C'è Kriminal al telefono. La risposta di Marco Ferrante

Che cosa hai capito dalla lettura delle memorie di Giuliano Tavaroli?

Marco Ferrante

La ricostruzione di Giuliano Tavaroli a Giuseppe D'Avanzo è una storia di genere. La verità non esiste, una specie di italianità in controluce si manifesta e si incarna nell'affresco sociologico, la trama si infittisce, rivelazioni e coincidenze si susseguono, fino alla strana e assai poco plausibile storia di un Oak Fund.

    La ricostruzione di Giuliano Tavaroli a Giuseppe D'Avanzo è una storia di genere. La verità non esiste, una specie di italianità in controluce si manifesta e si incarna nell'affresco sociologico, la trama si infittisce, rivelazioni e coincidenze si susseguono, fino alla strana e assai poco plausibile storia di un Oak Fund (ma è veramente possibile che i dirigenti di un partito che ha per simbolo una quercia, chiamino Oak, quercia, un fondo segreto per il suo finanziamento?).
    La storia che sembra emergere è la parabola di un imprenditore del nord avviato a grandi successi, il quale compra con la leva del debito una delle prime aziende del paese – fortemente mal privatizzata e già comprata a debito da una cordata di imprenditori padani con una sponda politica, i quali nel 1998 dovrebbero rappresentare una palingenetica classe dirigente imprenditoriale (Chicco Gnutti ne è il portabandiera più rappresentativo, sic).

    Il nuovo capo di Telecom sbarca a Roma dove l'azienda ha sede – e dalla quale peraltro la sposterà – e qui scopre di avere dimestichezza di rapporti e relazioni meno solide di quanto gli servirebbe. Si ritrova al centro di una miriade di battaglie di potere. Cioè: vive e opera in un paese alla prese con una lunghissima transizione politica (a oggi non ancora davvero conclusa): i partiti politici moderati sono stati spazzati via da un'inchiesta giudiziaria che si innesta sul malcontento politico dell'opinione pubblica e sulla fine degli equilibri fondati sul mondo diviso in blocchi; sono stati sostituiti da un ex partito comunista (Oak, per l'appunto) che agita la questione morale, e da un progetto di partito liberale di massa, guidato da un imprenditore molto ricco; i due partiti principali sono riluttanti a esercitare un reciproco riconoscimento; la politica si indebolisce, il potere è liquido, gli spazi liberi, i poteri dello stato sono in competizione tra loro, le fazioni si dissolvono e si ricompongono, i disegni personali si sovrappongono; ciascuno si sente autorizzato a disegnare per se stesso una luminosa parabola; sembra di vedere da qualche parte un Marlon Brando-Napoleone che spiega a Jean Simmons-Desirée come giacendo la corona di Francia sul greto di un ruscello non si attenda altro che qualcuno la raccolga con la punta di una spada. E' plausibile in una simile tempesta che dura da diciassette anni, immaginare un ruolo per l'ex carabiniere Tavaroli? O non c'è troppo James Ellroy, troppo Roma Capoccia Confidential, troppo Italian Tabloid?

    Tra il giornalismo e la verità. Così tra il giornalismo e la verità da noi c'è sempre una via di mezzo, la letteratura. C'è Giuliano Tavaroli che affida a un giornalista celebre il suo se stesso perché non vuole diventare un capro espiatorio, perché non vuole – dice – che i suoi figli pensino che egli sia il mascalzone descritto dalla stampa. E mentre cerca di dimostrare di essere un uomo che ha soltanto peccato di eccesso di fiducia nei confronti di altri uomini, ottiene un effetto paradossale: quello di raccontare una versione delle cose molto più immoralistica dell'errore che egli rimprovera a se stesso. (le altre risposte sul Foglio quotidiano)