Pallon d'essai

"Il calcio non è scienza". E' vero, in laboratorio ci si diverte di più

Maurizio Crippa

Via dalla Svizzera ammodino, domenica sera l'Europallone è arrivato in Austria, dove se c'è da scolare birra e menare le mani, come alternativa socializzante a segregare in cantina le ragazze, non si tira indietro nessuno.

L'etica del lavoro di Donadoni genera tristezza (Clicca qui e leggi)

    Germania-Polonia 2-0
    Via dalla Svizzera ammodino, domenica sera l'Europallone è arrivato in Austria, dove se c'è da scolare birra e menare le mani, come alternativa socializzante a segregare in cantina le ragazze, non si tira indietro nessuno. Almeno, nella ridente Klagenfurt un po' di movimento si è visto: per strada, con i naziskin tedeschi a spaccare bottiglie, per un totale di 140 arresti. In campo invece, tra Polonia e Germania, noia piatta come una vacanza in campeggio in Pomerania. E per la Polonia, si può anche capire. Due anni fa ai Mondiali erano stati un disastro di tristezza, come una pianosequenza di Kristof Zanussi a Katowice sotto un acquazzone. E adesso, anche se a fare il ct hanno chiamato quell'olandese giramondo di Leo Beenhakker, i miracoli li fa solo la Madonna Nera. E il vecchio Leo, che non è un santo ma ha dell'onestà intellettuale, ha ammesso che si divertiva di più quando allenava i “Soka Warriors”, ovvero la nazionale di Trinidad e Tobago: “Almeno mi svegliavo al mattino con Bob Marley”. Qui invece l'unico a farsi evidentemente le canne è Mario Gomez, che nonostante il nome fa il centravanti allo Stoccarda: nel primo tempo si è fumato due goal di quelli che li segnava anche la Merkel e Miroslaw Klose, il polacco con gli occhi da cobra (ma gioca per la Germania) lo avrebbe morso alla carotide. Del resto lo squadrone tedesco era tanto scombiccherato che sembrava che avessero passato la notte in birreria. Forse è il famoso approccio mentale dell'allenatore Joachim Löw, uno che non si è ancora capito se sia bravo, ma in compenso è proprietario di un'allure da tecnico intellettuale che farebbe al caso di Moratti, quando sarà stufo di Mourinho. Löw, per intenderci, nel 2006 era l'alter ego moro del biondo Klinsmann, e il colpo d'occhio delle loro camicie bianche e attillate a bordo campo rimane come un'immagine simbolo di Germania 2006, anche a non essere del Gay Pride. Comunque, per essere l'addetto alla tattica, la sua Germania gioca ognuno per conto suo. La Polonia è decisamente più ordinata, ed è anche l'unica cosa che sanno dire in 90 minuti Stefano Bizzotto e Ubaldo Righetti. Ma del resto, se il talento migliore dei polacchi si chiama Roger Guerreiro, gioca nel Legia Varsavia ed è l'unico brasiliano della terra ad essersi fatto naturalizzare polacco, allora si capisce perché il polacco più forte in campo sia Podolski e si sia fatto naturalizzare tedesco. E abbia rifilato due gol, ai suoi fratelli separati.

    Francia-Romania 0-0
    L'uomo che più si annoia alle partite di calcio in genere, e di Euro 2008 in particolare, è Michel Platini. Ben gli sta, se non altro per quelle giacchette strette e abbottonate che l'Avvocato non gli perdonerebbe mai. Gatto Nero Dossena non ce l'ha fatta, nonostante abbia iniziato al 19esimo del primo tempo a dire “ai romeni lo 0-0 va bene”, e abbia ribadito fino alla fine che “in dieci partite europee la Romania ha sempre subito gol”. Ma i francesi sono i soliti supponenti, mentre i rumeni sono lavoratori, Victor Piturca è stato puntero dello Steaua Bucarest quando era un quasi squadrone, e sta lì in panchina a sgolarsi, con su una maglietta da parcheggiatore abusivo rom. Niente a che vedere con il fighetta Domenech, zazzera spettinata e grisaglia d'ordinanza. E' imbronciato cronico, ricorda un Nanni Bazoli che stia lì per l'eterno a chiedersi come mai Romano Prodi l'abbia preso in quel posto. I rumeni sono otto anni che non entrano in Europa, ma hanno poco da imparare da gente che “fa il 4-2-4 in fase di non possesso”, qualunque cosa possa significare. Al cinema hanno registi come Cristian Mungiu che il timore reverenziale per la Nouvelle Vague se lo fumano nella pipa. In campo, sanno giocare a pallone anche quelli che non si chiamano Mutu o Chivu, ma solo Nicolita o Rat e pedalano allo Shakhtar Donetsk. Noia Bleus, Anelka sarebbe perfetto per fare il casseur della banlieu in quei telefilm del cacchio di France2 che poi passano su Raisat cinema. Non è mai stato capace di fare due cose insieme, o pensa o calcia. E infatti prova a tirare in porta anche dal calcio d'angolo. Thuram e Makelele hanno fatto la storia della decolonizzazione, tanto son vecchi, ma sono gli unici a tirare la carretta, mentre Malouda gigioneggia sulla sua fascia di competenza e Benzema si perde nelle serpentine. Ma per Dossena “il calcio non è scienza, ma ci avviciniamo”. I francesi meno concludono e più s'incazzano, e menano. L'arbitro grazia Makelele, Malouda e Abidal, ma Cosmin Contra viene ammonito per questioni di bon ton, Chivu spara una punizione al terzo anello di San Siro. Peccato che fosse a Zurigo.

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    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"