Pallon d'essai special

Visto a Pechino, Gaucho Marx Ronaldinho è pronto a spassarsela al Milan

Maurizio Crippa

Ieri alle Olimpiadi percepite dello spettatore medio – altrimenti detto il “paese reale”, in altre parole l'utente pagante del servizio pubblico, che è cosa diversa dal game-addict che si sollucchera pure il nuoto sincronizzato alle sei di mattina, o le semifinali di canoa sul sito di Raisport – c'erano solo tre personaggi in grado di scarabocchiare nel palinsesto un sussulto d'attesa.

    Argentina-Brasile 3-0
    Ieri alle Olimpiadi percepite dello spettatore medio – altrimenti detto il “paese reale”, in altre parole l'utente pagante del servizio pubblico, che è cosa diversa dal game-addict che si sollucchera pure il nuoto sincronizzato alle sei di mattina, o le semifinali di canoa sul sito di Raisport – c'erano solo tre personaggi in grado di scarabocchiare nel palinsesto un sussulto d'attesa. Uno era Igor Cassina da Seregno, Igor il Magnifico, il ginnasta bello e buono e dai muscoli scolpiti come una statua greca. Uno di quegli atleti che si materializzano nei ricordi degli italiani solo una volta ogni quattro anni, quando tutt'a un tratto vincono una medaglia d'oro (ad Atene) in una disciplina che, fuori dal sacro recinto televisivo delle Olimpiadi, nessuno si ricorda manco che esista: il volteggio alla sbarra. Uno sport che non fa guadagnare tanto, ma che costa una fatica del diavolo per tutti i santi giorni di tutti i quattro anni vissuti lontano dalla percezione olimpica dello spettatore medio. Anche se sei così bravo da aver guadagnato il copyright di un tipo di volteggio tutto tuo: il “movimento Cassina”, appunto.

    Gli altri due erano il Gaucho e la Pulce, Ronaldinho e Messi, ovvero i due gnomi più brutti e sgraziati (se dovessimo usare i canoni di Fidia) e più bisognosi di un parrucchiere dello sport mondiale. Due che basta guardarli per capire che la fatica lontano dalle telecamere non sanno manco cos'è, ma che forse proprio per questo sono i due più famosi e strapagati calciatori giunti a Pechino. Due di quelli, insomma, che stanno in cima all'immaginario globale anche il giorno di ferragosto o la notte di Halloween. Va da sé che l'utente pagante, al quale interessano solo le Olimpiadi percepite, ieri avrebbe voluto vedersi in chiaro la semifinale di calcio Argentina-Brasile, e tanti saluti alla ginnastica.

    Ma il Minculpop-Raisport di Max De Luca, fedele alla sua missione educatrice nei confronti delle prigre masse, ha ovviamente deciso che dovesse andare in chiaro qualsiasi specialità olimpica il convento passasse, ma il calcio proprio no. In castigo sul satellite. Risultato, Igor Cassina si è attorcinato su una verticale sbagliata, ha volteggiato sbilenco, è arrivato quarto. E fine della favola per i prossimi quattro anni. Peccato per lui e per Max De Luca, ma tanto la percezione olimpica si era già trasferita su Rai SportPiù, o sui tecnologici canali del sito Internet, per fare l'emozionante esperienza di una partitona di calcio senza manco il disturbo audio dei telecronisti Rai.

    Ne valeva la pena, alla faccia di Max De Luca e nonostante da un'altra parte dell'etere Usain Bolt volasse a guadagnarsi la finale dei Duecento senza neanche correre. Tra Argentina e Brasile, invece, guadagnarsi una vittoria è sempre una battaglia di nervi e di muscoli, sul filo della tragedia nazionale. Al Brasile l'oro olimpico è l'unico trofeo che manca, l'Argentina è l'unico che riesce a vincere, da quando non hanno più una dittatura. Così la Pulce Messi saltava imprendibile per il campo, con Riquelme e Mascherano gli argentini avevano molte più gambe, più cuore, più voglia di vincere. E alla fine il Brasile è naufragato, ha perso partita e nervi come sanno perdere soltanto i brasiliani quando diventano tristi. Tre gol, due espulsi, tutti a casa. Anche se la Pulce non ha segnato e i primi due gol li ha fatti Sergio Aguero, ragazzo che forse diventerà fortissimo, ma al momento la cosa che è sembrata decisiva è che diventerà il genero di Maradona. Gaucho Ronaldinho, invece, sembrava Gaucho Marx: uno che non lo vorrebbero in nessun club. Milan a parte. 

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"