Questa sera l'andata dei play off di B. Lecce-Albinoleffe: 0-1

La piccola Arsenal si gioca la serie A

Luigi De Biase

Dicono di non averci mai pensato seriamente, di essere arrivati qui quasi per caso, senza fare calcoli, forse per disgrazia. Sorridono stupiti se gli dici che il bello arriva adesso, stanno in silenzio, poi raccontano che in fondo non cambierebbe nulla. Proibito cascarci: all'AlbinoLeffe nessuno ha voglia di scherzare, soprattutto se si parla di lavoro.

    Ripubblichiamo l'articolo di Luigi De Biase dal Foglio del 16 marzo 2008.

    Dicono di non averci mai pensato seriamente, di essere arrivati qui quasi per caso, senza fare calcoli, forse per disgrazia. Sorridono stupiti se gli dici che il bello arriva adesso, stanno in silenzio, poi raccontano che in fondo non cambierebbe nulla. Proibito cascarci: all'AlbinoLeffe nessuno ha voglia di scherzare, soprattutto se si parla di lavoro. Chiedere a Sonzogni, Damiano, una carriera tra Lumezzane e la celeste, capofficina di giorno e libero di sera. Domandare a Bonazzi, Luca, maglietta numero dieci, piroette in mezzo al campo prima di tornare al bar che possiede a Leffe, valle Gandino, montagne di Bergamo. Poco importa che stavolta il lavoro sia finire il campionato in testa e volare in serie A. Quando guardi il mondo dall'alto verso il basso e mancano soltanto dodici giornate dalla fine, sperare è semplicemente un dovere morale.
    Nel calcio il caso è una variante sopravvalutata. D'accordo, c'è il passaggio che finisce in rete, l'occasione persa, il miracolo all'ultimo minuto. La corsa dell'AlbinoLeffe è un'altra cosa. Per capirlo bisogna vederli giocare. Palla bassa, testa alta, pochi scherzi in mezzo al campo. E' la filosofia di gioco che insegna Elio Gustinetti, il tecnico che da anni modella il profilo della squadra. Di più. E' la morale di una società con i piedi per terra che ha deciso di puntare in alto per non rimanere schiacciata. Perché non si rimane cinque anni in serie B grazie alla fortuna, non ci sono favori capaci di portarti in testa alla classifica se non hai dimostrato di meritarla, di saperla prendere al momento di giusto e di conservarla nonostante gli avversari.
    La corsa dell'AlbinoLeffe è cominciata una domenica di marzo con il colpo beffardo di Peluso, Federico, maglia numero tredici, all'ultimo istante della partita contro il Messina. Anzi no, è iniziata dieci anni prima in un bar di Clusone, val Seriana, provincia di Bergamo. La celeste è nata lì: da una parte del tavolo ci sono due dirigenti dell'Albinese, buoni giocatori ma pochi soldi per tirare avanti. Dalla parte opposta quelli del Leffe, moneta da spendere per tenere a casa il calcio che conta. Sino alla sera prima le due squadre erano rivali storiche. Due paesi a dieci chilometri di distanza, diecimila abitanti Albino, tremila Leffe, due squadre che lottanto per rimanere nel mondo del professionismo e parlano lo stesso dialetto. I tifosi non la prendono bene: stadio vuoto, allenamenti deserti, striscioni abbandonati sulle gradinate. Quelli rimasti a sventolare hanno ancora le parole di una volta, dicono sempre “Ultras Leffe” nonostante il gemellaggio, nonostante la fusione, nonostante tutto.
    Eppure la celeste va forte. Riesce a tenere in provincia i giocatori più validi di Leffe e Albinese, sulla panchina siede Gustinetti, uno fatto apposta per la provincia. Al primo anno in C2 conquista la promozione. Campionato complicato, tante critiche, poi l'entusuasmo del pubblico che sale con i risultati e aumenta domenica dopo domenica, sino alla finalissima con il Prato sul neutro di Modena seguita da quattro pullman di tifosi. Nuova stagione nuovi dolori. Pochi credono che l'avventura duri ancora a lungo, sarà che molti hanno ancora negli occhi la storia strana dell'Alzano e del Virescit, due bergamasche con una storia analoga, gloria personale e disastro comune, scomparse dalle scene del calcio che conta. Lo stadio resta vuoto, l'interesse intorno alla squadra non decolla. Seguono due anni di noia in C1. Poi il primo exploit: l'AlbinoLeffe arriva tredicesimo in campionato, ultima posizione utile per evitare di finire ai playout, ma vince la Coppa Italia di categoria, un traguardo importante conquistato al Picchi contro il Livorno. Le sorprese non sono finite. Perché Gustinetti avrà pure quell'aria da professore di liceo ma parla poco e trascina la squadra in paradiso, quando il paradiso si chiama ancora serie B. Nessuno pensava che un giorno sarebbe potuto succedere e questa volta i caroselli che attraversano Bergamo sono di un colore soltanto: il celeste. Anche se la città storce un po' il naso: qui pallone significa Atalanta, gli altri sono i cugini poveri, quelli buoni soltanto per le categorie minori. Loro non si fanno problemi particolari: l'AlbinoLeffe è la squadra che lavora, poco Billionaire e molto sacrificio.
    “Quando abbiamo iniziato questa avventura la B era un miraggio, non pensavo che ci saremmo mai arrivati”, ricorda adesso Poloni, Mirco, maglia numero ventitré, bergamasco di Cenate Sopra cresciuto calcisticamente nel Cenate Sotto. “Sapevamo che nessuno di noi sarebbe diventato un campione, quindi per noi il calcio era prima di tutto passione e sacrificio, tenere duro, perché il bergamasco è fatto così, è uno che non molla mai, neppure quando ti dicono che non ce la puoi fare”. Ora le cose sono cambiate. Sessantuno punti sono il record della società, la promozione arriva a ottantacinque, dice mister Gustinetti. Sono ventiquattro e mancano dodici giornate alla fine della stagione. La sconfitta di ieri pomeriggio contro il Pisa è soltanto un incidente di percorso, un colpo del caso che non ferma il progetto.
    Sperare è un dovere se puoi contare su Marchetti, Federico, maglia numero ventidue, portiere rivelazione del campionato cadetto, o su Cellini, Marco, numero nove, uno che corre sotto la curva ogni volta che tocca la palla. E poi ci sono i vecchi, una generazione di giocatori bergamaschi più vicina ai quaranta che ai trenta, gente che ha passato la parte migliore della carriera sui campi di provincia e ora si trova di fronte l'occasione della vita. Gente che la vera emozione non è fermare per due volte la Juventus di Buffon, Del Piero e Trezeguet ma giocare il derby contro l'Atalanta. “Per noi è una cosa speciale – racconta Poloni – se non sei di Bergamo però non lo puoi capire. Per noi l'Atalanta è una cosa particolare”

    ***

    L'è riat ol momènt
    Dè concentrà töcc i sèntimènc
    Ol còr al ga dè troas insema
    a la crapa
    Ades che an sé insima a la rata

    Non chiamatela fortuna perché all'AlbinoLeffe non succede nulla per puro caso. Basta dare un'occhiata alla lista dei dirigenti che fanno parte della società. Sono alcuni tra gli imprenditori più ricchi della valle più ricca della Lombardia. Il presidente si chiama Gianfranco Andreoletti, è un industriale della plastica cresciuto a Stoccolma dove il padre emigra alla fine della guerra “per imparare un mestiere”, come spiega lui. A volta gli dicono di essere quadrato come i tedeschi. Lui sorride e risponde “no, i tedeschi no, magari come gli svedesi”. Entra in affari con la famiglia Ferrero e comincia a produrre le sorpese degli ovetti Kinder. Le sue aziende hanno visto la crisi soltanto al telegiornale. Nel 2006 l'AlbinoLeffe ha rischiato di tornare in C1. Si è salvato soltanto grazie allo spareggio vinto contro l'Avellino. Proprio ad Avellino, Andreoletti possiede un'azienda. I dipendenti campani non hanno preso bene la sconfitta ma almeno non hanno scioperato. E' arrivato al calcio alla fine degli anni Novanta, quando il figlio è passato dalle partite in oratorio alle giovanili del Leffe. Oggi il rampollo gioca nella primavera dell'Atalanta e molti pensano che sia uno dei migliori portierini in circolazione. Andreoletti usa nello spogliatoio lo stesso metodo imparato negli affari. La regola è facile: alla fine della giornata i conti devono tornare. E' così che riesce a portare i bilanci societari in attivo. Dicono che abbia una scarsa propensione alla trattiva ma non risparmia quando si tratta di riportare a casa un giocatore bergamasco finito a tirare calci lontano dalla val Seriana. E' una questione di carattere. E di dialetto: tra compaesani ci s'intende meglio. Non ama la tribuna e segue le partite da bordocampo. Sta seduto dall'inizio alla fine su una panchina dietro la porta della sua squadra, non strilla, non commenta, non insulta. Se gli chiedi qual è stato l'acquisto migliore dell'AlbinoLeffe risponde che non sarebbe giusto citarne uno soltanto; se domandi chi gli piacerebbe comprare una volta in serie A, dice che non sarebbe male riprendere quelli che ha lanciato negli ultimi dieci anni.
    Intorno a sé, Andreoletti ha costruito una squadra di manager esperti che godono di buona libertà a seconda del proprio compito. Il vice è Franco Arcebis, viene dallo sport ma per lui il calcio è una scoperta degli ultimi anni. Prima ha monopolizzato il motociclismo sponsorizzando i più importanti eventi mondiali di trial, poi ha prestato il nome alle principali imprese alpinistiche del pianeta. Uno che entra allo stadio e stringe la mano a tutti quelli che incontra, poco importa essere in casa o in trasferta. Tanto per l'AlbinoLeffe è la stessa cosa. Nel consiglio d'amministrazione siede Cristiano Radici, la sua famiglia, proprietaria di una storica azienda tessile bergamasca, ha accompagnato le sorti dell'Atalanta durante il periodo d'oro degli anni Ottanta, quelli del vichingo Strömberg.
    Una volta in serie B, la società di Andreoletti non ha preso un bomber in affitto per conquistare i tifosi. Il primo investimento è il centro sportivo di Zanica, una decina di chilometri da Bergamo, dove oggi si allena il settore giovanile. Lo stadio di casa ancora non c'è. Le partite domestiche si giocano in quello dell'Atalanta, l'Atleti azzurri d'Italia, ma i tifosi ospiti sono spesso più numerosi di quelli dell'AlbinoLeffe. I numeri delle trasferte fanno sorridere e spiegano la passione degli ultras celesti. “Méi poch che nìsù”, dicono loro. Hanno nomi da bar dello sport: “il sindaco”, Zeno, “il barba”, Dingo e Jean, 28 anni, impiegato, chiami al telefono e senti suonare One degli U2 mentre aspetti che risponda. “Cento a Brescia – racconta – cinquanta a Pisa, cinque a Cesena. E tre a Bari, ma è stata una delle partite più belle della stagione. Ci chiamiamo ancora Ultras Leffe, niente Albino, perché la tradizione siamo noi”.
    Negli anni Settanta molti sacerdoti bergamaschi hanno lasciato la città per le missioni diocesane in Sudamerica. Oggi qui vive la seconda comunità boliviana d'Europa dopo quella di Madrid. Agli immigrati l'AlbinoLeffe ha offerto abbonamenti a prezzi stracciati – una strategia studiata insieme alla Lega Calcio, attratta dall'idea di uno stadio multiculturale – che non ha avuto fortuna ma che rappresenta una piccola rivoluzione dove la Lega Nord conserva percentuali bulgare. E poi ci sono i giovani. L'allenatore della Primavera è Armando Madonna, fantasista di Atalanta, Lazio e Piacenza, uno con i piedi buoni che dal calcio ha avuto meno di quanto meritasse. Ha concluso il master a Coverciano con una tesi sulle motivazioni personali, porta ancora i capelli lunghi e insegna ai suoi ragazzi che, con ogni probabilità, nella vita non faranno i calciatori.
    “Quando le annate sono particolarmente positive – spiega un tecnico dello staff celeste – dalle giovanili arrivano uno o due giocatori che possono fare una buona figura in prima squadra, mentre tre o quattro possono trovare posto in una formazione di serie C. Per gli altri il calcio resterà sempre un divertimento, una passione da coltivare nel tempo libero. La Primavera rappresenta la fase della svolta per i ragazzi, è a quel punto che capiscono che cosa faranno nella vita. Crediamo sia fondamentale coinvolgerli nella loro prospettiva perché riescano a sfruttare al meglio le loro potenzialità, non solo nel mondo del calcio”.

    ***

    Forza, lè ol tò momènt, AlbinoLeffe
    Squadra dè cor dè poc pretèste
    Con tanta umiltà e volontà
    Te se pronta per la serie A

    La fortuna è soltanto una piccola percentuale del successo. Chiedere a Del Prato, Ivan, maglia numero sette, centrocampista per forza. E' il più anziano della serie B, quarant'anni da compiere a luglio. E da festeggiare. Quelli come lui, negli spogliatoi, hanno bisogno di due scaramanzie soltanto: scarpe coi tacchetti lunghi e maglia dentro i calzoncini. Poloni racconta che lo avvisa in bergamasco quando si tratta di chiamare palla. Gli dice “dala longa”, dalla lunga, oppure corta, a seconda dei casi. I bergamaschi in squadra sono tanti, quelli che vengono da fuori fanno bene a imparare il dialetto se vogliono la palla.
    “Sta succedendo una cosa impensabile – dice Del Prato – Abbiamo sempre fatto buoni campionati, il nostro gioco è piacevole, nella nostra filosofia c'è il possesso palla e abbiamo chiuso cinque campionati positivi prima di ora”. Ma questo no, la serie A è impensabile. Specie se hai sempre tenuto il pallone come un sogno in un cassetto, se hai pensato al calcio però c'è anche altro nella vita e questo s'impara soltanto con gli anni. “Mi alleno tutti i giorni, ho sempre fatto così. Martedì seduta doppia, mercoledì partitella con qualche squadra di dilettanti, venerdì ritiro. E sabato si gioca. E' così da anni, è stato un grosso sacrificio, se gioco ancora è perché ho sempre avuto una grande passione per questo lavoro”. Lavoro? “Sì, lavoro. Quando vado in campo mi diverto, non lo posso negare, anche se ora recuperare non è più facile come quando avevo vent'anni. Ma è un lavoro che porta tanti sacrifici e i risultati vengono soltanto se si fanno bene le cose”.
    C'è l'ambiente, c'è il silenzio della curva e della stampa, c'è la fame di chi vuole vincere e l'ambizione di chi vuole emergere. C'è la ginocchiata di Peluso all'ultimo istante della partita contro il Messina, quella che ti regala la vittoria e la testa della classifica e i titoli dei giornali. C'è la giornata storta di Pisa che ti ricaccia al secondo posto e ti fa pensare che forse doveva finire proprio così, di nuovo nel mucchio, di nuovo a spingere per rimanere a galla. Ma c'è, soprattutto, una società che ha costruito una squadra e l'ha condotta alle porte della serie A in dieci anni. Non è il Parma dei Tanzi né il Chievo di Campedelli. E' l'AlbinoLeffe di Andreoletti, la squadra delle squadre bergamasche che lavora senza fare rumore, poco Billionaire e molto sacrificio. Perché primo può arrivare il Chievo: in A, dopotutto, salgono le prime due.