Stato della musica

Carole King, Joni Mitchell e Carly Simon raccontate attraverso una triplice biografia

Stefano Pistolini

Esce in America un libro intitolato “Girls Like Us”, sottotitolo “Carole King, Joni Mitchell, Carly Simon and the Journey of a Generation”, affrescone generazionale attraverso la triplice biografia, vagamente comparata e in parallelo delle tre principesse della musica americana nel periodo del massimo splendore, ovvero dalla seconda parte degli anni Sessanta, ben dentro al decennio successivo.

    Esce in America un libro intitolato “Girls Like Us”, sottotitolo “Carole King, Joni Mitchell, Carly Simon and the Journey of a Generation”, affrescone generazionale attraverso la triplice biografia, vagamente comparata e in parallelo delle tre principesse della musica americana nel periodo del massimo splendore, ovvero dalla seconda parte degli anni Sessanta, ben dentro al decennio successivo. L'autrice è Sheila Weller e le va accreditata un'idea eccellente, per quanto condotta con spirito fastidiosamente entusiasta, a cavallo tra la fan e la bene informata a tutti i costi, scavalcando anche la volontà delle tre protagoniste, dal momento che solo Carly ha acconsentito a farsi intervistare, mentre Carole dal suo eremo nell'Idaho ha fatto sapere che lei la sua autobiografia se la stava curando in proprio e, ancora più eccentricamente, la sublime Joni ha risposto che a lei quell'idea di rappresentazione condominiale faceva venire i nervi. La Weller, tipo tenace, ha continuato sulla sua strada, evitando il banale ricorso alle vecchie interviste e affidandosi alla tecnica dell'accerchiamento, ovvero, in mancanza della voce protagonista, mettendo un microfono sotto il naso di familiari, ex mariti ed amanti, produttori, collaboratori e amici, tutti coloro che avessero intersecato la traiettorie delle tre magnifiche, edificando alla fine una rete di testimonianze solida, ricca ed elastica, seppure con un debole per il pendant più gossipparo delle storie. E il libro così diventa comunque un contributo utile alla descrizione e alla comprensione di un momento complesso. Certo: oggi Carly, Carole e Joni non sono certo le ragazze ruggenti del titolo (rispettivamente 63, 66 e 65 primavere), sono anziane signore così stracariche di gloria, così impregnate di spirito del tempo da diventare stelle fisse, oggetti di culto, divinità accertate, simboli incancellabili di uno stato mentale, di un'attitudine esistenziale, di una grande illusione, di un fantastico divertimento, di una meravigliosa rincorsa. E questo saggio un tantino fastidioso per la sua propensione alla nostalgia, per il suo sospiroso “com'eravamo belli”, per il suo memorialismo intinto nel protagonismo dei baby boomers, magari accompagnato da ascolti ad hoc (si può ancora resistere a Joni che nel ritornello di “Woodstock” intona “We are stardust, we are golden”, col tono di autorevole consapevolezza che solo lei sapeva avere e che ci faceva trattenere il respiro nella sottomissione, convinti che lei fosse la Creatura Massima del Mondo Nuovo e noi dovessimo solo cospargerci dei suoi suoni e sperare in qualcosa che ci erotizzasse all'infinito?), ci permette di dare un occhiata a un mondo scomparso, recuperando significati che adesso hanno perso di senso e consistenza, e risultano incomprensibile ai giovani: a partire dal dato che la musica di artisti così (e non solo la musica, ma anche l'immagine, lo stile, i gesti) potesse davvero diventare la colonna sonora della vita di migliaia di persone e il loro spirito guida, la trasfigurazione in dolcissimi suoni di ciò che non ci si sentiva capaci di dire con parole nostre.

    Moduli storiografici a parte

    Oggi tutto questo è passato e malamente storicizzato. Del resto, al pop non si applicano quei moduli storiografici della rappresentazione che altrove sono necessarie e sufficienti. Qui – e questo libro ne è un esempio – serve qualcosa in più, serve il contributo dell'immaginazione e la mobilitazione delle emozioni. Carly Simon era la donna più sexy d'America, il corpo-la bocca-la voce, e fu “la moglie assoluta” quando formò la coppia regnante dell'isola dove ci piacerebbe andare a morire, a Martha's Vineyard, con James Taylor, corrispondente maschile della sua lucente perfezione. Carole King aveva la stessa forza che sospinse lo spirito di un piccolo borghese chiamato Zimmerman a diventare Bob Dylan e come lui toccava la punta profonda delle radici della musica americana e ne manipolava le forme. Joni Mitchell aveva trasferito la poesia beat nelle canzoni e l'aveva impastata con la propria irrequietezza originale. Donne assolute di un passato che ne aveva bisogno e sapeva farne buon uso, dal momento che commerciavano in canzoni bellissime. Difficile credere che le cose siano andate proprio così. Eppure questo libro ci fa rievocare, ad esempio, il dolore quasi fisico che provammo il giorno in cui un pettegolezzo ci rivelò che l'egotica Joni aveva avuto una bambina e che, per seguire i suoi percorsi, aveva osato darla in adozione, prefiggendosi di non vederla mai più.