Brevi saggi più o meno concupiscenti/28

Del maiale non si butta nulla

Andrea Marcenaro

La vita è un continuo fare sega. Non nel senso che intende quel porcello mascherato di Massimo Fini, fare sega nel senso di marinare, sfuggire, di andare e non andare, insomma, di proteggersi quel poco. Se non fai sega, non ne esci, se ogni tanto non fuggi, ti ci perdi. Si ha un bel dire, sulla concupiscenza. Che si sbraca troppo sarà pure vero.

Leggi Riparliamo di concupiscenza di Giuliano Ferrara

    La vita è un continuo fare sega. Non nel senso che intende quel porcello mascherato di Massimo Fini, fare sega nel senso di marinare, sfuggire, di andare e non andare, insomma, di proteggersi quel poco. Se non fai sega, non ne esci, se ogni tanto non fuggi, ti ci perdi. Si ha un bel dire, sulla concupiscenza. Che si sbraca troppo sarà pure vero, anzi lo è, ma la vera verità è che non sappiamo nemmeno cosa Gianni Baget Bozzo o Roger Scruton nascondano dietro il muro della loro scienza. Non sappiamo, cioè, se mentre scrivono con la mano destra di Wagner e Musil, di Austen e Priamo, o di Foucault e Giacobbe, di come cioè non si debbano palpare altri culi che quello della moglie, non stiano per caso, con la mano sinistra, palpando la fantesca. Manco questo sappiamo, né vorremmo peraltro saperlo. Non ci interessa, facciano pure, non esiste verità o bugia. Nulla quanto l'ambito che ruota intorno al pianeta gnocca e derivati è soggetto al legittimo sospetto che la buona predica possa andare sottobraccio a un diverso razzolare. Non ci sarà giuramento in grado di convincere del contrario. Prendimi e dammiti, Cucurucù. E se qualcuno vi chiede: “Ma riflettiamo: prima prendimi? O prima dammiti?”, date retta, quello è il momento di fare sega.

    Tengo una nipotina, non vorrei che un domani leggesse, è evidente che si parla per parlare. Ma una cosa sfruculia. Questo signor Scruton, per esempio, è al tempo stesso un gigante della morale e un poco figlio di mignotta. Dice: “Il desiderio di Giacobbe per Rachele viene soddisfatto da una notte con Leah, ma solo se Giacobbe immagina di essere stato con Rachele”. Non c'era concupiscenza in senso proprio. Anzi, Giacobbe è un benemerito del matrimonio. E fin qui. Ora. Ammettiamo che sia farina del suo sacco e non del sacco della Patty Pravo quando canta il suo concupiscente corretto dove scopa con un altro “pensando, di stare ancora insieme a lui”. E ammettiamo che Patty, siccome è Pravo, si sia trovata al volo un suo Brad Pitt e se lo sia fatto a raffica con la fissa che si trattasse ancora di Giacobbe. Contenti loro. Ma a noi chi ce la da, la nostra Leah con cui fare le porcate nella sincera idea che non stiamo facendo le porcate e basta? Dove la troviamo? Nella schiera delle ancelle? La preleviamo dal pacchetto “Tutto in una notte” e poi via, di là, a stirare di nuovo con le altre? O possiamo cercarla, che so, in un bar, al ristorante, a una cena di amici oppure lungo un viale? E quante Leah ci sono consentite, metti che le troviamo, nel corso di una vita? Una Leah, e allora sei sincero e agganciato ai valori, due Leah e ci diventi un porcone vuoto come un cocco? Tre Leah? Quante ne puoi desiderare, una alla volta, pur pensando ogni volta che sempre con Rachele stai smanettando? Dov'è il confine, qual è il passaporto? E non sarà, sia detto en passant, chiamala Rachele una volta, e chiamala due, e chiamala Rachele tre, che quella alla quarta ti ammolla: “Rachele tua sorella, io mi chiamo Leah”?

    Poi certo che si concupisce, accidenti se si concupisce, in occidente. Non io, ma tutti gli altri concupiscono. Chi più, chi meno, ho conosciuto solo gente che concupiva. La faccio grossa, cito Paolo VI: “Concupiscenza significa che i rapporti personali dell'uomo e della donna vengono vincolati riduttivamente e unilateralmente al corpo e al sesso”. E anche san Giacomo: “Ciascuno è tentato quando è adescato e trascinato nella propria concupiscenza”. Nella “propria”, concupiscenza, capito bene? Che alla fine della rava vuol dire questo: non la femmina a concupire te, sei tu, carambolando sulla femmina, che concupisci in te stesso. Era un fenomeno che prima si poteva in qualche modo fronteggiare. E' che mentre un tempo, se andava bene, pardon, male, ti imbattevi in otto-dieci culi di femmina al giorno, capita ora, nell'occidente nostro, di imbatterti in cinque o seicentomila degli stessi. Anzi, meglio mandolinati. Ciò moltiplica a dismisura le possibilità di carambola e propone, proporzionalmente, due campi di possibilità entrambi sterminati: o ti opponi con sforzi sovrumani alla concupiscenza, che comunque dentro hai, e dentro ti resterà; oppure ti dici: sai che c'è?, io stavolta concupisco. Non ho detto scopo, ho detto concupisco. Si tratta di due cose leggermente diverse. Perché la concupiscenza l'abbiamo appunto incorporata. Ce l'ha incorporata Lui quando siamo usciti dall'Eden per il pasticcio della mela. Lo sanno tutti, lo conferma san Giacomo, la questione è pacifica. E che possiamo fare, noi? Riportare le occasioni di carambola alle otto-dieci di un tempo, come sarebbe umano? E come, con la televisione in pista? Dobbiamo dirGli in alternativa, ogni giorno, per seicentomila volte al giorno, che Gli chiediamo scusa? PrometterGli che non concupiremo più? Massimo-massimo, ma continuando a chiedere perdono, che scenderemo sulle trecentomila volte al giorno e basta? Un fatto è incontestabile, quella è roba che continua a tirare. A tirare in sé. Anche riduttivamente, perfino unilateralmente. Ma a tirare. Nel contempo, noi non possiamo assolutamente accettare il porco che è in noi, il maiale che ci portiamo dentro o diciamo pure, con più delicatezza, quella nostra animalità di merda che ci sta portando alla rovina. Perché non ci piove, qui, ha del tutto ragione Scruton. Bisogna ammazzare il porco. Te le saluto, se no, le famose radici cristiane. Perciò. Pochi individui virtuosi a parte, e me tra loro, quanto ai grandi numeri che nel mondo concupiscono, e affinché non concupiscano più in maniera francamente disumana, in due sole cose si può sperare: la bomba atomica, o qualcosa di devastante sul serio.

    Recita l'introduzione al breviario della buona concupiscenza: “La voglia di scopare, insomma, e di sentirsi liberi e sovrani nel farlo senza rimorsi, dannando come retaggio dell'arretratezza la cosiddetta sessuofobia: ecco uno degli approdi più visibili e paradossali del tempo moderno che nessun ministero della famiglia, nessun pacs o matrimonio omosessuale, nessun prurito censorio o bigotto può curare”. Appunto. Alt un momento, però, capiamoci sulla cosiddetta sessuofobia. La cosiddetta sessuofobia, detta in soldoni e senza andare troppo indietro, era quella che i veri progressisti imputavano al vecchio Ettore Bernabei, i mutandoni, le calzemaglia nere, i reggipetti grossi, quel ti vedo e non ti vedo in tivù sul genere delle gemelle Kessler. Altra domanda, al modo elegantemente allusivo di Massimo Fini: ma lo faceva venire più duro o più moscio, la sessuofobia? Ecco. Nel Belpaese si scopava di più, assicurano ora le ricerche di ogni genere e grado. Poi l'acqua passò sotto i ponti. Tanta acqua. Nel cruciale passaggio dalla mutanda al tanga, nel guado epocale dal reggipetto al reggicapezzolo, nel tragico infoltirsi dei pezzi di gnocca televisivi passati da nessuno, a uno, a seicentomila, intere schiere di gagliardi amatori maschi sembrano per questa strada finite nel tritacarne. Scientia dixit. Numeri, studi, la carta che canta. Chiedete a quel maniaco di Renato Mannheimer. La sessuofobia, a spanne, favoriva cioè le scopate ufficiali, chiudeva un occhio sulla virilità extra-moenia e conteneva alla grande la concupiscenza bruta. La libertà sovrana “della scopata senza rimorso” è venuta invece pericolosamente incrinando l'asta dell'unica bandiera per cui si è andati tutti e sempre a petto in fuori. Alla faccia della guerra al sessuofobo. Che bisogna dedurne? Che il progressista in servizio permanente effettivo ha dilatato a un tempo, peut-etre, il mercato della voglia e quello della cilecca? Dio lo perdoni, in questo caso. Anche se ciò fornirebbe senz'altro un primo abbozzo di risposta all'inevasa domanda sul perché, ogni volta che apre bocca, il vero progressista te l'ammosci in effetti sempre un po'.

    “Via i soffitti: e qua vediamo un energico generale battuto e costretto alla resa da una prostituta, o grato di esser messo ‘ai ferri', una pratica da tempo abolita come punizione nelle caserme; là un religioso che geme davanti alla croce della finestra; qua un ministro che bacia la scarpa o regge lo strascico alla moglie di un suo subalterno, là uno studioso che di fronte alle attrattive di una Circe da bassifondi vede che non ci è possibile sapere niente”. Mica io, lo racconta Karl Kraus. E non è che certe cose le puoi fare in casa. Quantunque, si potrebbe anche provare a non farle più.

    Spiace, titillato il progressista, titillare il velopendulo all'Amor nostro. Ma resi i dovuti omaggi, non è che uno può fare l'uomo della Provvidenza il sabato e ritirarsi la domenica nella villa che si è comprata anche grazie a settanta tonnellate di istigazione alla concupiscenza riversate su un intero popolo che (come abbiamo visto da san Giacomo + altri) ha già il maiale nel motore. Quaranta tonnellate di tette più trenta di chiappe. La velina, la cosina, il vibratore, l'imbuto da notte, te la do, ma certo che te la do. E che cazzo. C'è un conflitto d'inclinazione, mi pare, e pure di ruolo. Si crea d'intorno una strana situazione dove il cittadino telespettatore vede tanta di quella gnocca, ma così tanta, ma così tanta, che non c'è niente di strano se poi considera un diritto inalienabile che gli tocchi il suo chilo. Che voglia mordere il suo panino e se non può s'incazzi. E che insista. E aspetti un altro panino. E panino dopo panino, cioè, sega dopo sega, perché intanto non cucca niente, che si stanchi. Non saprei dire se sia questa una causa della stanchezza dell'occidente, o se ne sia un effetto. Quello che saprei dire è questo. Che se mi hai dato prima una mano a infoiarmi come un toro e poi mi dici no, il preservativo no perché commetti un peccatuccio, i pacs no perché i froci sposati te li faccio già vedere su Italia Uno, l'Europa no perché non vuole le radici cristiane, le zoccole nemmeno perché rovinano le famiglie, e mi fai la morale manco m'avessi dato invece la metà del mantello, nell'urna questo mai, ma nel fondo del mio cuore tocca mandarti a cacare. Chiedo scusa. E quelli della Rai hanno poco da sorridere.

    Ora c'è un punto che mi sta a cuore. Banale, scontato, ma il cui succo è noto: “Mai comunque con la moglie dell'amico”. Siamo circondati da boccucce a culo di gallina che imbroccano la loro boccuccia più riuscita quando possono dirti: “Mai comunque con la moglie dell'amico”. La cedono su tutto. Acconsentono che sia interessante un rapporto sessuale col gatto, approvano che ci si possano fare tre suore alla forsennata durante le funzioni del vespro, ingropparsi la mamma perché l'ha detto Sigmund Freud, applaudono le ammucchiate tripartisan nelle cabine del telefono, ma arriva sempre il momento in cui trasaliscono: “Però, con la moglie dell'amico, mai!”. E ci mettono pure il punto esclamativo. Ora ditemi voi se si può avere una faccia più di merda. La moglie dell'amico è l'unico rifugio delle persone per bene che non vogliono passare tutta la loro giornata a concupire ad alzo zero. E' l'unica Leah del terzo millennio, è quella che conosci, con cui parli, ci fai il pavone a tavola, lei vede le tue penne, è la sola, o giù di lì, con cui potresti fare sesso non del tutto riduttivamente e/o unilateralmente. “Tradendo l'amico”, si ritrae boccuccia. Ma quale tradendo? Io colpisco il gran porco che è in lui, il suo senso proprietario, lo induco a misurarsi con se stesso, a guardarsi dentro, a chiedersi: “In cosa sono stato egoista?”, e lo rimetto infine su quel mercato delle relazioni affettive più strette da cui aveva finito per ritirarsi. Ma l'amicizia è salva, se è vera. Io sono tuttora amico di Carlo Panella. Non lo sarei nello stesso modo se fossi invece il tipo che impiega il tempo indirizzando la propria concupiscenza verso le giovani sconosciute che scendono dal torpedone di San Pietro. E a proposito. Noi perderemo la guerra con l'islam, chiedo scusa, con quello radicale. Se qualcuno però, l'Onu, le Donne in nero, Amnesty, la Croce rossa, un Ponte per…, chi sia sia, riuscisse mai a organizzare una cena tra califfi e califfe, tutti insieme a tavola, con pari dignità di chiacchiera e di gioco deduttivo, vedi mai che partirebbero delle botte di concupiscenza da rendere un po' stanchi anche loro.

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    Leggi gli articoli di Roger Scruton, Massimo Fini, Stefania Vitulli, Alessandro Schwed, Fabio Canessa, Andrea Monda, Giorgio Israel, Duccio Trombadori, Mauro Suttora, Massimiliano Lenzi, Ruggero Guarini, Angiolo Bandinelli, don Gianni Baget Bozzo, Oddone Camerana, Andrea Affaticati, Umberto Silva, Luigi Amicone, Sandro Fusina, Saverio Vertone, Giuseppe Sermonti, Edoardo Camurri, Francesco Agnoli, Ottavio Cappellani, Giuliano Zincone, Paola Mastrocola, don Francesco Ventorino, Mariarosa Mancuso e Camillo Langone

    • Andrea Marcenaro
    • E' nato a Genova il 18 luglio 1947. E’ giornalista di Panorama, collabora con Il Foglio. Suo papà era di sinistra, sua mamma di sinistra, suo fratello è di sinistra, sua moglie è di sinistra, suo figlio è di sinistra, sua nuora è di sinistra, i suoi consuoceri sono di sinistra, i cognati tutti di sinistra, di sinistra anche la ex cognata. Qualcosa doveva pur fare. Punta sulla nipotina, per ora in casa gli ripetono di continuo che ha torto. Aggiungono, ogni tanto, che è pure prepotente. Il prepotente desiderava tanto un cane. Ha avuto due gatti.