raccogliere gli inviti a nuove aggressioni ai ceti medi tipo quelle dell'era prodiana. Non mancano gli appelli di intellettuali di sinistra (compresi settori di baronato universitario che difende i suoi privilegi) a lanciarsi in nuove guerre sotto la bandiera della lotta all'evasione della tasse e dell'annullamento dell'unico provvedimento di sollievo fiscale per certe fasce della società che è stata l'abolizione dell'Ici sulla prima casa.

    Che la politica fiscale del centrodestra non sia lassista lo testimoniano le proteste – non prive di argomenti – di artigiani e commercianti contro i rigorosi studi di settore in funzione. Ma se in questa situazione dell'Italia non sono possibili sconti fiscali a chicchessia nel breve periodo, se gli interventi strutturali anche di defiscalizzazione richiedono preventive stabilizzazioni dei conti pubblici, questi nostri sono comunque tempi in cui tutto si può fare tranne che lanciarsi in qualche forma di lotta di classe contro classe, di lavoratori dipendenti contro autonomi. Il governo deve sempre agire costruendo la massima concordia sociale possibile.

    Il pane di bocca e le università
    E' ragionevole anche l'idea di intervenire con buoni per i consumi verso le fasce più deboli della società. La tendenza di fondo anche di settori meno abbienti è privilegiare il risparmio sui consumi. Con i vecchietti che si tolgono il pane di bocca per i nipotini, magari per mandarli nelle nostre disgraziate università. E' una tendenza che al fondo rafforza l'Italia. Ma oggi va bilanciata con un impulso ai consumi. E con il sostegno diretto ai bisogni dei più disagiati. E' opportuno, poi, – come dicono osservatori un po' sciacalleggianti – cogliere l'occasione della crisi. In particolare per ricostruire una logica responsabilizzante di tutto il sistema Italia: i centri di spesa (dagli atenei agli enti territoriali) non devono mai più considerare le loro spese da rimborsare a pié di lista. Questo è anche il senso del federalismo fiscale. E delle fondazioni per gli atenei. Il salario deve legarsi agli incrementi di produttività sia nel senso di evitare sfacciate crescite di profitti non ridistribuiti, sia una gestione appiattita della contrattazione. Va anche studiato un piano di riduzione drastica (in tempi non proprio immediati) della pressione fiscale che definisca il nostro orizzonte. Insomma, mentre si affronta l'emergenza va disegnata una transizione dalla nostra Italia anarcoide e burocratico-centralistica a una libera e responsabile.

    Ma intanto, l'impegno è sull'emergenza e soprattutto sul far partire le opere pubbliche, con i 16 miliardi e rotti approntati dal governo e con quello che arriverà dall'Europa. E proprio sull'obiettivo di spendere subito le risorse messe insieme, va fatto lo sforzo di convergenza più ampia tra le forze politiche di maggioranza e opposizione. Rapidità, nuove risorse da mobilitare (compresi gli inerti patrimoni degli enti locali) e insieme evitare nuovi scempi al territorio, sono obiettivi che difficilmente si possono raggiungere puntando solo sulle forze della maggioranza.

    Bisognerà pensare a commissioni parlamentari agili con poteri ispettivi che affianchino l'azione dell'esecutivo, che contrastino le inerzie e le derive incontrollate: in Italia sappiamo bene che cosa si può combinare nel campo delle opere pubbliche. E così vanno studiate anche commissioni tra stato ed enti locali con annessi accordi di programma velocemente operativi. Sarebbe interessante prevedere anche un intervento delle università a tutela di territorio e ambiente. Che si guadagnino un po' dei soldi che rivendicano con protervie del tipo: la crisi non la paghiamo noi. Forse l'occhio vergine di giovani studenti mandati a fare esercitazioni sul campo potrebbe contenere le tentazioni ai massacri ambientali che talvolta affiorano nel settore delle costruzioni.