Girotondo d'opinioni - Quant'è bella sicurezza…/4

I cattolici scelgano tra il realismo accogliente di don Rigoldi e la sociologia buonista di don Ciotti

Maurizio Crippa

Tenderei a pensarla come Filippo Penati. Ma non è questo l'argomento di quanto segue.

    Tenderei a pensarla come Filippo Penati. Ma non è questo l'argomento di quanto segue.
    Sulla nuova emergenza nazionale (mi pare gonfiata dai media in ossequio pedissequo all'interesse della politica; con favoreggiamento oggettivo, mi pare, della deriva razzista), la questione di come gestire (neutralizzare? eliminare?) la presenza dei rom nomadi e clandestini sul territorio italiano, la chiesa è intervenuta autorevolmente con le parole del presidente della Cei, Angelo Bagnasco: “Certamente la paura e il timore da parte della gente possono essere compresi, però questo non deve assolutamente mai portare a reazioni inconsulte. Bisogna che tutte le istituzioni, tutti i cittadini, tutti noi cerchiamo di coltivare una educazione più profonda ai valori della legalità, della tolleranza, della legalità nella giustizia, nella solidarietà”. Sotto il manto autorevole della gerarchia si muove però un ventaglio di posizioni culturali e di indirizzi pastorali piuttosto ampio. Dal quale dipendono, più che dalle parole dei vescovi, i comportamenti concreti dei cittadini italiani cattolici nei confronti dei loro “fratelli” stranieri, e variamente sfortunati. Solo ieri, due sacerdoti solitamente definiti “di frontiera”, don Gino Rigoldi e don Luigi Ciotti – in ogni caso, due persone che ben conoscono i rom – hanno affrontato il problema con due impostazioni che rivelano culture ecclesiali diverse. Già dagli incipit. Don Rigoldi scrive sul Corriere: “La mia opinione è che non sia possibile accogliere in Italia un numero illimitato di rom in aggiunta ai rom italiani”. Don Ciotti scrive sull'Unità una lettera alla donna rom di Ponticelli immortalata dai giornali mentre viene portata via su un furgone con la famiglia e le sue poche cose: “Le scrivo, cara signora, per chiederle scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie (…) quanta sofferenza, ma anche quanta dignità in quei volti”.
    Già dall'inizio, si coglie la differenza tra un'impostazione che nasce dal realismo, da una presa d'atto dei fatti, e un'altra che fa invece del moralismo e della propria emozione morale il punto di partenza. Poi don Rigoldi, che non è certo uno che le manda a dire, denuncia “una esagerata, opportunistica utilizzazione del tema sicurezza” che sta creando “un tipo di rifiuto che sta vicino all'odio”. E attacca: “Non credo sia giusto parlare di fallimento dell'azione evangelizzatrice della chiesa italiana, ma qualche riflessione andrà pure fatta. (…) E' intollerabile che molti dei promotori di questa ‘sicurezza' si definiscano difensori della fede”. E ancora: “Non possiamo, come cristiani, permetterci di essere in disaccordo con Gesù Cristo”. Dunque un richiamo duro alla responsabilità di chi si dice cristiano, dentro la consapevolezza della condizione storica e sociale. Don Ciotti, invece, fa scorrere il suo intervento nell'analisi sociologica: “E' come se ci sentissimo in una nave in balia delle onde (…) la reazione è allora quella di scacciare dalla nave quelli considerati ‘di troppo'”. Poi nella condanna moralistico-ideologica: “La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo”. E infine nell'opzione  morale a “stimolare le coscienze”, a “guardarci dentro” e nell'appello ai “tanti che si impegnano per un mondo più giusto e più umano”. Gesù, manco citato. Neanche per dire, magari, che c'è un modello cui i cristiani si devono rifare. E che è proprio così facendo che nei secoli, in Europa, si sono create le condizioni di una convivenza possibile, per quanto imperfetta, in grado di tenere pure a bada i peggiori istinti umani, che sono patrimonio anche dei cristiani (tolte forse le anime belle “che si impegnano per un mondo più giusto” che frequenta don Ciotti). Ecco, sotto l'immutabile dottrina della chiesa, forse il realismo di don Rigoldi può aiutare a tenere ferma la distinzione tra esigenza di giustizia e condanna “della bestemmia contro Dio” che è “ogni forma di rifiuto, di rancore o addirittura di odio”. La sociologica buonista di don Ciotti, a lungo dominante nelle parrocchie italiane, è invece quella che alla lunga ha prodotto l'effetto contrario: di stimolare l'insofferenza verso poveri e rom anche da parte di tanti cristiani.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"