Nuova generazione/1

Maurizio Crippa

"Nel periodo tra le due guerre mondiali e ancora di più dopo la Seconda guerra mondiale, uomini di stato cattolici avevano dimostrato che può esistere uno stato moderno laico, che tuttavia non è neutro riguardo ai valori, ma vive attingendo alle grandi fonti etiche aperte dal cristianesimo”.

    "Nel periodo tra le due guerre mondiali e ancora di più dopo la Seconda guerra mondiale, uomini di stato cattolici avevano dimostrato che può esistere uno stato moderno laico, che tuttavia non è neutro riguardo ai valori, ma vive attingendo alle grandi fonti etiche aperte dal cristianesimo”. La memoria allenata dello storico Agostino Giovagnoli – ordinario di Storia contemporanea alla Cattolica e autore di vari studi sulla Dc, il “partito italiano” per eccellenza – rimanda subito con precisione a uno dei primi interventi da pontefice di Joseph Ratzinger, un discorso alla Curia romana del dicembre 2005, in cui Benedetto XVI esplicitava il suo giudizio lusinghiero sull'azione politica dei cattolici nel corso del Novecento. Spiega Giovagnoli: “Per la sua cultura di appartenenza e per la sua stessa biografia, credo che Benedetto XVI abbia in generale un giudizio di ammirazione per l'esperienza dei partiti cattolici, le ‘democrazie cristiane' europee. Anche se ovviamente il suo riferimento è in primo luogo quello tedesco. Fa parte del suo bagaglio intellettuale ed ecclesiale l'idea che i cristiani debbano perseguire un ruolo attivo e positivo nella società”.

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    Proprio per questo, ritiene Giovagnoli che nelle parole pronunciate domenica “non ci sia nulla di estemporaneo”. Anche se forse non c'è nemmeno nulla di programmatico, è più nello stile del Papa lasciare che siano i diretti responsabili nella chiesa italiana a raccogliere l'invito. Allo stesso tempo, “proprio per i giudizi sulla società e la chiesa che va esprimendo, l'invito a un impegno politico di migliore qualità, ‘competente' appare inevitabile, perfettamente logico”.
    Lo storico di formazione laica Roberto Chiarini, docente di Storia dei partiti politici alla Statale di Milano, concorda con l'idea che la politica italiana sia pronta per una nuova generazione di cattolici impegnati, dopo quella che, forzando un po', si potrebbe chiamare la “generazione perduta”. Traccia una breve biografia ideale: “La prima generazione dc veniva da un humus ricco, da una lunga formazione culturale nella Fuci, nell'Ac. Aveva un rapporto organico con la chiesa. Già la seconda, quella fanfaniana, si autonomizza, è fatta da politici ‘professionisti' che non hanno più un rapporto subordinato con la chiesa. Finché la generazione successiva, culturalmente erosa dalla secolarizzazione, allenta il suo legame vitale con il mondo cattolico e ha con esso solo un rapporto contrattuale. Finché tutto questo non esplode: quando l'elettorato cattolico, ‘la base', si accorge che quei politici che continua a votare non sono più ‘suoi', allora il contratto si spezza. E va a cercarne altri con cui condividere un'appartenenza: è la storia del travaso dal voto democristiano a quello leghista”.

    Per Chiarini, il personale politico attuale ha un dna differente: “Oggi ci sono molti politici ‘attenti' ai cattolici, ma pochi politici cattolici – argomenta – e anche quelli che lo sono dichiaratamente, da Formigoni alla Bindi, non fanno politica ‘in quanto cattolici'”. Fine dell'identitariso. Ma allo stesso tempo – “e lo dico da laico”, sottolinea – oggi la proposta culturale e sociale che nasce dalla chiesa “è l'unica in grado di generare coesione, progetto, e anche di affascinare. In questo senso credo che ci potrebbe essere, e solo in Italia, lo spazio per una nuova forma di presenza politica cattolica”.

    Da Ruini a una nuova elaborazione. Quanto alla possibilità che la “nuova generazione” di politici cattolici fiorisca davvero, e in quali forme, il terreno dell'analisi si fa più accidentato. Un po' perché, se la generazione di Benedetto XVI conserva una memoria europea positiva, in Italia, e anche all'interno della chiesa, non tutti possono dire altrettanto: “In ultima analisi, la Dc si è suicidata, e la sua fine ingloriosa ha lasciato un vuoto difficile da superare”, dice Giovagnoli: “E bisogna ricordare che l'attuale situazione non l'ha scelta Camillo Ruini: lui, che pure aveva difeso a lungo l'unità politica dei cattolici, si è trovato a gestire una difversa fase storica: E l'ha fatto per molti versi anche bene. Se vogliamo, l'ha fatto anche raccogliendo l'eredità della Dc”. Certo, nel passaggio di testimone dai laici ai vescovi, della Dc si è accentuata l'attenzione ai temi etici e si è persa un po' di quell'attenzione al “bene comune” che era tipica della laicità democristiana. “Ma oggi – conclude Giovagnoli – i laici cattolici non paiono troppo interessati a elaborare una propria cultura politica. Se quello del Papa è un auspicio a farne germogliare una nuova, i tempi potrebbero essere lunghi”.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"