Il caso di Eluana Englaro

Io, prima persona singolare liberale

Daniele Bellasio

Io è la prima persona singolare liberale. Io decido. Io posso rifiutare cure. Io posso scrivere un testamento biologico, magari presto anche in Italia. Magari. Io vivo. Io esisto come unico dal concepimento alla morte. Io – la natura lo ammette – posso nei fatti decidere che questa non è vita ma la vita di per sé non è qualità o quantità, è e basta.

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    Io è la prima persona singolare liberale. Io decido. Io posso rifiutare cure. Io posso scrivere un testamento biologico, magari presto anche in Italia. Magari. Io vivo. Io esisto come unico dal concepimento alla morte. Io – la natura lo ammette – posso nei fatti decidere che questa non è vita ma la vita di per sé non è qualità o quantità, è e basta. Il mistero poi di un'esistenza e delle esistenze a lei vicine è intoccabile soprattutto nel dramma.

    Io avevo capito che la volontà individuale era il principio ultimo, il motore immobile di ogni diritto rivendicato come moderno, la casa laica e inviolabile dove rifugiare i miei amori, pensieri, desideri, paure, piaceri. Se dubito di Dio, credo in Io, no? Io, anarchico e relativo ma non per questo relativista, sono il padrone della mia vita, soprattutto se non la considero un dono, ma anche se la considero un dono. Io, da una prospettiva liberale, posso tutto quello che non riguarda il tu e il voi e il loro. Se la mia volontà può essere dedotta da un tribunale, da un altro da me, presunta a partire da fatti e parole mie, per me crolla l'ultimo invalicabile muro di difesa di una società che scivola sempre più verso la spersonalizzazione dei diritti trasformati via via in “conquiste di civiltà” sociali e politiche. Ma io? “Quando sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento”, chi lo decide? I miei convincimenti sono in continuo divenire, per questo siamo vivi, cogito ergo sum, continuo a cogitare dunque continuo a esserci.

    Ma il pensiero è impenetrabile e se la scelta è irreversibile, la delega non è possibile, perché nessuno può davvero sapere che cosa avrei pensato o voluto io in quel preciso momento. Perché il dolore non è immaginabile finché non lo provi. Dunque non so nemmeno io davvero che cosa vorrò. Anche una volontà espressa in anticipo per qualcosa che potrà accadere in futuro è difficile che sia realmente univoca, figuriamoci una volontà dedotta. Eppure poi univoca è la sorte. “Se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso…”? Con i se non si fa la storia di nessuno e mi fa paura che la mia volontà sia carpita da una domanda che contiene un periodo ipotetico e cui io non posso rispondere. Che cosa significa “univocamente”? Chi sa quello che penso e voglio qui e ora?

    Sono convinto, con qualche preoccupazione, che serva il testamento biologico. Ma come si fa a esultare per il fatto che da oggi quasi quasi non serve più il testamento biologico? Chi vuole una legge sul testamento biologico dovrebbe temere queste sentenze. In uno stato dove per vendere una casa si va da un notaio, perché la volontà estrema può essere dedotta? E se i fatti sono contrastanti? Se le testimonianze sono difformi? E se le opinioni da me espresse sono state contraddittorie? Decide un tribunale? Decide un tribunale! Siamo sicuri? Negli stati di diritto più banali, tanto più pesanti sono le conseguenze dell'espressione di una volontà tanto più dettagliate e precise e forti sono le forme in cui quella volontà deve essere espressa. Se poi le forme non bastano, in dubio pro vita.

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