Secondo di una serie di articoli

Vi fareste governare da Obama? /2

Maurizio Crippa

Ora, a nessuno verrebbe mai in mente di paragonare il reverendo Jeremiah Wright con don Giuseppe Dossetti. Jeremiah Wright è il pastore della Trinity United Church of Christ di Chicago, uno che interpreta la Bibbia come se il Popolo eletto fossero i neri d'America in “lunga lotta contro l'oppressor” come all'oratorio si cantava di John Brown.

Leggi sul blog di Christian Rocca le posizioni di Obama su Gerusalemme

    Ora, a nessuno verrebbe mai in mente di paragonare il reverendo Jeremiah Wright con don Giuseppe Dossetti. Jeremiah Wright è il pastore della Trinity United Church of Christ di Chicago, uno che interpreta la Bibbia come se il Popolo eletto fossero i neri d'America in “lunga lotta contro l'oppressor” come all'oratorio si cantava di John Brown. E per quanto scaricato alla prima curva pericolosa della campagna elettorale come un sacco di monnezza tossica, è pur sempre l'icona della religione americana per come se la può rappresentare uno come Barack Obama. Don Dossetti è altra storia, teologia e sostanza; ma per quanto i suoi bis-nipotini politici cerchino disperatamente di disfarsi della sua memoria, anche lui resta pur sempre un'icona: il punto di riferimento del cattodem all'italiana. E questa è tutta la somiglianza che c'è, ma c'è.

    Ora, le ultime due presidenze americane sono state contrassegnate dalla grande epopea – che in molti casi, diciamolo, ha rasentato il puro fantasy – dell'America religiosa, della destra religiosa, della Nation under God e di un sacco d'altre cose, fino alla laicità all'americana che piace pure a Joseph Ratzinger. Tutte cose che sono state il vero tormento, la vera sofferenza, più ancora della guerra in Iraq, di tanti cristiani di casa nostra. Io lo so, perché pur non essendo del giro cattodem, anche a me l'epopea della Bible Belt mi è sempre andata un po' stretta. Dunque, si può immaginare quale sollievo sia stato ritrovarsi finalmente con un candidato che cita Dio più di Padre Pio, da opporre allo strapotere del Partito di Dio. E non un liberal lascivo e peccatore, non una femminista in carriera e abortista, ma un giovane buono e onesto, perfetto per incarnare l'altra faccia della religione americana: quella che ha sempre fatto rima con riscatto sociale, libertà, giustizia, fratellanza. Religione sociale, religione da immigrati e da diseredati, da gran cinema di Ford e sogno rooseveltiano. Non c'è che dire, Obama è stato una liberazione per l'immaginario non solo cattodem, ma di tutti quelli più banalmente non rassegnati all'idea che Dio sia per forza un texano. Forse non JFK, ma qualcosa di meglio di Jimmy Carter, il predicatore buono ma disastroso che per primo portò il suo Dio della pace alla Casa Bianca.

    Un politico che bluffa
    Solo che. Solo che poi, a ben guardare, ad ascoltare con più attenzione, Obama si è rivelato soltanto un lontano nipotino di quell'afflato fortemente biblico che viene da lontano e che soffia sull'America da molto prima che si alzasse il sogno kennediano. Sogno spurio e giovanneo quanto si vuole, ma che affondava le sue radici nell'anima speranzosa americana, più che in quella gotica. Invece il candidato Barack – reverendo Wright a parte, non è quello il punto né lo scandalo – è apparso il politico che bluffa sul contenuto religioso della sua idea di giustizia. Che parla di pace ma un po' troppo alla buona. Di equità sociale, ma poi il suo vero problema, se vuole arrivare alla Casa Bianca, è quello di farsi accettare da una società e da un partito in cui comanda l'ideologia liberal e business oriented dei clintoniani, non certo quella dei sogni populisti riverniciati alla reverendo Jackson. Obama è il giovane politico a cui scappa detta la battutaccia sull'aborto, su sua figlia che mica la “vorrebbe punita da una gravidanza”.
    Insomma doveva essere un profeta, e invece è venuta fuori la faccia sciapa di un cattolico adulto, troppo adulto, trasportato oltreoceano. Sembrava l'anello di congiunzione tra Veltroni e Kennedy, e invece alla fine Obama è solo un Dario Franceschini coloured. La versione americana del cattodem senza più neanche Dossetti, ma col solo assillo di mettersi d'accordo con il Partito democratico, in un tripudio di ritrovata laicità. Ma Franceschini non ha fatto sognare nessuno qua. Dura che la sua versione americana faccia sognare, là, la costituency religiosa democratica.

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    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"